Massimo Natale ha
trascorso venti anni della sua carriera a fare l’ufficio stampa di Teatro
(guardando lavorare il Grande Maestro Pietro Garinei), di cinema e televisione.
E’ direttore di Kalitera Production, autore insieme ad Ennio Speranza ed Andrea
Tagliacozzo, di “Zio Pino” che ha riscosso grande successo di
critica e di pubblico, al Teatro Golden dove è stato in scena fino al 19 aprile scorso. L'intervista di Fattitaliani.
Chi è Zio Pino?
E’ un vecchio
generale, titolare di una cospicua pensione di cinquemila euro al mese che ha
in casa, due nipoti nullafacenti, o meglio, una nipote nullafacente, Clelia,
interpretata da Euridice Axen ed un nipote, Simone Montedoro che è un po’
succube di questa sorella dal polso di ferro e che hanno deciso per comodità di
vivere alle spalle della pensione dello zio. Un giorno questo zio, come
purtroppo capita alle persone di una certa età, muore e quindi che succede nel
momento in cui viene a mancare la pensione? Questo è lo sviluppo della commedia che abbiamo voluto raccontare.
Credo che l’argomento sia molto attuale, una volta i
nonni servivano a dare una mano con i nipoti, adesso la danno anche
economicamente.
La pensione per chi
ha già la mia età, figurati le future generazioni, è ormai una chimera. Proprio
l’altro giorno, stavo leggendo che c’è stata un’indagine in cui hanno indagato
duecento persone che intascavano la pensione di parenti deceduti da tempo.
Purtroppo è una situazione molto attuale, non solo perché l’italiano è portato
a delinquere ma perché in questo momento, l’italiano è costretto a
sopravvivere, visto che il mondo del lavoro è un disastro, l’economia è in
crisi, ognuno si arrangia come può.
Simone Montedoro fa un personaggio molto forte, riesce
con una grande mimica a rendere l’idea di quanto sia succube della sorella.
Con Simone ed
Euridice, ci siamo scoperti l’anno scorso con lo spettacolo “Se tornassi
indietro”, abbiamo deciso di continuare insieme l’avventura. L’anno scorso
erano marito e moglie, quest’anno sono stati fratello e sorella. Con Simone
abbiamo costruito un personaggio così perdente ma alla fine capace di un colpo
d’ali. Simone è un attore straordinario ma è soprattutto una persona
straordinaria. Nella pièce, oltre a loro due, ci sono Stefano Fresi e Noemi
Sferlazza che completano il cast. Abbiamo formato un’allegra compagnia, come se
fossimo degli studenti in gita scolastica e non una compagnia teatrale. Noemi
Sferlazzi è un’attrice uscita dalla
scuola del Teatro Golden che avevo visto in uno spettacolo di Augusto Fornari.
È brava ed era secondo me anche giusta nel ruolo, serviva una persona che potesse
rappresentare un personaggio misterioso che parte come una presenza inquietante
e poi fa scoprire una dolcezza inaspettata. Abbiamo fatto dei provini e si è
conquistata l’opportunità.
Zio Pino avrà una tournée? L’anno prossimo vorremmo mandare in tournée “Se
tornassi indietro” e fra due anni "Zio Pino".
La Tournée avrà anche delle tappe al Sud, oppure si
fermerà al centro? Speriamo di arrivare dappertutto, sono siciliano, più al Sud andiamo,
meglio è. Dovremmo andare in giro in tutt’Italia, senza nessun tipo di
preclusione.
Preclusione perché
non amano il teatro, oppure c’è dell’altro? Non ne ho la più pallida idea, mi sembra una
follia. Al Sud è una delle cose più vive che c’è. Bari, Palermo, Catania, sono
città molto vive da questo punto di vista, danno un calore di pubblico
impressionante. E’ sempre più difficile fare tournée, i periodi si sono sempre
più ristretti e quindi magari si preferisce fare le città più importanti.
Qualche piccolo paesino di passaggio per riscaldarsi. Adesso ci sono degli amici
e compagni di classe, Giampiero Ingrassia e Gianluca Guidi che sono in tournée
da quattro mesi che hanno girato l’Italia dal profondo Sud fino al Nord. Nella
compagnia c’è anche mia moglie, Silvia Delfino, per questo lo so. Onestamente
mi sembra un pregiudizio poco accorto.
Al cinema sei stato regista di “L’estate
di Martino”, ed hai appena finito di
girare in Trentino “Il traduttore”. Puoi anticiparci qualcosa su quest’ultima
fatica?
Ho girato a febbraio, con Claudia Gerini e
Kamil Kula che è un giovane attore polacco molto bravo. Un copione che mi hanno
dato due autori che hanno scritto questa storia molto bella, i loro nomi sono
Klaus e Marie, i loro cognomi sono impronunciabili. E’ stata un’esperienza molto intensa, abbiamo
girato a Trento che è una città meravigliosa. E’ una storia interessante, parla
di un ragazzo rumeno (Kamil Kula) che studia all’università, letteratura
comparata e che si trova a dover tradurre per una ricca signora (Claudia
Gerini), un misterioso diario scritto dal marito morto. E’ una storia dove si intrecciano vicende di
varia umanità, molto bella, molto attuale, ma assai poco scontata. Tutti quelli
che hanno letto il copione se ne sono innamorati. Nel film c’è la direzione
della fotografia di Daniele Ciprì e per me è stato un grande onore. Siamo
coetanei e conterranei, si è creato un sodalizio meraviglioso. Abbiamo anche una
star della musica tedesca, giudice di The Voice (Piotr Rogucki) che fa
un cameo delizioso e che abbiamo scoperto grazie a dei provini che abbiamo fatto
a Varsavia. Quando siamo usciti per strada, l’hanno fermato e c’era anche gente
che piangeva. C’è una sorprendente Anna
Safroncik che interpreta un ispettore di polizia sfregiato.
