di Domenico Logozzo * LOCRI - Rileggere cento anni dopo
gli scritti giovanili di Corrado
Alvaro e far conoscere
gli inediti ai ragazzi del nuovo millennio è l’opera
meritoria che con successo hanno realizzato due illuminati calabresi:
lo scrittore Vito Teti
e l’editore Carmine
Donzelli. Sta infatti
incontrando molto interesse il libro “Un
paese” e altri
scritti giovanili (1911- 1916) di Corrado Alvaro. Verrà presentato
martedì 10 febbraio, alle 17.30, nella sala consiliare del comune di
Locri
nel corso dell’incontro letterario con il prof. Vito
Teti, coordinato da
Maria Teresa D’Agostino
e le letture di Francesco
Nicita.
L’iniziativa è del sindaco
Giovanni Calabrese,
che introdurrà i lavori, e dell’assessore alla cultura Anna
Sofia, che sta
svolgendo una positiva azione per il recupero e la valorizzazione
delle grandi tradizioni storiche e culturali di Locri. Il docente
dell’Università della Calabria, che è l’autore
dell’introduzione del libro con un saggio di Pasquale
Tuscano sul giovane
Alvaro poeta, ha scoperto gli inediti nell’archivio del Fondo
Domenico Lico di Catanzaro. Ricorda: “Quando ho incominciato a
leggere queste carte di cui nulla si sapeva, mi è stato difficile
non pensare a una sorta di sorpresa, di dono, a un qualche segreto
che mi veniva affidato, per via misteriosa, dallo
scrittore dei segreti”.
Domenico Lico
è il compagno del liceo al quale lo scrittore di San Luca ha
consegnato nel 1940 “la primissima prova narrativa, un tentativo di
romanzo, scritto a Livorno nel 1916, tra un’operazione chirurgica e
l’altra, a seguito delle ferite riportate in combattimento nella
Grande guerra”. Ricordiamo che Alvaro fu curato nell’ospedale
militare di Chieti
e che proprio nella città abruzzese tanti anni dopo trovò un
rifugio sicuro dopo essere scappato da Roma per sottrarsi alla
cattura dei tedeschi. Sotto falso nome, si guadagnò da vivere dando
lezioni di inglese. Nel libro “Quasi
una vita”, ha
raccontato i mesi trascorsi a Chieti con immensa gratitudine nei
confronti degli abruzzesi che durante l’occupazione tedesca hanno
dato generosa assistenza a tutti i fuggiaschi. Tra questi Carlo
Azeglio Ciampi, con il
quale “divisero il pane che non c’era”, come ha scritto nel suo
diario l’ex Presidente della Repubblica.
Poco meno di un secolo più tardi,
non lontano dalla sua San
Luca, nel cuore della
Magna Grecia, si analizzerà l’inizio del cammino letterario di
Alvaro.In effetti ”Un
paese” si
rivela un’anticipazione di tante tematiche e atmosfere alvariane:
prima su tutte, l’attenta, quasi etnografica e diaristica
descrizione dell’ambiente sociale e umano del suo paese d’origine,
con riferimenti all’universo popolare e alle culture alimentari,
con la narrazione di vicende che ricordano la storia d’amore tra il
padre e la madre, inizialmente contrastata dal nonno materno”. Una
occasione per riflettere e trarre insegnamenti di estrema attualità.
“Sono convinto - sottolinea Teti - che Alvaro sia stato uno dei più
grandi e prolifici intellettuali della prima metà del Novecento
europeo, autore di poesie, saggi, note di viaggio, articoli, romanzi,
racconti, memorie, ma anche animatore della vita culturale e
intellettuale italiana tra le due guerre. Credo sia stato unico nella
sua capacità di restare fedele e ancorato a un luogo e insieme nella
facilità di aprirsi al mondo, alla cultura esterna, di
sprovincializzare sia le culture regionali che quella nazionale, che
egli non vede separate”.
Il luogo della memoria. Ricordiamo
a questo proposito quanto scritto da Saverio
Strati sull’Unità di
domenica 7 gennaio 1962. Racconta così il suo primo incontro lo
scrittore di San Luca.
