Uno per tutti di Mimmo
Calopresti è tratto dal romanzo omonimo del giornalista Gaetano
Savatteri, di cui mantiene il cuore del Sud. I tre personaggi sono
figli della grande emigrazione degli anni '70 che trovavano nella
banda di quartiere un momento di aggregazione per affrontare la vita
di comunità.
L’idea di Calopresti
era di raccontare il passato e di rapportarlo al presente. Il budget
limitato, lo ha portato a rivedere quell’impatto narrativo, secondo
me in maniera troppo veloce.
Un fatto del passato che si ripresenta ai protagonisti ora adulti che andava meglio sviluppato e che invece si limita a dei piccoli flash back e passa molto tempo prima che si riesca a capire cosa sia veramente loro successo e perché Gil (Fabrizio Ferracane) che all’epoca si era preso tutta la responsabilità, adesso convochi i suoi amici d’infanzia, Vinz (Giorgio Panariello) e Saro (Thomas Trabacchi) per aiutarlo a salvare dal carcere il figlio appena diciottenne che durante una rissa, accoltella un ragazzo e viene fermato dalla polizia. Gil è quello che ha avuto maggior fortuna, fa il costruttore e si è arricchito con appalti sporchi. Saro è medico in Calabria, e Vinz fa il poliziotto, con il salario da fame ha problemi ad arrivare a fine mese ed è per questo che Gil cerca di comprarlo, mentre a Saro dice “Non so come fare, aiutami”
Un fatto del passato che si ripresenta ai protagonisti ora adulti che andava meglio sviluppato e che invece si limita a dei piccoli flash back e passa molto tempo prima che si riesca a capire cosa sia veramente loro successo e perché Gil (Fabrizio Ferracane) che all’epoca si era preso tutta la responsabilità, adesso convochi i suoi amici d’infanzia, Vinz (Giorgio Panariello) e Saro (Thomas Trabacchi) per aiutarlo a salvare dal carcere il figlio appena diciottenne che durante una rissa, accoltella un ragazzo e viene fermato dalla polizia. Gil è quello che ha avuto maggior fortuna, fa il costruttore e si è arricchito con appalti sporchi. Saro è medico in Calabria, e Vinz fa il poliziotto, con il salario da fame ha problemi ad arrivare a fine mese ed è per questo che Gil cerca di comprarlo, mentre a Saro dice “Non so come fare, aiutami”
Gil è sposato con Eloisa
(Isabella Ferrari), una mamma-chioccia che si rende conto di aver
fallito come moglie e come madre. Una donna che quando il marito le
comunica l’arresto del figlio, dice “Perché? È bello, ha
appena compiuto diciotto anni”
Le sequenze sono lente, i
personaggi a dir poco spaesati, sembra che stiano per prendere una
decisione ma hanno lo sguardo vuoto. Persino la musica non fa
decollare le scene clou. È un noir? Si può avvicinare a “I
nostri ragazzi di Ivano De Matteo? Assolutamente no, perché lì la
verità della bravata dei figli, manda in frantumi la famiglia. Qui
invece è come se si volesse rimanere uniti ma in realtà nessuno lo
vuole veramente, tutti vogliono dare una mano di aiuto ma nessuno lo
fa realmente. Gli amici sono presi dai sensi di colpa, dalla voglia
di aiutare l’amico d’infanzia, tentano di mettere insieme piccoli
indizi ma non trovano una soluzione. Non vogliono tradire l’amico
che un tempo li ha salvati ma nello stesso tempo sono indecisi se è
quella la cosa giusta da fare. Il film prosegue in maniera
spezzettata come se tutti i tasselli non riuscissero a ricomporre il
puzzle.
La
vera protagonista è Trieste, le immagini del vecchio porto ci fanno
pensare di essere in un’altra epoca, forse quella degli anni '70,
unico aggancio tra il passato e l’oggi, inutilmente cercato per
tutta la durata del film.
Il film è stato girato
in digitale, dal 26 novembre sarà distribuito da Microcinema in
cinquanta sale.
Elisabetta Ruffolo