Fine
Cantore della tradizione napoletana, Gennaro Cannavacciuolo con “Il
Peccato erotico” al Teatro della Cometa di Roma fino al 20 marzo ci fa sognare, emozionare, divertire in un viaggio
a luci rosse, dal 1890 agli anni 40. Licenzioso, forbito, riesce a
coinvolgere il pubblico, senza mai essere volgare. Ancora una volta
ci cattura con la sua Arte Sublime.
Tutto è iniziato da
una recita scolastica, in cui vestivi i panni di Pinocchio
Sì, fecero una selezione
facendoci leggere delle cose e dal gruppo pescarono me. Da lì è
iniziata l’avventura.
Un’avventura che ti
ha portato lontano, prima da Pupella Maggio e poi da Eduardo De
Filippo
Prima ho debuttato con
Pupella e quando poi nell’0ttanta, Eduardo ha chiuso il Teatro ed
ha aperto “La compagnia di Luca”, ho fatto parte dei Giovani di
questa Compagnia .
Fu lo stesso Edoardo a
lodarti in un Ordine del giorno “per l’impegno e la serietà con
cui avevi affrontato ben due sostituzioni”
Si ammalò un attore che
interpretava due ruoli molto importanti. Eravamo a Ferrara, Eduardo
faceva il regista e di suo pugno, scrisse questa nota sull’ Ordine
del giorno.
Un ricordo bello che
ti lega a lui?
Ho solo ricordi belli. Di
grande tenerezza, di grande umanità, di grande sensibilità. Forse
perché avevo vent’anni ed era tutto meraviglioso. Edoardo e
Pupella sono stati i miei genitori adottivi.
Una grande fortuna
avere al tuo fianco due mostri sacri del teatro, adesso i giovani non
hanno più questa possibilità perché non ne esistono più.
Si infatti, con Pupella
c’è stata un’amicizia che è durata ventiquattro anni ed ho
avuto il grande privilegio di accompagnarla fino alla fine.
La critica ti
definisce “un uomo pieno di eclettismo, talento, classe e fantasia
ineguagliati. In cosa ti riconosci maggiormente?
Non mi riconosco in
nessuna, mi piace farle tutte. Quando faccio per lungo tempo una cosa
cantata, dopo mi piace fare una cosa di prosa. Lo faccio
naturalmente, per me è una cosa normale e non riesco a preferire una
cosa piuttosto che un’altra.
Rappresenti la Napoli
della tradizione colta e delle infinite voci popolari. Come metti
insieme le due cose?
Credo che bisogni
sviluppare quella tradizionale perché è quella che poi ti dà la
cultura. Non è il contrario. In effetti la cultura è tradizione e
quindi mettendo in moto un qualcosa di tradizionale, ti viene fuori
la cultura naturalmente.
Nella maggior parte
dei casi, porti avanti lo spettacolo da solo. Quanta fatica ti costa?
Negli ultimi anni ho
deciso di fare questo teatro canzone e costa tantissima fatica. A me
è sempre costato tutto anche quando ho fatto le compagnie perché è
un fatto caratteriale. Adesso costa ancora di più perché quando si
apre il sipario in uno spettacolo in cui sei da solo, devi essere
pronto al 100%. Sono in camerino dalle 18,30. Mi preparo con le mie
inalazioni, poi devo fare i miei vocalizzi, il riscaldamento fisico.
Pupella diceva che il pubblico è come un ospite che inviti a casa
tua, non lo puoi trattare male. Se inviti un ospite gli devi offrire
le cose buone.
I tuoi ospiti sono
trattati bene perché li coinvolgi e loro molto piacevolmente si
sottopongono al coinvolgimento e credo che ogni sera siano coinvolti
in maniera diversa.
Si sottopongono alla
dolce tortura ed è molto faticoso perché ogni sera devi
psicologicamente capire i caratteri in modo da far sì che questi
partecipino. Alla fine loro diventano protagonisti.
Come li scegli?
D’istinto ma devo dire
che al 90% va sempre bene.
Nello spettacolo ci
sono dei pezzi di grandi Autori del passato, tipo “E allora?” e
“Come Pioveva” di Armando Gill, il primo cantautore italiano che
definisci il nonno dei cantautori italiani. Perché hai scelto queste
due canzoni?
Ho preso due cardini
principali. E allora? E’ uno dei pezzi più conosciuti e brillanti
e naturalmente Come pioveva è stata una delle canzoni che ha fatto
scalpore all’epoca ed era quella più romantica e più conosciuta e
quindi le ho messe insieme.
Libero Bovio, Antonio
De Curtis, Ernesto Tagliaferri e Salvatore di Giacomo, sei riuscito
ad omaggiarli quasi tutti?
Faccio un piccolo medley,
sai benissimo che si potrebbero fare venti recital sulla canzone
napoletana. Ho cercato di mettere insieme tre o quattro pezzi che
potessero rappresentarla al meglio. Penso di esserci riuscito.
Ricordi anche Nino
Taranto nello sketch della paglietta e la battuta è “Non ho
tagliato la paglietta perché la crisi ci ha già tagliato parecchio.
È vero che il Teatro sta morendo?
Credo che sia un certo
tipo di Teatro che sta morendo, non si sa per quale strano motivo
alcuni Teatri continuano ad andare avanti. Diciamo che penalizzano di
più i privati e chi fa delle cose paradossalmente di qualità.
Comunque i tagli ci sono stati ed approfitto per fare questa battuta
di Taranto al quale dedico una parte dello spettacolo e comunque
questa situazione è molto triste perché si fa sempre più fatica.
Alla fine chi fa il teatro si butta a capofitto, dice “vabbè
andiamo avanti, vediamo se succede qualcosa”. Si spera che la
situazione migliori ed andiamo avanti con grande sacrificio.
Che cos’è per te il
Peccato erotico?
E’ un divertimento
perché anche quello “vero” deve essere un divertimento.
Elisabetta Ruffolo