ARTURO SANDOVAL SEXTET al RAVENNA 42° JAZZ CLUB. La recensione di Fattitaliani

Siamo andati ad ascoltare Sandoval col rispetto che si deve a un trombettista dalla storia emblematica e che era entrato nel nostro immaginario non soltanto con le sue straordinarie qualità musicali, ma anche con la storia stessa della sua vita. Addirittura è stato celebrato - cosa che si fa raramente con artisti ancora in vita - da un film per la televisione del 2000, girato dal regista Joseph Sargent e con un eccellente Andy Garcia che ne interpreta il personaggio. 

D’altra parte, la vicenda di un giovane musicista cubano innamorato del bebop, di Charlie Parker e di Clifford Brown che negli anni Settanta incomincia ad esibirsi nelle grandi orchestre americane, è una storia da raccontare. Alla fine Sandoval ha fatto degli Stati Uniti la sua patria d’elezione grazie al suo talento che lo ha avvicinato all’orbita di Dizzy Gillespie e al jazz di Stan Getz, di Woody Herman, di Woody Shaw e di Tony Bennet, ma con deviazioni anche verso la musica di consumo e verso il cinema per il quale firma alcune colonne sonore.

Questo era l’antefatto che ha motivato la nostra presenza al concerto e l’aspettativa era di quelle che restano impresse nella memoria, convinti che ci saremmo trovati di fronte a un “monumento”. Sandoval ha confermato di non essere solo un virtuoso degli acuti, ma di essere un musicista completo, in grado di esplorare nella profondità i toni gravi della sua musica e di regalare emozioni importanti con invenzioni liriche soprattutto sulle ballad, pur mantenendosi nei registri medi dello strumento. 
Nonostante ciò la serata di sabato ha lasciato a bocca asciutta chi si aspettava di divertirsi con del buon latin jazz o con del bibop. In realtà i musicisti si sono cimentati in un repertorio un po’ stantio dove più che la tromba del leader è stata offerta la sua presenza scenica, da vero show man, quasi da intrattenitore fine a se stesso che cerca l’applauso in modo a volte troppo gigionesco. Si è cimentato nel canto facendo uso di effetti percussivi e di grandi salti di tono in una forma di canto scat che non sempre ha convinto e si è espresso anche con pianoforte e tastiere ma senza raggiungere i livelli del suo strumento d’elezione. Si è presentato con una band che lo segue oramai da tempo, ma che forse ripete un po’ sempre le stesse cose e che non comunica quel gioco d’intese che fa grande il jazz: il cimbalon con le sue sonorità da Europa centro-orientale è restato avulso dalle esecuzioni, se si esclude l’indubbio virtuosismo di Marius Preda, la sezione ritmica è rimasta statica e non basta la presenza di congas e di maracas per fare musica latina. Eppure quando Sandoval ha concesso del buon jazz, la forza e l’energia sono stati travolgenti e hanno infiammato l’accondiscendente pubblico dell’Alighieri che forse si meritava di più di un solo A night in Tunisa, nel bis dopo appena un’ora di concerto.

Cesare G. Albertano

Ravenna, Teatro Alighieri, 9 maggio 2015
ARTURO SANDOVAL SEXTET
Arturo Sandoval – tromba;
Kemuel Roig – pianoforte;
John Belzaguy – basso el.; Alexis Arce – batteria;
Ricardo "Tiki" Pasillas – percussioni; Marius Preda – cimbalom
Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top