A
volte ci si chiede come succeda che parole che significano una certa
cosa, alla distanza poi vadano a significare una cosa diversa,
contraria e, addirittura, opposta. Dipende forse dalle parole?
Certamente, no! Dipende dal comportamento dei parlanti, e, se
vogliamo, dalle modalità con cui si formano nella nostra testa i
significati delle parole che usiamo, e da come essi si modificano a
mano a mano che noi parlanti le usiamo. Avevamo già visto questo
fenomeno a proposito dell’avverbio affatto (vedi
il mio articolo su “affatto” ).
Se
per la prima parte della risposta entra in gioco la psicologia, cioè
il funzionamento della nostra mente nella dinamica dell’apprendimento
della lingua, per la seconda parte invece ci soccorre la semantica
storica (o diacronica come si preferisce dire oggi), una scienza
squisitamente linguistica, che studia cioè i meccanismi di
formazione e di trasformazione del significato, quali ne siano le
cause.
Oggi
nella lingua italiana abbiamo due parole: feria e festa,
le quali, data la loro origine latina, se non sono proprio sinonimi
almeno sono molto vicine per significato. Nel nostro conversare
quotidiano la
feria –
o meglio le ferie – sono le giornate di vacanza dal lavoro;
mentre le
feste sono
giornate particolari, di celebrazione o di commemorazione, legate
generalmente a ricorrenze o religiose o patriottiche; comunque per
chi lavora sono ugualmente giorni di vacanza dal lavoro. Fin qui,
considerata la loro origine (che cercheremo di vedere meglio nel
dettaglio, seppure nei limiti modesti delle finalità divulgative che
ci siamo assegnate), non dovremmo avere difficoltà a riconoscerle
come sinonimi.
Ma
allora perché gli aggettivi da esse derivati sono di segno opposto?
Visto che i giorni feriali sono
giornate lavorative e i giorni
festivi sono
giornate di riposo (detti anche non-lavorativi).
Anche
la debole opposizione che esiste oggi tra feria e festa che
le vorrebbe specializzate, una per il versante civile e l’altra per
quello religioso, non regge, se solo andiamo leggermente all’indietro
nel processo logico-semantico che ne giustifica l’uso moderno.
Infatti, se il ferragosto è
la banalizzazione del nome di un’antica festività romana (Feriae
Augustae)
vediamo bene come con la parola feriae si
indicava proprio una festività popolare di origine religiosa.
Inoltre non dobbiamo dimenticare che l’uso di feria si
è diffuso in ambiente cristiano per indicare il nome dei giorni
della settimana, da feria prima (domenica)
a feria
sexta (venerdì),
non potendosi accettare di nominare i giorni con riferimento agli dei
pagani (vedi
l’articolo “I
giorni della settimana” ).
Secondo
questo uso feria significava
proprio festa (religiosa).
E solo col trascorrere del tempo, opponendosi il termine
feria all’altro
con cui veniva chiamata la domenica (dies
festa;
e successivamente dies
dominica),
le due parole andarono a significare proprio quello che diciamo oggi
con le parole: feriale e festivo.
Intendendo con feriale “giornata
normale”, e con festiva “giornata
particolare”.
Concludo,
ora come promesso, con un breve accenno alle radici latine delle due
parole. Il Benveniste (Vedi:
Emile Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee –
Ed. italiana: Torino 1976) le fa risalire all’antica parola
latina fas (=
è lecito) da
cui derivano i primi composti fastus (=giorno
fausto: in cui si può rendere giustizia) e festus (=giorno
festivo, gioioso). E anche nefastus (=interdetto
dalla religione) e infestus (=ostile).
A fas si
oppone ne-fas (=
non lecito). Entrambe si ricollegherebbero al verbo for,
faris; fatus sum; fari (=
dire). Tutte queste parole appartengono alla sfera lessicale
(l’insieme delle parole) del diritto divino (vedi
il nostro articolo “Fatum” ).
Della
stessa famiglia fa parte fanum (=
tempio): ricostruito da fas+nom,
da cui verrebbe fes-na e
fesiae che
dà feriae (=feste).
Luigi
Casale