Cinema, Richard Gere a Roma per il film "Franny": l’istinto ha guidato tutte le mie scelte

Richard Gere a Roma per la presentazione del suo ultimo film "Franny”, opera prima di Andrew Renzi, dopo essersi prestato pazientemente a vari selfie di colleghe e non, davanti alla Casa del Cinema, entra sorridente in sala, ci saluta con un ciao ed esordisce “A me piace molto il casino di Roma”, poi si presta al fuoco di domande, alcune inerenti al film, altre molto lontane ma credo che il fatto di essere buddista gli faccia mantenere un aplomb straordinario.

Come mai un nuovo ruolo ai margini dopo “Time out of mind” sugli homeless newyorchesi?
Anche questo è un film indipendente e con un budget ridotto che abbiamo girato in pochi giorni. Qualunque personaggio può sembrare semplice però se si scava in fondo, emergono le sue complessità. I due film hanno in comune che in entrambi io non ho un lavoro.
Franny ha diverse sfaccettature a volte è disperato, a volte è fin troppo entusiasta, qual è stato il più difficile da interpretare e leggendo il copione cosa ha cambiato nella sceneggiatura originale di Andrew Renzi?
Credo di non aver mai lavorato ad un film la cui sceneggiatura non è mai cambiata in corso d’opera. Si discute con i produttori, ci sono dei cambi durante le riprese ed infine c’è il montaggio. Ad un certo punto arriva il momento in cui il produttore dà uno stop e decide di far uscire il film. Questo film avrebbe potuto essere girato in maniera diversa mettendo in risalto lo stalking che attua Franny nei confronti di Olivia e Luke (Dakota Fanning e Theo James) oppure la sua dipendenza dai farmaci, in particolar modo dalla morfina, ho voluto aggiungere una giusta dose di umorismo, a volte più le storie sono tragiche e più sfociano nel black humour.
Un altro argomento che rimane oscuro è l’orientamento sessuale di Franny...
Abbiamo voluto evitare di mettere delle etichette ai personaggi anche perché era irrilevante ai fini della storia. Il regista ha scritto la sceneggiatura ed ha inventato questo personaggio. È al suo primo lungometraggio, ma appena sono arrivato sul set ho capito che avevo fatto bene ad accettare di lavorare con lui. Noi avevamo più esperienza ed ogni tanto ci chiedeva dei consigli e noi glieli davamo molto volentieri, siamo fieri di ciò che ha realizzato. La fiducia che si è creata tra noi è dovuta al fatto che stava raccontando una storia molto personale. Oltre alla storia, conosceva bene la città e la casa dove aveva vissuto da bambino. Il team era molto affiatato.
In Italia si diverte molto, con quale regista italiano le piacerebbe lavorare?
Sono molto disponibile a lavorare in Italia ma ci sono tanti elementi che devono mettersi insieme per creare un’alchimia, spero che l’occasione si creerà al più presto.
Il fim parla di sensi di colpa. Lei come affronta i suoi?
Franny sicuramente è un personaggio molto misterioso, dall’incidente a tutto il resto della storia. Non credo che quando veniamo al mondo siamo tutti tabula rasa, abbiamo un imprinting, è dal mistero che dobbiamo partire per conoscerci fino in fondo. Anche in Time out of mind c’è il mistero della vita, ci avviciniamo molto alla realtà più che svelare il connubio tra causa ed effetto. Mi piace lavorare in queste storie perché i risultati sono ottimi.
Per Franny si è ispirato al personaggio di Howard Hughes?
C’è anche un po’ di Hemingway. Per interpretare meglio il personaggio, anch’io mi sono lasciata andare. Howard Hughes era anche lui avvolto nel mistero ed è forse per questa particolarità che lo ricorda.
I personaggi che cerca nella sua carriera non può trovarli in una serie tv? Qual è il rapporto tra cinema e televisione?
Sin dall’inizio della mia carriera non ho mai avuto un piano né degli obiettivi. L’istinto ha guidato tutte le mie scelte. Mi piace essere sorpreso. Ci sono delle sceneggiature che ho fortemente voluto, ci sono delle sceneggiature di cui m’innamoro all’improvviso, di cui voglio far parte. Cercavo in una direzione e la cosa che mi aveva colpito veniva da quella opposta. Qualunque storia deve rispettare la natura dei principi umani. Sono abituato all’esperienza cinematografica degli anni ’70. La TV americana ha delle opere di gran lunga migliore rispetto a quelle che vengono realizzate al cinema. Purtroppo alcune cose o sono distribuite in poche sale o destinate ad essere viste in tv. Amo molto uscire di casa, andare al cinema, il buio della sala, il grande schermo, condividere l’esperienza con tanti estranei che ti circondano.
Come dovrebbe reagire l’America al massacro di San Bernardino? È stato un atto di terrorismo oppure è stato dovuto a causa della facile vendita di armi?
Gli Stati Uniti sono il Paese in cui ci sono più armi rispetto a tutto il resto del mondo. Tutti dicono “ci dobbiamo difendere di più”, nessuno ha detto “dobbiamo limitare la vendita delle armi". Si ha la tendenza ad affrontare le cose, sono contrario allo spirito di vendetta, bisognerebbe tornare alla saggezza, soprattutto cercare di capire perché si arriva a questi gesti.
Nel programma “Che tempo che fa” ha auspicato un incontro tra il Papa ed il Dalai Lama, se ciò avvenisse, di cosa dovrebbero parlare?
Parlerebbero del loro interesse principale, salvare il Pianeta e chi ci abita. Sono due persone straordinarie. Il loro incontro servirebbe moltissimo. Una loro conversazione non potrebbe che far bene all’intero Pianeta.
Elisabetta Ruffolo


Fattitaliani

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