E’ una storia vera? No è una
storia inventata anche se ha delle attinenze reali di chi da straniero, viene a
vivere in Italia, non con una posizione privilegiata, perché questo ragazzo fa
la vita che fanno i nostri figli quando vanno all’estero a studiare le lingue.
Viene a studiare in Italia e per vivere, insieme alla borsa di studio, per
arrotondare, lavora in una pizzeria. Noi siamo ancora abituati a vedere gli
stranieri che arrivano in Italia, come lavavetri o altro. Invece, i due autori
hanno voluto scrivere questa storia e l’innamoramento di chi ha avuto occasione
di leggerla, è dovuto al fatto che è stato come leggere un bellissimo
romanzo. Un film un po’ diverso. Prima
ancora dell’invito della tripletta di Cannes, noi avevamo già fatto, un film
fuori dagli schemi. Speriamo che esca ad ottobre, ovviamente adesso si apre la
stagione dei Festival e vedremo se abbiamo fatto un lavoro che può piacere.
Sei figlio d’arte, tuo padre è stato il primo a portare
gli Uffici Stampa in Italia. Sei stato per anni capo Ufficio Stampa del Tempio
del Musical romano, fare questo mestiere, è stata una vocazione, una scelta
obbligata o cosa?
Da bambino cosa sognavi di fare? E’
stata una vocazione, contestata da mio padre che avrebbe voluto che facessi
altro ed ha cercato in tutti i modi di farmi passare la voglia. Confesso di
essermi innamorato di questo mestiere per un motivo molto stupido, all’inizio
questo mestiere lo odiavo perché mi privava della presenza di mio padre che
viaggiava molto e stava fuori di casa per sei sette mesi all’anno. Erano i
tempi della Dolce vita, ha fatto per tanti anni il delegato di grandi
produzioni americane. Si è seguito Antonio e Cleopatra, Ben Ur, El Cid. Faceva
questo mestiere misterioso che noi non capivamo molto. Un giorno, avevo
quindici anni, sono tornato a casa, era l’anniversario di matrimonio dei miei
genitori, nel salone ho trovato metà del cinema italiano, lì sono rimasto
folgorato perché ero abituato a vederli sullo schermo ed ho pensato “ma allora
papà è uno figo, voglio fare lo stesso mestiere”. Ha cercato di farmi cambiare
idea ma mi sono fatto raccomandare da un suo amico e mi sono fatto assumere a
Taormina e da lì ho cominciato. I primi
due anni ho lavorato con lui, e poi ho intrapreso la mia strada. Ha perdonato
la mia scelta ed in seguito è stato l’unico a licenziarmi. Era una persona
corretta, com’erano tutti quelli che appartenevano ad un’altra generazione.
Ricordo ancora delle avventure fantastiche. Un volta con Roberto De Monticelli,
un famoso critico, avevo diciannove anni, ero alle prime armi, facevo i miei
primi uffici stampa, nell’intervallo di uno spettacolo, mi sono avvicinato e saultandolo,
ho chiesto “Come va”? Mi ha guardato fucilandomi e mi ha detto “lo leggerà
domani sul giornale” perché pensava che io volessi sapere in anticipo, cosa ne
pensasse. Mio padre mi disse, “durante gli spettacoli, i critici li saluti
prima e poi li lasci stare, altrimenti sembra che vai lì per sapere il loro
commento. Sei troppo giovane per queste cose.” Oggi è tutto diverso, devo dire
che i critici esistono sempre meno.
Siamo nella cornice
del Teatro Golden, sta per concludersi la stagione, progetti per l’anno
prossimo? Stiamo scrivendo insieme ad
Ennio Speranza, uno spettacolo che si chiama”La Bella è la Bestia”. Gianluca
Ramazzotti, in qualità di produttore, mi ha proposto di dirigere uno spettacolo
“Il matrimonio nuoce gravemente alla salute” che dovrebbe andare al Festival di
Todi. Si dovrebbero rifare i concerti del lunedì, dedicati al musical. Sono
tutte coproduzioni della Kalitera Production. Sempre con Ennio Speranza, abbiamo
scritto un copione “L’Incontro” per un concorso che abbiamo fatto con il Centro
sperimentale e l’Ancine che è la Società di Cinema Brasiliano. Stiamo cercando
di montarlo, è un film che si dovrebbe girare tutto in Brasile, è un po’
complicato dal punto di vista organizzativo. Narra la storia di un medico
italiano che va in Brasile, incontra un ragazzino, lo salva dalla strada. Anche
questa una storia molto diversa dalle solite commedie.
Elisabetta Ruffolo