America
Oggi - quotidiano italiano con sede in NJ - mette i propri
giornalisti in "unemployment". I contributi della
Presidenza del Consiglio non bastano. Noi andiamo avanti da anni
senza. Crediamo che la crisi economica possa trasformarsi in una
nuova opportunità per l’informazione. E pensiamo che questo
dovrebbe capirlo anche chi destina questi aiuti. E voi cosa ne dite?
di
Letizia
Airos *
NEW
YORK - Parto da due fatti. Apparentemente lontani tra di loro,
ma legati all’argomento che voglio affrontare. Il primo è
l’annuncio di "unemployment" per i giornalisti di America
Oggi, storico
quotidiano in lingua italiana negli USA. Il secondo è l’intervista
che Bruno Vespa ci ha fatto domenica scorsa e che andrà in onda su
Porta a Porta.
Ciò
di cui voglio parlare è la possibilità che la crisi economica, che
sta sconvolgendo tutto il mondo, si trasformi in una nuova
opportunità per l’informazione. E ne parlo perché i-Italy è
nata nel 2008, proprio mentre scoppiava questa crisi.
Inizialmente
eravamo solo su Internet ma poi, con grande passione e tante
difficoltà, ci siamo consolidati diventando una presenza multicanale
importante: in rete, in carta, in televisione e sui social
network.
E’ un format ambizioso, per le sue caratteristiche innovative, per la sua indipendenza da grossi gruppi editoriali, e per la scelta di usare non solo l’italiano, ma soprattutto l’inglese per raggiungere un pubblico vastissimo: gli italo-americani, soprattutto i giovani, e gli americani che amano il nostro paese, che sono tantissimi.
E’ un format ambizioso, per le sue caratteristiche innovative, per la sua indipendenza da grossi gruppi editoriali, e per la scelta di usare non solo l’italiano, ma soprattutto l’inglese per raggiungere un pubblico vastissimo: gli italo-americani, soprattutto i giovani, e gli americani che amano il nostro paese, che sono tantissimi.
Sono stati e sono anni duri, ma anche di grandi soddisfazioni. Dal New York Times che ci telefona per saperne di più su eventi italiani a New York di cui abbiamo scritto (appunto, in inglese), a un importante critico televisivo italiano che ci ha perfino additati come un modello per… la Rai!
Insomma
siamo considerati sotto molti aspetti una “best practice”. E lo
dobbiamo a due cose: il contributo volontario di una parte dei
giornalisti, scrittori e intellettuali, italiani e americani, e una
redazione molto giovane, ma con il pallino della qualità e la voglia
di distinguersi dai tanti bloggers amatoriali che vanno in giro con
una telecamerina digitale. Per non parlare del prezioso sostegno
offertoci da due importanti istituti universitari americani: il John
D. Calandra Italian American Institute (CUNY)
e la
Casa Italiana Zerilli-Marimò (NYU).
E così andiamo avanti testardi, privi di contributi statali, alla costante ricerca di fondi in mezzo a una crisi devastante.
Un giornale che non si è saputo trasformare
Ma
veniamo ad America
Oggi.
Il quotidiano nacque nel 1988 in contemporanea alla chiusura di un
altro storico giornale dell’emigrazione italiana, Il
Progresso ItaloAmericano.
Diretto da una cooperativa di ex dipendenti de Il
Progresso appunto,
rappresentò allora un vero salto per l’informazione italiana in
America. Grazie all’intuizione di utilizzare i computer e le prime
tecnologie nuove per l’epoca; e grazie poi, soprattutto, alle
generose sovvenzioni ricevute dalla Presidenza del Consiglio,
nell’ordine di milioni di euro.
Così America
Oggi ha
potuto rappresentare per anni un importante punto di riferimento per
la comunità. Ma purtroppo questo quotidiano non è riuscito a stare
al passo con i tempi e con le trasformazioni dei suoi stessi lettori,
e soprattutto dei loro figli, che ormai non parlano più l’italiano,
anche se adorano l’Italia. Il numero di copie vendute piano piano
declina, i servizi originali sono diventati sempre più rari rispetto
a quelli costruiti sulla base dei comunicati, e il destino del
giornale si è legato all’esaurimento anagrafico della vecchia
emigrazione italiana.
Poi
è arrivata la crisi, e i contributi della Presidenza del Consiglio
negli ultimi anni sono stati ridotti. Anche se continuano a
rappresentare, a mio avviso, un cospicuo aiuto ancora oggi. Un
aiuto che, se ben amministrato, potrebbe dare la serenità necessaria
per un lavoro quotidiano, non affannato dalla ricerca di fondi. E
potrebbe garantire soprattutto i compensi dei collaboratori.
Ma
ci vorrebbe una realtà diversa, una vera vocazione che America Oggi
sembra aver perso, occorrerebbe uno spirito diverso, una capacità di
cavalcare l’onda innovativa delle nuove tecnologie. Come quello che
il quotidiano nato dopo il Progresso, aveva alla sua nascita,
vent’anni fa. E invece la proprietà ha deciso di licenziare tutti
i giornalisti…
Bruno Vespa, Il Volo, e noi...
Ma cosa c'entra Bruno Vespa in questo ragionamento? Vi spiego. Mi ha intervistata nel corso di un tour americano organizzato per una puntata speciale di Porta a Porta dedicata ai ragazzi de Il Volo. Grande lavoro di squadra, quello di Rai Uno.
E’
stato interessante vederli agire qui a New York. Il successo del noto
giornalista e quello dei giovani cantanti giustificherà certo, in
termini di share, quello
che hanno investito. Ma mentre li vedevo lavorare — ad esempio nel
ristorante Ribalta, trasformato per l’occasione in studio
televisivo — non ho potuto fare a meno di riflettere sulla mia
esperienza.
