Va
in scena al Teatro alla Scala dal 4 al 24 luglio Otello
di Gioachino Rossini, la cui ultima esecuzione nella sala del
Piermarini risale al settembre del 1870. La nuova produzione
scaligera schiera nei ruoli principali Gregory Kunde (Otello), Olga
Peretyatko (Desdemona), Juan Diego Flórez (Rodrigo) ed Edgardo Rocha
(Jago); lo spettacolo di Jürgen Flimm si sviluppa a partire da
un’idea scenografica di Anselm Kiefer, l’orchestra è diretta da
Muhai Tang.
Jürgen
Flimm
è una figura maggiore del teatro d’opera di prosa europeo: i suoi
lavori, realizzati a fianco di grandi musicisti tra cui ricorre la
figura di Nikolaus Harnoncourt, sono stati rappresentati alle Opere
di Vienna e Berlino, al Metropolitan e al Covent Garden. Per il
Festival di Salisburgo ha firmato una nuova produzione del Ring
di Wagner nel 2000, e gli spettatori scaligeri ricordano il suo
Wozzeck
che dopo aver debuttato nel 1997 con Sinopoli ed essere tornato con
Conlon e Gatti, chiuderà la stagione 2014/2015 con la direzione di
Ingo Metzmacher.
Flimm
firma anche le scenografie, realizzate a partire dai bozzetti di uno
dei più significativi artisti viventi, Anselm
Kiefer,
noto ai milanesi anche per la sua spettacolare installazione
permanente I
sette palazzi celesti
all’Hangar Bicocca. Kiefer si è avvicinato al mondo della musica
con alcune tele ispirate a Richard Wagner negli anni ‘70 per poi
dedicarsi a diversi progetti scenografici tra cui la memorabile
Elektra
di Strauss realizzata al San Carlo di Napoli nel 2003 con la regia di
Klaus Michael Gruber e la prima assoluta di Am
Anfang
di Jörg Widmann all’Opéra di Parigi nel 2009.
Sul
podio Muhai
Tang:
nato e diplomato a Shanghai ma perfezionatosi a Monaco, Tang viene
invitato per la prima volta a dirigere i Berliner Philharmoniker da
Karajan nel 1984 e ricopre posizioni stabili alla Gulbenkian di
Lisbona, alla Filarmonica delle Fiandre, alla Finnish Opera e alla
Zürcher Kammerorchester. Tra i suoi impegni recenti ricordiamo
proprio Otello
di Rossini all’Opera di Zurigo nella messa in scena di Moshe Leiser
e Patrice Caurier con Cecilia Bartoli, da cui è stato tratto un dvd
Decca (2014).
Il
cast
Costruito
sulle possibilità di tre dei maggiori cantanti dell’epoca di
Rossini, Otello
presenta la distribuzione vocale consueta al Rossini degli anni
napoletani, in cui una figura femminile centrale è attorniata da due
o più ruoli tenorili di spiccato virtuosismo. Desdemona alla Scala è
Olga
Peretyatko,
fresca vincitrice del Premio Abbiati della Critica Italiana e
interprete rossiniana autorevole. Nata a San Pietroburgo, la
Peretyatko si è affermata all’Opera di Amburgo e al Festival
rossiniano di Pesaro prima di calcare i maggiori palcoscenici
internazionali, da Salisburgo alla Scala, dove è stata protagonista
l’anno scorso de “Una sposa per lo zar” di Rimskij-Korsakov
diretta da Daniel Barenboim. È in uscita per Sony il suo nuovo cd
interamente dedicato a Rossini.
Gregory
Kunde,
affermatosi tra i più validi tenori rossiniani già negli anni ’90
interpretando numerosissimi titoli tra cui anche Otello,
ha successivamente ampliato il suo repertorio fino a imporsi come
autorevole Otello di Verdi. Oggi ritorna alla lettura belcantistica
della tragedia shakespeariana dopo essere stato un applauditissimo
Enée ne Les
Troyens
di Berlioz diretto da Antonio Pappano l’anno scorso alla Scala
(dove ha cantato anche in Stabat
Mater,
Don
Giovanni,
Don
Pasquale
e Armide
con Riccardo Muti, La
sonnambula
con Maurizio Benini).
Rossini
e il suo librettista affidano un ruolo di primissimo piano a Rodrigo,
la cui aria “Che ascolto ohimè che dici” è uno dei momenti più
attesi dell’opera. Soprattutto se a cantarlo è un grande
rossiniano come Juan
Diego Flórez:
al Piermarini ha debuttato il 7 dicembre 1996 come Chevalier Danois
in Armide
di Gluck diretta da Riccardo Muti, tornando subito dopo come Fenton
in Falstaff,
sempre con Muti, e quindi ne Il
cappello di paglia di Firenze
di Rota, Il
barbiere di Siviglia
(con Riccardo Chailly nel ’99), Nina
o sia la pazza per amore
di Paisiello (sempre 1999, con Riccardo Muti), La
sonnambula (2001,
accanto a Nathalie Dessay), L’italiana
in Algeri (2003),
La
Cenerentola (2005),
La
fille du régiment (2007),
La
donna del lago
(2011 con Roberto Abbado), Le
Comte Ory
(2014).
