Colori cipria, chiari e luminosi “raffreddano”
l’inquadratura fotografica, tonalità sabbia e nuance polverose avvolgono i
soggetti. Il bianco lucente desatura l’immagine, il colore si trasforma in una
tonalità di grigio che immerge
i soggetti in un pulviscolo quasi evanescente. Unico punto di colore deciso,
energico, è dato da quell’elemento isolato delle scarpe rosse o marroni che
colpisce la nostra attenzione.
L’uso dei tempi lunghi, la sovrapposizione dei fotogrammi
e la desaturazione permettono a Barbara Bo di imprimere un racconto con la luce,
laddove la macchina fotografica diventa unico testimone di un flusso di
sensazioni e percezioni.
Assistiamo a un eclissi rappresentazionale dell’io, in
cui si delinea una coppia, un doppio anonimo, laddove i volti restano celati, lo
sguardo è fuori campo, l’attenzione è altrove dove noi non possiamo accedere.
Il corpo sembra sul punto di abbandonare la scena, ma non
ci riesce, è “ingabbiato” dalla composizione geometrica e regolare
dell’inquadratura fotografica. Si muove nello spazio scenico all’interno di
confini e limiti prestabiliti, non esce quasi mai, se non per il volto che, in
alcuni casi, scompare. È un corpo che emoziona, sospeso nel suo orizzonte
destinale in cui tutto tace, ogni cosa si ferma, ogni movimento è bloccato,
fotografato.
L’obiettivo fotografico, unico “volto”
che ci guarda, unico “occhio” che ci punta e ci colpisce, non lo sguardo
dell’artista, ma il suo doppio, la sua anima. Il corpo assurge a superficie di
scrittura poetica, territorio dell’immaginario, spazio della visione fuori dal
sé, in cui l’identità è un vuoto
che non può essere colmato.
Il corpo e l’anima, l’io e il mezzo fotografico, elementi
che si sfaldano, che si sradicano uno dall’altro vivendo due vite separate,
differenti.
Nelle fotografie Double
me i corpi evanescenti si incontrano, gli strati emotivi di pelle si
sovrappongono. In Naked Soul gli
ambienti hanno una temporalità sospesa, raccontano di una vita vissuta. Scarpe dismesse
giacciono per terra come abbandonate, solitarie, autoritratto di un corpo che
vive nudo solo nell’anima, in cui l’obiettivo neutro, oggettivo e lucido del medium fotografico ne cattura l’essenza
sdoppiandola. In Pure Soul capita di
scorgere il volto, il viso appare, come un’epifania fugace. Nella serie Odile le scarpe ritornano, il cammino
diventa elemento di transizione, di viaggio personale e intimo. Odile e Odette
sembrano ricongiungersi, si fondono. Il corpo non è più diafano ma appare definito
nella sua unità, diventa protagonista di un frame cinematografico, raccontato grazie
alla tecnica del reportage, che congela l’attimo e lo coglie. In Self portrait non è l’artista il soggetto
dell’autoritratto, ma è il dispositivo fotografico il protagonista.
Barbara Bo e la macchina fotografica formano un unico
corpo, la fotografia è la sua vita, la sua anima, è se stessa, il suo
autoritratto per transizione. Ormai l’osmosi e la fusione è avvenuta, ogni
elemento si collega, non vi è più un doppio, il corpo dell’artista e il medium
digitale hanno la stessa identità.
Mostra fotografica: DOUBLE ME
Fotografa: Barbara Bo
Milano, 22 febbraio – 7 marzo 2015
Circuiti Dinamici
Via Giovanola 19/c e 21/c
Milano
Il doppio viaggio dell’anima di
Barbara Bo
Lettura
critica di Sonia Patrizia Catena