Guardavo
le loro telecamere, le luci che utilizzavano, le persone nello
staff. E pensavo: “Come ha fatto i-Italy ad arrivare fin qui?
Come abbiamo fatto a realizzare contenuti di qualità con tante
risorse in meno?” La passione è indispensabile, ma certo non
basta. Il segreto sta nella creatività e nell’utilizzo oculato
delle risorse a disposizione.
Fondamentale il contatto con chi ci legge in rete e in carta, ci vede in TV, con la vita reale del territorio. Con i giovani. E mi sono ricordata come abbiamo realizzato tre anni fa la nostra prima intervista, in carta e in video con i ragazzi de Il Volo, che ebbe un grande successo. E’ un buon esempio per capire cosa voglio dire.
Il
Volo viene
da noi in redazione per un’intervista nel corso di uno dei suoi
primi tour americani. Era in inglese e per loro era importante. Non
avevamo ancora uno studio adeguato per realizzarla. Dirò di più
avevamo in quel momento solo un microfono “lavalier” (di quelli a
pinzetta, che si applicano sotto il bavero della giacca). Non era
neanche wireless… e poi avevamo una sola telecamera! (ora siamo più
attrezzati, non vi preoccupate:-)
Ma
come fare a farli parlare tutti e tre, creando qualcosa di diverso,
di non noioso insomma? L’idea fu di metterli seduti su tre sedie
vicine, con uno schermo bianco dietro, e farli alternare ad ogni
battuta. Parlava uno per volta, quello seduto al centro. Un solo
microfono, una sola telecamera, ma tutti e tre vicini e divertiti
dentro lo schermo.
Ritmo veloce, atmosfera movimentata. Il gioco era fatto. Poi la comunicativa e la simpatia de Il Volo ha ha dato il resto. Ma è solo uno dei tanti accorgimenti, piccole uscite di genio dei miei collaboratori.
Realizzare
ogni settimana mezz’ora di televisione non banale è una bella
sfida. Anche ora che abbiamo più telecamere full HD, qualche
microfono, a volte affittiamo le attrezzature per girare in qualità
cinematografica. Abbiamo scelto di rendere ricco il programma con
segmenti diversi e più servizi, in diverse location. E
di dare sempre il massimo. Ma non può costare un occhio della testa.
E si può fare!
Si
gira con la telecamera sulle spalle, si prende la metropolitana, si
chiede la partecipazione di amici che fanno parte dell’ambiente
intellettuale italiano di New York. E poi ognuno in redazione
è consapevole di dover svolgere i ruoli più diversi,
affrontare — e risolvere — imprevisti di tutti i tipi. Abbiamo
anche una 500 tricolore disegnata da Massimo
Vignelli per
andare in giro, ma non la utilizziamo sempre. A New York garage e
parcheggi sono spesso proibitivi.
E’
un po’ forse il ritorno alle origini. Una televisione di poche
risorse, ma che per fortuna oggi ha la tecnologia dalla sua parte.
Ogni miglioramento nell’attrezzatura è stata per noi una piccola
vittoria.
E lo stesso per il nostro magazine in carta. I costi ci sono, ma si abbattono integrando i contenuti prodotti per la rete e per il video. Lo impaginiamo noi, in base ad una griglia predisposta da un ottimo grafico romano. E alla fine una professionista corregge gli errori e da’ il suo tocco artistico. Perché qualità ed eleganza vengono prima di tutto, specie per degli italiani.
E lo stesso per il nostro magazine in carta. I costi ci sono, ma si abbattono integrando i contenuti prodotti per la rete e per il video. Lo impaginiamo noi, in base ad una griglia predisposta da un ottimo grafico romano. E alla fine una professionista corregge gli errori e da’ il suo tocco artistico. Perché qualità ed eleganza vengono prima di tutto, specie per degli italiani.
E
infine i social network, in particolare Facebook,
che è il più adatto al nostro modo di comunicare. Affianca la
nostra vita e ci segue ovunque con foto e video. Li curiamo uno per
uno i nostri “amici” di Facebook, e in poco tempo sono quasi
125mila e postano migliaia di commenti al giorno, intervengono,
interagiscono.
E’ una grande sfida, specie per una redazione in buona parte italiana che vuole parlare anche a un pubblico americano. Una sfida che investe i campi più vari, fino alle traduzioni, ai sottotitoli per la televisione, ogni volta bisogna studiare come porgere la nostra cultura e renderla comprensibile. Una sfida che naturalmente ha i suoi costi. Qui dobbiamo tantissimo alla presenza di collaboratori italo-americani, fondamentale per questa mediazione culturale e non solo linguistica. E siamo anche orgogliosi di esserci guadagnati alcuni contratti per servizi di promozione del Sistema Italia da parte del Ministero degli Esteri, attraverso il Consolato. Piccole cifre con pochi zeri, e soprattutto non finanziamenti ma contratti, che abbiamo onorato stralavorando. Ma è stato un aiuto importante per noi e un riconoscimento del ruolo che svolgiamo.
Allora
la domanda sorge spontanea. Cosa potremmo fare noi con quei
contributi che ad altri non bastano? Me lo sono chiesta e lo chiedo a
voi. Io penso che… voleremmo.
E sono sicura, dopo qualche anno quei soldi non servirebbero
più. Perché l’Italia con la sua cultura è il miglior prodotto da
vendere, in America e nel mondo, e la migliore storia da raccontare.
Bisogna
saperlo fare. E volerlo fare.
Noi speriamo di farcela e crescere nei prossimi anni. Dico 'speriamo', la prima cosa di cui sono consapevole è l'incertezza con cui si deve oggi avere l'umiltà di vivere.
*direttore i-Italy.org