Alejo Carpentier, il romanzo d'esordio "Écue-Yamba-ó" per la PRIMA VOLTA in Italia: una pietra miliare della letteratura ispanoamericana

Pietra miliare della letteratura ispanoamericanacaratterizzato da una scrittura avanguardista, ricca ed evocativa, che concilia tradizione e surrealismo,  Écue-Yamba-Ó è un testo fondamentale per comprendere la realtà cubana di inizio '900 e presenta il seme della futura produzione letteraria di Alejo Carpentier. 
Vi si trovano i temi a lui cari come la musica e le tradizioni afrocubane,  ma soprattutto quell'amore per la parola, quella ricercatezza lessicale  che lo rendono uno scrittori tra i più influenti del suo genere

EDIZIONI LINDAU, Torino 
pagine 232 | euro 21

Introduzione di Vittoria Martinetto
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«Alejo Carpentier in Italia non è noto quanto dovrebbe. È uno dei più grandi intellettuali latinoamericani del secolo scorso, vincitore nel 1977 del premio Cervantes, autore di opere come Il secolo dei LumiI passi perdutiL'arpa e l'ombra. Un autore che merita grande attenzione.» Bruno Arpaia, «la Repubblica»


Écue-Yamba-ó significa «Dio, tu sia lodato». 
L’Écue, o gallo vivente, è sinonimo di «grande mistero». 
Écue-Yamba-ó è un’invocazione che significa: «Tu sia benedetto». Da qui, «Dio tu sia lodato»

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Dal libro
Prefazione di Vittoria Martinetto
Dell'importanza di Écue-Yamba-ó

Nel suo Prólogo El reino de este mundo (Il regno di questo mondo), opera pubblicata nel 1949 che lo consacrò come uno dei più grandi scrittori latinoamericani del XX secolo, il cubano Alejo Carpentier (1904-1980) utilizzava per primo l’ossimoro di reale meraviglioso – che avrebbe poi avuto larga fortuna nell’ambito delle lettere continentali dando origine, nel tempo, al concetto letterario di realismo magico – adattando alla realtà americana la lezione avanguardista appresa in Francia, dove visse esule per un decennio alla fine degli anni ’20.
Nato a Losanna, da un architetto francese e da una traduttrice di origine russa poi trasferitisi a Cuba, Carpentier era cresciuto in un ambiente di meticciato culturale, mostrandosi sensibile fin da giovane al valore della cultura afrocubana. Nel 1927, durante i sette mesi di incarcerazione da parte del regime di Gerardo Machado con l’accusa di professare idee comuniste, il giovane Carpentier si cimentò con quello che sarebbe stato il suo primo romanzo – Ècue-yamba-ó – per «ingannare il tedio» delle ore di prigione. Un anno più tardi, quando, grazie all’aiuto dell’amico poeta Robert Desnos, si rifugiò a Parigi e venne a contatto con gli ambienti surrealisti, Carpentier ne rielaborò il testo che vedrà la luce a Madrid nel 1933.
Il romanzo, inizialmente passato inosservato, metteva già in risalto Carpentier fra quegli intellettuali che cercavano di incorporare elementi di primitivismo in forme d’arte d’avanguardia. Questo aspetto, tuttavia, acquista una rilevanza ben maggiore alla luce di quello che sarebbe stato il tratto distintivo e originale di tutta la sua opera successiva.
La critica non ha esitato, infatti, ad attribuire a Écue-yamba-ó un formidabile valore archeologico, malgrado il veto posto per lunghi anni dall’autore alla sua riedizione per considerarlo «una cosa da principiante, pittoresca, senza profondità », come poi ebbe a spiegare nel prologo all’edizione definitiva del 1975. Raccontando in tale occasione le vicissitudini che avevano visto il romanzo circolare in edizioni pirata costellate di refusi, convincendolo a rivederlo e pubblicarlo, Carpentier illustrava il contesto di quegli anni in cui tentava di conciliare tradizione e avanguardia, concludendo col definire Écue-yamba-ó un prodotto «ibrido» non privo di qualche «genialità».
A dire il vero, l’interesse per questo romanzo non risiede in tale modesta concessione o nel valore documentale evidenziati dall’autore, ma nell’essere, innanzitutto, un esempio sublime di adattamento romanzesco delle tematiche afrocubane, dove la santeria e la musica occupano un ruolo centrale. Tuttavia, l’aspetto più avvincente è, a nostro avviso, il fatto che Écue-yamba-ó annunci la poetica che sarà l’asse portante del pensiero e dell’arte di Alejo Carpentier, il quale, reagendo all’artificialità del primitivismo estetico dell’avanguardia surrealista francese, comincia ad affermare proprio in questo primo romanzo il recupero di un primitivismo genuino e tutto americano. Pur non negando il debito di gratitudine all’esperienza surrealista, infatti, lo scrittore cubano si sarebbe allontanato da quelli che definisce taumaturghi divenuti burocrati nel voler suscitare il meraviglioso a tutti i costi con trucchi da illusionisti. La concezione surrealista della meraviglia insita nelle contraddizioni che appaiono in seno al reale e il potere di suggestione nell’accostamento di oggetti insoliti con oggetti triviali, che è per Breton il compito più alto che la poesia possa perseguire, generano in Carpentier l’intuizione di un nuovo meraviglioso – quello nato dal contatto con la realtà americana – allo stato per così dire puro, cui lo scrittore avrebbe aggiunto un consapevole lavoro di ricerca e di studio. Ma avvicinare il meraviglioso alla realtà non significava, per lo scrittore cubano, riconciliarsi tout court con i dettami del realismo. Significava adattare i temi mutuati dal surrealismo alla scoperta di un’insospettata polivalenza del mondo americano. Fu dunque il contatto fisico con tale iperbolica versione della realtà americana a richiamare nella mente di Carpentier un parallelismo con gli insoliti accostamenti creati artificialmente dagli artisti e dai poeti surrealisti, non viceversa. Quella inattesa «alterazione della realtà», paragonata al miracolo, quella «rivelazione privilegiata» del meraviglioso, vissute con un’intensità simile agli états limites descritti dai surrealisti, gli vengono suggerite dalle ricchezze e dai paradossi prima inavvertiti di una cultura intrinsecamente ibrida. È così che il meraviglioso necessita dell’aggiunta del termine «reale». Si tratta, per Carpentier, di raccontare un incontro: «A ogni passo – si stupiva – trovavo il reale meraviglioso». Solo un ossimoro barocco, come quello appena coniato, poteva siglare questo avvicinamento a una problematica genuinamente americana avvenuto grazie a una conciliazione fra continuità e rottura. Del resto, quand’anche non si volesse tener conto dell’esperienza surrealista, Carpentier avrebbe avuto ragione nel ricorrere al concetto di meraviglioso, dal momento che, come concluse nel famosoPrólogo del 1949, la Storia stessa dell’America non è altro che «una cronaca del reale-meraviglioso». È universalmente noto, infatti, prima e dopo Carpentier, come le categorie del meraviglioso abbiano accompagnato la visione del Nuovo Continente sin dal momento della sua scoperta, fino a diventarne stigma in quell’esotismo – talvolta vigente fino ai nostri giorni – attraverso cui si è valutata la produzione letteraria continentale soprattutto a partire – malgré soi – da un grande ammiratore di Carpentier, quale fu García Márquez. La raffinata operazione del grande scrittore cubano aveva invece inteso contribuire, in tempi non sospetti, a sdoganare la cultura latinoamericana da un certo tipicismo che prima di lui aveva talvolta prodotto una narrativa provinciale che non attingeva quella trascendenza e quell’universalità che un piccolo gioiello narrativo come Écue-yamba-ó già annunciava.

