Rutilio Grande, Oscar Romero e compagni martiri

Il 12 marzo del 1977, ad appena qualche giorno dall’inizio del suo ministero pastorale nell’arcidiocesi di San Salvador, il calendario di “San Romero d’America” (Oscar Arnulfo Romero y Galdámez) prossimo beato il 23 maggio, segnò un balzo innanzi, tanto per la sua vita quanto per quella del Salvador. 

Tra i campi di canna da zucchero del suo territorio diocesano, un gesuita, il padre Rutilio Grande, e due campesinos, affrettavano il passo per raggiungere il villaggio di El Paisnal dove si trova la parrocchia di Aguilares, ma il loro incedere verso la celebrazione dell’Eucaristia, venne ferocemente interrotto dal fuoco micidiale delle armi. A terra, tre corpi, ostie crivellate senza pietà: quello di p. Rutilio, dell’anziano Manuel Sólorzano, 72 anni, e del giovane Rutilio Lemus, con appena 16 primavere.
Questo evento, nella vita di Romero, costituì lo choc; provocò la frattura; quella lesione nel cuore che anziché annichilirlo lo rafforzò nel suo impegno per il regno di Dio e la sua giustizia. Dopo l’assassinio di p. Rutilio Grande, Monsignore, più volte, alluse alla “conversione” che la morte truce e violenta dell’amico aveva provocato in lui. «In quella notte sentì –dichiara mons Vincenzo Paglia– una ispirazione divina a essere forte, ad assumere un’attitudine di fortaleza, mentre nel paese, segnato dall’ingiustizia sociale, aumentava la violenza: violenza dell’oligarchia contro i contadini, violenza dei militari contro la Chiesa che difendeva i poveri, violenza della guerriglia rivoluzionaria».
A trent’anni dalla uccisione violenta di mons. Romero, ci chiedevamo, retoricamente, se fosse possibile slegare i due amici, compagni di studi e confratelli nel ministero ordinato, nella loro estrema testimonianza di fede resa al Vangelo. Le parole dette da mons. Paglia al brifing in Sala Stampa Vaticana del 4 marzo u.s. e quelle pronunciate dallo stesso vescovo nella sua visita in San Salvador, per la comunicazione della data di beatificazione di mons. Romero, ci hanno alquanto confortato. Il 4 marzo, il vescovo Paglia affermava che: «Si potrebbe dire che il martirio di Romero è strettamente legato a quello di padre Rutilio Grande, un gesuita che aveva lasciato l’insegnamento universitario per andare fra i contadini in un piccolo villaggio, Aguilares, vivendo in una stanzetta con un letto, un comodino, un piccolo lume, una Bibbia. Romero gli era molto amico. La notte del 12 marzo 1977 Romero vegliò tutta la notte davanti al corpo dell’amico e dei due contadini uccisi insieme a lui in un agguato». E l’11 marzo, proprio nel giorno della vigilia del ricordo della morte di p. Rutilio, riconosceva che «è impossibile comprendere Romero senza comprendere Rutilio Grande».
Gesuita salvadoregno, p. Rutilio nacque il 5 luglio del 1928. Compì i suoi studi al Seminario di San José de la Montaña, dove divenne compagno di studi e amico di Romero. Ordinato sacerdote nel 1959, proseguì i suoi studi all’estero, prevalentemente in Spagna. Nel 1965 tornò in El Salvador e ricoprì diversi incarichi. Promotore della teologia della liberazione, padre Rutilio animò le Comunità Ecclesiali di Base (CEB). Nell’omelia pronunciata per le esequie del gesuita Mons. Romero sottolineò che la predicazione della liberazione del suo amico e compagno di studi era ispirata dalla fede, alla non violenza attiva e dalla dottrina sociale della Chiesa (14 marzo 1977).
Nel Bollettino di Mons Romero si afferma che la ragione della morte di Rutilio Grande è da ricercare nell’impegno profetico e pastorale del gesuita che, attento agli insegnamenti della Scrittura, al magistero del Concilio Vaticano II, agli insegnamenti di Medellín (1968), è volto a far maturare nella sua comunità di fede, speranza e amore, la consapevolezza della dignità della persona umana e dei suoi diritti fondamentali. Un altro motivo della sua morte, stando sempre al Bollettino di Mons Romero, è da rinvenire nell’esercizio della carità politica. P. Rutilio con intrepido coraggio denunciava l’intimidazione e la repressione che il governo stava perpetrando nei confronti della Chiesa e del popolo salvadoregno. Il 13 febbraio 1977, aveva, infatti, pronunciato un discorso noto come il sermone di Apopa in cui denunciava l’arresto-rapimento e traduzione alla frontiera del Guatemala (29 gennaio), da parte del governo, del colombiano Mario Bernal, Parroco di Apopa, e la minaccia di espulsione di altri sacerdoti. Nello stesso discorso il gesuita affermava: «Sono pienamente consapevole del fatto che molto presto alla Bibbia e ai Vangeli non sarà permesso di attraversare la frontiera. Tutto ciò che ci raggiungeranno saranno le copertine, dato che tutte le pagine sono sovversive contro il peccato… Se Gesù attraversa il confine, non gli si permetterà di entrare… lo accusano di essere una agitatore, di essere uno straniero che confonde la gente con idee esotiche e antidemocratiche. Idee contro Dio».
Il 24 marzo di trentacinque anni fa, a tre anni dall’uccisione di p. Rutilio Grande, la soppressione violenta, per ordine del maggiore Roberto D’Aubuisson e per mano di Marino Samayoa Acosta, toccò ad Oscar Romero. Lo squadrone della morte lo ammazzò senza pietà. Lo ammazzarono perché profeta dalla parola tagliente, coraggioso assertore dei diritti di Dio e dell’uomo, difensore della dignità umana, sostenitore della singolarità e irripetibilità della persona. Lo ammazzarono non perché predicasse il Vangelo e sostenesse il Popolo, ma perché lui stesso divenne Vangelo e Popolo.
Si sa che le biografie ufficiali corrono e incorrono nella deriva riduzionista, ai loro estensori viene demandato il compito di normalizzare, attenuare, “ammansire”. Ci mettiamo al riparo da tale istigazione a peccare. Se il martirio di Romero lo sconnettessimo da quello di Rutilio Grande, che lo precedette, nicchierebbe in qualche cono d’ombra. Se lo sciogliessimo da quello che lo seguì di Marianella García Villas, trucidata senza pietà il 13 febbraio del 1983, lo priveremmo di un forte raggio di luce. Incorreremmo nel medesimo errore se non rintracciassimo nella barbara mattanza di Ignacio Ellacuría e dei suoi compagni, il fiume di sangue che, passando per mons. Romero, unisce tutti loro e noi a Gesù che dei martiri è il primo e la ragione.

Alfonso Cacciatore
Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top