Il
terzo tenore del cast, nella parte di Jago, è il giovane uruguayano
Edgardo
Rocha,
che ha mosso i primi passi in Italia al Festival della Valle d’Itria,
al Maggio Fiorentino e all’Opera di Roma prima di debuttare
all’Opernahus di Zurigo, alla Staatsoper di Vienna, agli
Champs-Elysées a Parigi e ora alla Scala. Elmiro, padre di
Desdemona, è il basso parmigiano Roberto
Tagliavini,
che alla Scala è già stato Lord Sidney ne Il
viaggio a Reims,
il Re in Aida
e Ferrando ne Il
trovatore,
mentre la confidente Emilia ha la voce di Annalisa
Stroppa.
L’opera
Otello,
su
libretto di Francesco Berio di Salsa, presentato per la prima volta
al Teatro del Fondo il 18 gennaio 1817, è la seconda opera
napoletana di Rossini, facendo seguito a Elisabetta,
regina d’Inghilterra
che fu commissionata al pesarese da Domenico Barbaja per il Teatro di
San Carlo. Il cast della prima comprendeva il grande soprano Isabella
Colbran (che Rossini avrebbe sposato nel 1822 e sulle cui
caratteristiche vocali gli studiosi si esercitano da decenni) e nelle
parti maschili i due leggendari tenori che dominavano le scene in
quegli anni: il bergamasco Andrea Nozzari, baritenore dal timbro
brunito per cui Rossini scrisse 9 ruoli da protagonista (Leicester
nell’Elisabetta,
Otello,
Rinaldo in Armida,
Osiride nel Mosé,
Agorante in Ricciardo
e Zoraide,
Pirro in Ermione,
Rodrigo ne La
donna del lago,
Paolo Erisso nel Maometto
e Antenore in Zelmira),
e il napoletano Giovanni David, sulle cui qualità vocali sono
ritagliate anche le parti di Ricciardo in Ricciardo
e Zoraide,
Oreste in Ermione,
Uberto ne
La donna del lago
e Ilo in Zelmira.
La Colbran fu ispiratrice e prima interprete delle eroine femminili
di tutte le opere sopra citate. Tra il 1815 e il 1822 Rossini scrive
dunque per una compagnia ricorrente, in cui accanto alla protagonista
femminile svettano due voci di tenore fortemente caratterizzate, e
per un’orchestra di grandi possibilità come quella di Napoli.
A
Napoli Rossini attraversa una fase di maggiore libertà nella scelta
delle fonti e degli argomenti, che al mondo classico e antico
accostano ora paesaggi nordici e nuove sensibilità romantiche
accogliendo tra i testi ispiratori Shakespeare (appunto Otello,
che accoglie anche alcuni versi di Dante) ma anche Walter Scott (La
donna del lago).
È tuttavia la struttura stessa dell’opera a giovarsi delle nuove
possibilità offerte da Napoli: la concatenazione di numeri che
compone il finale di Otello
costituisce una scena unica di notevole complessità: ritroveremo la
stessa forma nel grande finale di Ermione.
Nel contempo la scrittura orchestrale si fa più ricca, fino ad
accogliere echi beethoveniani (lo si era già visto nella scena del
carcere dell’Elisabetta).
Tante
novità erano destinate a sorprendere e a colpire letterati e
musicisti. Stendhal ebbe reazioni contrastanti, rimproverando
compositore e librettista di non aver saputo mostrare abbastanza
l’amore tra Otello e Desdemona, in modo da giustificare la
successiva esplosione della gelosia, ma addossando in ultima analisi
la responsabilità sul poeta: “Nell’Otello,
– scrive nella Vita
di Rossini
– elettrizzati dai canti meravigliosi, trasportati dalla bellezza
incomparabile del soggetto, rifacciamo noi stessi il libretto”. Un
libretto che a noi pare certo debole dal punto di vista letterario,
ma almeno lineare dal punto di vista drammaturgico.
Anche
Schubert interviene su Otello
scrivendo all’amico Anselm
Hüttenbrenner, compositore e pianista: “Non puoi negargli un genio
straordinario: l’orchestrazione è spesso estremamente originale e
anche le parti vocali, a parte le solite galoppate italiane e alcune
reminiscenze di Tancredi”.
Più tardi, ormai soppiantato sulle scene dall’omologo verdiano,
l’Otello
di Rossini diviene una bandiera di posizioni antiromantiche di stampo
nicciano (ma già Schopenhauer scriveva: “quando si è abituati a
sentire Rossini qualunque altra musica diventa pesante”) e
neoclassicista, comunque accomunate da una visione semplicistica del
pesarese, ridotto ai termini di un razionalismo cinico, settecentista
e magari volterriano (proprio lui, notoriamente devotissimo).
“Rossini – scrive Alberto Savinio nella sua Scatola
Sonora
– di cui mai il fiato dell’anima appanna la gelida tersità”;
mentre il fratello, Giorgio de Chirico, lo proponeva come antidoto ai
turgori del corrispettivo verdiano. Occorrerà la “Rossini
Renaissance” degli anni ‘70 e ‘80 (ma la prima incisione
discografica risale al 1960, con Virginia Zeani) per collocare Otello
nel contesto specifico degli anni napoletani e nel percorso
complessivo del compositore, e restituire all’ascoltatore la
complessità e singolarità di un’opera straordinaria.