Festival Venezia, in "Bestie senza patria" dell'americano Cary Fukunaga l'orrore dei bambini soldato

In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il film dell'americano Cary Fukunaga "Bestie senza patria": l'orrore dei bambini soldato in Africa diventa un grido al cospetto di Dio e un monito per tutta l'umanità. Dal nostro inviato a Venezia Luca Pellegrini

Sono grida che arrivano al cospetto di Dio, quelle che si levano dai piccoli quando subiscono le violenze degli adulti. Per il Vangelo, nel monito del Signore, non c'è crimine peggiore di questo. In un Paese africano come tanti, senza che ne sia specificato il nome, durante una delle tante guerre civili che lo dilania, mietendo vittime e creando mostri, il simpatico Agu, intorno ai dieci anni, cade nelle mani di un odioso, spaventoso comandante - sullo schermo interpretato da Idris Elba - che ha il potere assoluto su un manipolo di bambini soldato da lui ferocemente allevati.
Cary Fukunaga deve essere rimasto sconvolto non soltanto dalla lettura del romanzo di Uzodinma Iweala, scritto nel 2005 - americano ma con ampi trascorsi in Nigeria - da cui ha tratto il suo film, ma dai racconti che talvolta penetrano la cortina dei media occidentali, mai abbastanza attenti a fatti così esecrabili anche se mai abbastanza sazi di notizie inutili e distratte. Il percorso di Agu, che ha il volto del tredicenne ghanese, Abraham Attah, dei suoi compagni - si calcola che nel mondo i bambini soldato raggiungano la cifra di mezzo milione - e dello spettatore, è verso l'orrore, raccontato dal regista con una linearità che rasenta il pudore autoriale, proprio per la forza incontenibile dei fatti e delle immagini. Agu, che alle spalle ha la famiglia sterminata come tanti, trasforma la sua emotività ancora vulnerabile in un odio in cui sono assenti vincoli morali, diventando una spietata macchina di morte. Un ragazzino che all'inizio del film si vede invece scherzare e sorridere, come la sua età impone.
"Era importante per me mostrare la vita familiare di Agu - ha precisato Fukunaga - una vita felice nonostante la crisi del suo Paese. Mettendoci quel senso di affetto per le persone e le cose, importante per capire cosa poi quel bambino va a perdere e che cosa tenta di riconquistare alla fine del film". Rivelandoci le dinamiche psicologiche che innervano il rapporto tra carnefice e vittima, violentatore e violentato e le connessioni ipocrite tra potere politico e militare, fagocitando le azioni e decisioni di chi dovrebbe, invece, servire la pace e il progresso. Soprattutto non vuole giudicare i personaggi, ma giustamente non evita di descrivere la confusione e il collasso morale che li circonda, quelli che ogni guerra, in ogni Paese e in ogni tempo, porta spietatamente con sé. Luca Pellegrini, Radio Vaticana, Radiogiornale del 3 settembre 2015.
Fattitaliani

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