Conobbi Alvaro al mio
paese nel giugno del ’53. Alvaro era andato a Caraffa per salutare
sua madre, desideravo molto conoscerlo; e andai apposta da Messina a
Caraffa. Lo incontrai per la strada, insieme a suo fratello prete. Mi
presentai. “Ah!” – esclamò Alvaro, stringendomi calorosamente
la mano. “Mi hanno parlato di lei i Debenedetti. Avrei dovuto
leggere dei suoi racconti .Ancora non li ho avuti. Se volesse darmeli
lei stesso, li leggerei in questi due giorni che starò a Caraffa da
mia madre”. Provai una grande gioia perché Alvaro si offriva di
leggere i miei racconti.
“Viene giù con
noi? Si fa due passi”, mi disse. Nulla di più straordinario e di
inatteso per me. C’incamminammo verso giù. Tutti sapevano,
contadini, artigiani, impiegati, che in paese c’era Alvaro. E un
uomo di cui parlano i giornali e la radio diventa, agli occhi dei più
umili, un dio.
“Cosa fa lei?”,
mi domandò Alvaro, mentre si camminava.
“Studio a Messina
alla facoltà di Lettere. Ho letto quasi tutti i suoi libri”, mi
affrettai a dirgli.
“Mi fa piacere”.
“Delle sue opere,
quelle che mi piacciono di più, anzi credo che siano addirittura le
migliori, sono Gente in Aspromonte, L’età breve, Quasi una vita
(ancora non avevo letto L’amata alla finestra). E di queste tre
opere quella che mi parla di lei direttamente e mi tocca è Gente in
Aspromonte”.
“Doveva essere un
romanzo, Gente in Aspromonte”, disse Alvaro. “Ma ho dovuto
tagliare”.
Arrivammo alla torre
da dove si abbraccia un paesaggio immenso e meraviglioso.
“E’ proprio bello
questo paesaggio“ disse Alvaro. “Verso lì ci dovrebbe essere San
Luca”, aggiunse rivolto al fratello.
“Sì, Corrado. Da
quella collina si vede San Luca”.
“Si va lì, prima
di partire per Roma”, disse lo scrittore.
E’ da molto che non
torna al suo paese? Gli domandai. Ma subito mi pentii della
indiscrezione. Avevo sentito raccontare che Alvaro, ogni volta che
scendeva in Calabria, al suo paese non ci andava.
“Da molti anni. Né
ci voglio mai più ritornare. Ho un bel ricordo del mio paese e non
voglio sciuparlo. Sono stato felice a San Luca, durante la mia
fanciullezza e desidero conservare per sempre questo ricordo”.
Ricordi. Sulla Stampa del 1949
Alvaro scriveva: “Un altro aspetto della Calabria, è quello dei
paesi abbandonati e disabitati sui monti e sui colli, le finestre
vuote, il campanile vuoto ancora in piedi, il castello diroccato. Non
soltanto le frane ne consigliarono l'abbandono, ma la maggiore
sicurezza di dopo la Unità, la creazione di centri di commercio e di
centri agricoli. Le associazioni a delinquere che qualcuno tentò di
instaurarvi a imitazione della mafia, non attecchirono, e la Calabria
è ancor oggi uno dei paesi più sicuri a qualunque ora in ogni sua
parte solitaria; è perfino la meno infestata dalla mendicità”.
La Calabria dimenticata dallo
Stato e lasciata in balìa delle forze antisociali, a partire dalla
seconda metà del Novecento ha subito una pesantissima
trasformazione. Terreno fertile per far crescere le cosche. Tessuto
sociale progressivamente disgregato. La ‘ndrangheta si è
progressivamente impossessata con la violenza di spazi sempre più
ampi, con complicità palesi ed occulte. Connivenze pericolose, sia a
livello politico che istituzionale. La malapianta si è estesa. Oggi
non è solo un problema calabrese, ma una emergenza nazionale. La
piovra mafiosa ha allungato i tentacoli da un capo all’altro della
Penisola. E non solo. Ha messo le mani sui traffici internazionali di
droga. La ‘ndrangheta viene considerata tra le più potenti e
diffuse organizzazioni criminali del mondo. E il nome di San Luca è
tristemente salito alla ribalta delle cronache mondiali per la strage
in Germania. Che tristezza! E quanta amarezza nel rileggere oggi
Saverio Strati
e la confidenza che gli aveva fatto Alvaro: “Ho un bel ricordo del
mio paese e non voglio sciuparlo. Sono stato felice a San Luca,
durante la mia fanciullezza”.
*già
Caporedattoree del TGR Rai