«Spigoloso, dalle linee semplici come una figura di teorema, il complesso dello Zuccherificio San Lucio si ergeva al centro di un’ampia valle orlata da una cresta di colline blu. Il vecchio Usebio Cué aveva visto crescere il fungo di acciaio, ferro e cemento sulle rovine degli antichi torchi, assistendo, anno dopo anno, con una specie di panico ammirato, alle conquiste di spazio compiute dalla fabbrica. Per lui la canna da zucchero non aveva misteri. Non appena spuntava fra i grumi di terra nera, la sua crescita proseguiva senza sorprese. Il saluto della prima foglia; il saluto della seconda foglia. I cannelli che si gonfiano e si allungano, lasciando qua e là un piccolo solco verticale per l’occhio. La palese gratitudine dinanzi alla pioggia annunciata dal volo basso degli avvoltoi. Il germoglio, che un giorno si allontanerà sul pomo di una sella. Dal limo alla linfa, una concatenazione perfetta.»

L'Autore

Alejo Carpentier (1904-1980), nato a Losanna da un architetto francese e da una traduttrice di origine russa poi trasferitisi a Cuba, è cresciuto in un ambiente di meticciato culturale, mostrandosi sensibile fin da giovane al valore della cultura afrocubana. Molto ammirato da García Márquez, la sua opera ha contribuito a elevare e nobilitare la cultura latinoamericana e i suoi narratori. In Italia i suoi lavori sono stati pubblicati, tra gli altri, da Sellerio (Il secolo dei lumi, 1999), Einaudi (L’arpa e l’ombra, 1997) e Baldini Castoldi Dalai (L’Avana, amore mio, 2004).
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