Siamo andati ad ascoltare Sandoval col rispetto
che si deve a un trombettista dalla storia emblematica e che era
entrato nel nostro immaginario non soltanto con le sue straordinarie
qualità musicali, ma anche con la storia stessa della sua vita.
Addirittura è stato celebrato - cosa che si fa raramente con
artisti ancora in vita - da un film per la televisione del 2000,
girato dal regista Joseph Sargent e con un eccellente Andy Garcia che
ne interpreta il personaggio.
D’altra parte, la vicenda di un
giovane musicista cubano innamorato del bebop, di Charlie Parker e di
Clifford Brown che negli anni Settanta incomincia ad esibirsi nelle
grandi orchestre americane, è una storia da raccontare. Alla fine
Sandoval ha fatto degli Stati Uniti la sua patria d’elezione grazie
al suo talento che lo ha avvicinato all’orbita di Dizzy Gillespie e
al jazz di Stan Getz, di Woody
Herman, di Woody Shaw
e di Tony Bennet, ma con deviazioni anche verso la musica di
consumo e verso il cinema per il quale firma alcune colonne sonore.
Questo era l’antefatto che ha motivato la
nostra presenza al concerto e l’aspettativa era di quelle che
restano impresse nella memoria, convinti che ci saremmo trovati di
fronte a un “monumento”. Sandoval ha
confermato di non essere solo un virtuoso degli acuti, ma di essere
un musicista completo, in grado di esplorare nella profondità i toni
gravi della sua musica e di regalare emozioni importanti con
invenzioni liriche soprattutto sulle ballad,
pur mantenendosi nei registri medi dello strumento.
Nonostante ciò
la serata di sabato ha lasciato a bocca asciutta chi si aspettava di
divertirsi con del buon latin jazz o con del bibop. In realtà i
musicisti si sono cimentati in un repertorio un po’ stantio dove
più che la tromba del leader è stata offerta la sua presenza
scenica, da vero show man, quasi da intrattenitore fine a se stesso
che cerca l’applauso in modo a volte troppo gigionesco. Si è
cimentato nel canto facendo uso di effetti percussivi e di
grandi salti di tono in una forma di canto scat
che non sempre ha convinto e si è espresso anche con pianoforte e
tastiere ma senza raggiungere i livelli del suo strumento d’elezione.
Si è presentato con una band che lo segue oramai da tempo, ma che
forse ripete un po’ sempre le stesse cose e che non comunica quel
gioco d’intese che fa grande il jazz: il cimbalon con le sue
sonorità da Europa centro-orientale è restato avulso dalle
esecuzioni, se si esclude l’indubbio virtuosismo di Marius Preda,
la sezione ritmica è rimasta statica e non basta la presenza di
congas e di maracas per fare musica latina. Eppure quando Sandoval ha
concesso del buon jazz, la forza e l’energia sono stati travolgenti
e hanno infiammato l’accondiscendente pubblico dell’Alighieri che
forse si meritava di più di un solo A
night in Tunisa, nel bis dopo appena
un’ora di concerto.
Cesare G. Albertano
Ravenna, Teatro
Alighieri, 9 maggio 2015
ARTURO SANDOVAL
SEXTET
Arturo Sandoval –
tromba;
Kemuel Roig –
pianoforte;
John Belzaguy –
basso el.; Alexis Arce – batteria;
Ricardo "Tiki" Pasillas –
percussioni; Marius Preda –
cimbalom