Mostre, al Museo nazionale del Cinema di Torino “Cinema neorealista - Lo splendore del vero nell’Italia del dopoguerra”

Si è aperta al Museo nazionale del Cinema di Torino la mostra “Cinema neorealista – Lo splendore del vero nell’Italia del dopoguerra” che fino al 29 novembre propone un percorso espositivo ricchissimo e articolato per conoscere e approfondire una indimenticabile e importantissima stagione del cinema italiano. Il servizio di Luca Pellegrini

Le immagini e le sequenze di film che hanno fatto la storia del cinema italiano e mondiale accolgono il visitatore all’interno degli spazi suggestivi della Mole Antonelliana torinese. Ci si emoziona dinanzi a tappe significative che fanno parte del nostro patrimonio artistico e culturale, ai capolavori di Rossellini, De Sica, Visconti, Lattuada, Lizzani: le loro sceneggiature, note di produzione, lettere, diari e memorie. Poi, ecco veri e propri documenti inediti su quella incredibile stagione di cinema. E ancora, manifesti e materiali pubblicitari. Momenti indimenticabili: “Roma città aperta”, “La terra trema”, il raro e prezioso documentario di Antonioni del ’39, “Gente del Po”, “Germania anno zero”, “Bellissima”, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano”. Un’esperienza storica e vitale che ancora ci sorprende, come afferma ai nostri microfoni  il Direttore del Museo e curatore della Mostra, Alberto Barbera:
R. – C’è un’immagine consolidata, e anche storicamente del tutto attendibile, che riguarda il neorealismo italiano e cioè il fatto che sia stata una rivoluzione estetica che ha rotto con tutte le convenzioni che avevano segnato il cinema italiano e non solo quello dell’anteguerra, che era cinema di studio, cinema di attore, cinema di sceneggiatura, cinema fortemente codificato e stereotipato… Quindi, una rivoluzione estetica che ha introdotto nuovi parametri, un'attenzione nei confronti della realtà, precedentemente quasi inesistente in quelle forme e in quelle modalità. Tutto questo, però, mette in ombra o non evidenzia un altro aspetto che invece è una componente essenziale di quelle esperienza storica così importante, così ancora oggi vitale e significativa, e cioè il fatto che alla base di tutto ci fosse un atteggiamento etico nuovo da parte dei registi. Una sorta di impegno a voler raccontare quella realtà che fino alla scomparsa del fascismo era stata occultata, mistificata, falsificata. Un atteggiamento, quindi, di scoperta, di apertura, un atteggiamento morale che imponeva ai registi – come dire – di rivendicare i valori nuovi, fondati su un atteggiamento di franchezza, di libertà – insieme creativa, ma anche politica e sociale – e di responsabilità nei confronti di questa realtà raccontata.
D. – La Mostra come si presenta e in che modo aiuta a conoscere il Neorealismo?   
R. – Intanto, dire qualcosa di veramente nuovo oggi sul Neorealismo è quasi impossibile, perché è stato sicuramente uno dei momenti storici più studiati, più analizzati, anche in profondità e anche con letture articolate. Quello che tenta di fare la mostra è duplice. Da un lato ha questa vocazione, se vogliamo anche un po’ pedagogica, di far scoprire ai giovani di oggi un’esperienza che è imprescindibile e che bisogna assolutamente conoscere per capire che cos’è, che cosa è diventato e perché il cinema moderno è diventato quello che è. Dall’altro, in qualche modo, però, approfondisce anche alcuni aspetti: per esempio, mette in evidenza come non si possa pensare al Neorealismo come a una forma di semplificazione e di approccio immediato e istantaneo alla realtà. C’era tutto un lavoro di costruzione, anche nei film realisti, anche nei film che sembravano improvvisati, che invece è fondamentale, perché qualsiasi immagine ripresa da una macchina da presa e messa in scena da un regista è un’immagine, appunto, costruita. Luca Pellegrini, Radio Vaticana, Radiogiornale del 10 giugno 2015.
Fattitaliani

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