Straordinaria
interpretazione di Beppe Fiorello che è anche autore, insieme a
Vittorio Moroni di “Penso che un sogno così”, già alla terza
stagione ma Beppe continua a divertirsi e a sedurre gli spettatori,
in un’ora e quarantacinque di spettacolo, senza intervallo, come se
fosse sempre la prima sera. Affiancato da due bravissimi musicisti
(Daniele Bonaviri e Fabrizio Palma) crea un perfetto equilibrio tra
musica e prosa, tra passato e presente. La figura del padre Nicola,
si mescola a quella di Mimmo Modugno di cui era grande ammiratore e
lo ricordava anche per i baffetti, la sua bellissima voce ed un
temperamento altrettanto travolgente. L'intervista di Fattitaliani a Vittorio Moroni.
“Penso che un sogno
così” è alla sua terza stagione, il successo rimane immutato.
Merito del testo, della straordinaria interpretazione di Beppe
Fiorello o ad altro?
Non
penso di essere la persona giusta per esprimermi su questo. Credo
che uno spettacolo sia un organismo vivente. E questo organismo mi
pare si regga su un perfetto equilibrio tra leggerezza e profondità,
memoria e trasfigurazione, musica e prosa. Ci sono una regia piena di
invenzioni e musicisti bravissimi e là, sul palco, un interprete
capace di intensità e completezza rare, un attore che si diverte
ogni sera e ogni sera seduce centinaia di persone.
Il sodalizio tra te e
Beppe è nato con “Terraferma di Crialese”, passato a “Se
chiudi gli occhi sono qui” ed approdato con la stesura di questo
spettacolo teatrale. Chi lo ha proposto a chi?
È
uno spettacolo così personale, che la sua origine non poteva che
derivare da una profonda esigenza di Giuseppe di esplorare la sua
memoria e di provare a raccontare la propria infanzia nella Sicilia
degli anni '70.
Non si può definire una
replica della fiction televisiva “Volare”? Cosa c’è di nuovo o
di diverso?
Credo
che la serie tv “Volare” e lo spettacolo non solo siano
diversissimi, ma abbiano proprio temi diversi. La serie raccontava
una parte della vita di Modugno, lo spettacolo narra la memoria del
padre di Giuseppe, che amava Modugno e che in qualche modo lo
ricordava per via di una voce bellissima, di un viso simile, con
tanto di baffetti e di un temperamento travolgente. Anche se,
diversamente da Domenico, non prese mai la decisone di lasciare il
proprio paese.
È stato difficile
scriverlo?
Difficile
quanto bello. È stato come essere convocati nella camera segreta
di un’altra persona e senza poter accendere la luce, solo toccando
con le mani, provare a vederla e a descriverla. Le immagini che
Giuseppe porta vive nel cuore erano fortissime e sono state
fondamentali.
Susana Tamaro, vedendo lo
spettacolo ad Orvieto, lo definì un elogio alla timidezza di Beppe
Fiorello. Sei d’accordo?
Credo
che dentro ognuno di noi ci sia timidezza, insicurezza,
inadeguatezza. È la condizione umana. Chi è sensibile, un istante
dopo essere nato, non può che sentirsi inadeguato. Penso che un
sogno così… racconta con rispetto - e ironia - quella parte di
noi che si sente smarrita nel mondo. Ma racconta anche il coraggio di
accettare il confronto.
A chi è venuta l’idea
di inserire nel rewind l’impegno civile della nascita del
Petrolchimico in terra sicula e del Polo siderurgico di Taranto che
hanno portato lavoro ma tolto la salute e la vita a molti?
Io
e Giuseppe abbiamo lavorato febbrilmente per mesi al testo, abbiamo
cercato di fissare e di includere elementi della Storia che avevano
incrociato l’infanzia di Giuseppe o che dialogavano con essa e che
fossero capaci di far riecheggiare ancora nel presente le
contraddizioni che provengono dal passato del nostro Paese. Abbiamo
scritto molto e poi cestinato molto, ci siamo sollecitati
reciprocamente con idee, alcune le abbiamo accantonate, altre le
abbiamo accolte. Alla fine il testo è un distillato di questo
quotidiano corpo a corpo con la memoria e l’invenzione.
Sia Beppe che Mimmo sono
due ragazzi del Sud che inseguono il sogno del cinema, dello
spettacolo e della musica. In Vittorio Moroni, di origine
valtellinese, come è nato questo sogno?
È
nato dalla sensazione che la realtà sia una dimensione
insopportabile. Dal convincimento via via più radicato che solo nel
sogno, e nel gesto creativo, si possa trovare una quota di libertà
sufficiente per poter sopravvivere. Naturalmente chi conosce bene i
sogni sa che la quota di verità in essi contenuta supera di molto
quella presente nella cosiddetta realtà.
Per te cos’è “Un
sogno così”?
“Penso
che un sogno così” per me è un viaggio fatto all’interno di una
navicella spaziale che è stata lanciata in una dimensione estranea
alla mia biosfera: la Sicilia degli anni '70 e l’infanzia di un
altro essere umano. Al tempo stesso è stata l’avventura di poter
essere per qualche mese un abitante di quella galassia.
Uno dei temi che più
ricorrono nella tua vita di regista e drammaturgo è il rapporto tra
generazioni ed in particolare con la figura paterna. Come lo affronti
in “Penso che un sogno così”?
Ho
avuto qui la fortuna di poter aderire e farmi avvolgere dallo sguardo
tenero e innamorato che Giuseppe ha per suo padre, di compiere con
lui un tragitto pieno di scoperte in una memoria così grata e dolce
come si può avere forse solo verso qualcuno che si è perduto tanto
presto e che dunque si finisce per trasfigurare, per circondare di
una luce magica, capace di evocarne eternamente la presenza.
“Le migliori parole
sono quelle non dette”, siete riuscii a dire tutto o manca
qualcosa?
Manca
tutto quello che non si riesce a dire, ma che forse è possibile far
immaginare. Ciò per cui davvero si può amare qualcosa.
Prossime date del tour:
Dal 15 al 16 dicembre Barcellona Pozzo Di Gozzo (Me), Teatro Mandanici
Dal 17 al 20 dicembre Palermo, Teatro al Massimo
23 e 24 gennaio Bergamo, Teatro Creberg
Dal 18 al 21 febbario Torino, Teatro Alfieri
26, 27 e 28 febbraio Milano, Teatro Arcimboldi
Dal 17 al 20 dicembre Palermo, Teatro al Massimo
23 e 24 gennaio Bergamo, Teatro Creberg
Dal 18 al 21 febbario Torino, Teatro Alfieri
26, 27 e 28 febbraio Milano, Teatro Arcimboldi