di Franco Presicci - Non manca mai di esaltare
la potenza espressiva del dialetto; di celebrare il valore estetico
della poesia vernacolare; di leggere e recensire, per esempio, Joseph
Tusiani e i suoi poemetti “Na vote è ‘mpise Cola, “Li quatte
staggione”, “Lu deddù”; o la composizione che riguarda l’asino
afflitto per il soprannome di “ciucce”.
Francesco Lenoci - a lui
mi riferisco -, economista eccellente (sulla materia ha pubblicato
oltre 30 libri), buon letterato (parlerebbe per ore di Luigi Capuana,
del marchese di Roccaverdina e del verismo), melomane da sempre,
entusiasta del Festival della Valle d’Itria, patito di Mahler, sul
dialetto m’incalza, mi esorta: appena gli fornisco l’occasione,
improvvisa in privato una conferenza su Francesco Paolo Borazio,
recitando quasi a memoria “Nu porce delli mamme”.
È appassionatissimo del
dialetto, e io lo ammiro, anche perché stando a Milano riesco ad
usare la lingua “d’a nàche” soltanto con qualche parente
stretto. E questo limite mi crea irrequietezza; mi fa sentire
mutilato.
Il dialetto possiede la
nostra anima, è un bene culturale da proteggere; è la nostra
patria. Spesso con Lenoci abbiamo discusso in dialetto, lui nel suo,
io nel mio, intendendoci senza alcuna difficoltà, essendo io
figliastro di Martina e lui cultore dei Due Mari. Continuiamo a
farlo, mettendo in risalto i vocaboli onomatopeici, icastici, la
forza evocativa, l’immediatezza, il fascino, del dialetto. E ogni
volta è come respirare aria pura.
È stato lui a farmi
conoscere Tusiani e a spingermi a visitarlo: un invito a nozze. Io
gli ho parlato dei tarantini Alfredo Lucifero Petrosillo, tra l’altro
autore del poemetto “U travagghie d’u mare”; Alfredo Nunziato
Majorano, di cui non dimentico “Tàrde vècchie mjie” (“Ddo’
pummedòre appìase e sècule de stòrie…”; Alfredo Marturano,
che in una festa della matricola mi affidò “’U cuèrne de Marjie
‘a canzirre”, un suo testo che non andava in scena, se non erro,
dal ’46, e venne ad assistere alla recita al Circolo dei Marinai;
Diego Fedele (“’U rafanìedde”, brillante, ricco di allusioni
fatte con ironia garbata e divertente…),.. .
Adesso lui, Lenoci, ha
scritto la prefazione per l’antologia “Scrigno di emozioni 2015”,
curata da Teresa Gentile di Martina Franca, in cui sottolinea che nel
Novecento sono stati i poeti, in Russia, in Grecia, in Francia, in
America Latina e in molti altri luoghi “ad esprimere i grandi temi
essenziali collettivi e al tempo stesso l’intimità più profonda
del cuore dell’uomo”, enfatizzando che è stata la poesia a
cogliere “meglio di ogni altra cosa i grandi valori, primo fra
tutti quello della libertà”.
Dice anche che a Palazzo Sormani a Milano, dove nella biblioteca ha assistito alla presentazione di “Poesia e Conoscenza”, la nuova rivista diretta dalla sua amica Donatella Bisutti, e a Palazzo Recupero a Martina Franca, “dove l’infaticabile e dolcissima Teresa Gentile riunisce il salotto letterario, predominano valori e ideali che si somigliano molto, per cui è davvero il caso d’impegnarsi”.
A Palazzo Recupero
trovano lo spazio che meritano poeti come Cinzia Castellana,
Benvenuto Messìa, che scrive versi godibili tra una corsa e l’altra
in bicicletta (Fausto Coppi? Chi è costui di fronte a Ben?),
Giovanni Nardelli (bella la sua “Purpette”, detta nella mia
parlata) e altri: tutti cari a Francesco e a me. Perché sono bravi,
artisti veri.
In questa sua prefazione Lenoci giura che non si stancherà mai di ripetere che “se si affievolisce la vitalità del dialetto, la conseguenza è la scomparsa di un bagaglio di saggezza unico al mondo: la nostra identità culturale”. Ancora: “Il dialetto è un’esplosione di gioia”. E ricorda che un amico, universitario a Firenze andava a trovarlo a Siena, distraendolo dai testi di economia, per poter parlare con lui in dialetto. Ricorda anche che, nonostante i suoi cinquant’anni, ancora oggi in casa lo chiamano “u peccinne”. E rende omaggio a Teresa Gentile e al suo “Scrigno di emozioni”. E al dialetto come lingua di dentro.
Amato dialetto. Peccato
che soltanto in tarda età ho trovato il coraggio di scrivere, con il
tuo aiuto, filastrocche “sus’a ‘stu mùnne ca stè’ vè’ a
ruète”; “sus’a le mafrùne ca tènene ddo’ fàcce”, “sus’a
chìdde ca se vàsene mmìenz’a strate”, “sus’a chìdd’òtre
ca crèren’angòr’a le masciàre”... Senza ovviamente sentirmi
Claudio De Cuia, che oltre a donare deliziose poesie, ha scritto
anche una grammatica del vernacolo tarantino.
*******
L’Antologia “Scrigno
di emozioni 2015”,
curata da Teresa
Gentile,
sarà presentata da
Francesco Lenoci,
a Martina Franca,
presso Palazzo
Recupero,
il 30 dicembre 2015,
alle ore 18,00.