Geraldo
Fernandes Bijos, vescovo di Londrina (dal 16 novembre del 1956 fino
al giorno del decesso, 28 marzo 1982), arcidiocesi che comprende una
parte dello stato brasiliano del Paranà (Brasile le del sud),
ricordava così padre Calogero Gaziano: «sempre allegro, povero e
umile, infaticabile lavoratore, santo».
E mons. Domenico De
Gregorio, in un articolo pubblicato sul Settimanale della Diocesi di
Agrigento, «L’Amico del Popolo», il 16 novembre del 1975, in
ricordo del missionario aragonese stroncato da un infarto a soli 53
anni, il 4 gennaio 1967, riportava quello che era il giudizio comune,
basato su testimonianze oculari ed esperienze personali: «il santo
di Porecatù». Calogero
Gaziano era nato ad Aragona (in provincia di Agrigento), da Giovanni
e Maria Cumbo, il 3 marzo 1914. In padre Vincenzo Gandolfo, rettore
della chiesa del Carmine, ebbe, come tanti altri aragonesi, la guida
spirituale.
L’ottimo sacerdote, definito “un palmo di prete” a
causa della sua statura (appena 158 cm), ravvisò ben presto nel
Nostro i segni della vocazione missionaria e lo avviò al seminario
di Ducenta. Padre Calogero passò gli anni del noviziato a Genova,
compì gli studi liceali a Monza e il Corso Teologico a Milano. Il 29
giugno 1936 fu ordinato presbitero e un mese dopo partì per Kengtung
in Birmania (Asia sudorientale). Dal 1940 al 1946 fu internato in un
campo di concentramento, sempre in Myanmar, dal cui territorio venne
espulso dalle autorità inglesi. Rientrato in Italia, nel 1948 partì
per il Brasile arrivando ad Assis (comune nello stato di San Paolo)
nell’autunno inoltrato di quell’anno. Nel 1949, su sua
sollecitazione, venne incaricato dal vescovo di Jacarezinho di
fondare la parrocchia di Porecatù, nel Paraná.
Padre
Piero Gheddo, ricordando un colloquio del 1966 con Padre Calogero e
intervistando nel 1995 padre Luigi Giavarini ne rileva i cardini
dell’azione evangelizzante in due poli: la scolarizzazione popolare
e la promozione del laicato. Confidava padre Calogero al padre
Gheddo: «Alcuni confratelli mi accusano di dedicarmi più alla
scuola che alla chiesa, ma non capiscono che senza la scuola la
chiesa non serve». Pescando nel ricordo padre Gheddo testimonia che
padre Gaziano si rifaceva al metodo seguito in Birmania dove prima si
costruiva la scuola e poi la cappella, raccogliendo tanto in Myanmar
quanto nel Brasile rurale e forestale dei suoi tempi, le critiche dei
ricchi latifondisti e delle autorità locali che dicevano ai
missionari: «Perché volete fare le scuole per questa massa di
manovali che debbono solo lavorare la terra? Non serve a niente non
impareranno mai niente». Ma l’esperienza evangelizzatrice dei
missionari e delle missionarie, alla luce del Vangelo e della
dottrina sociale della Chiesa, è stata sempre di avviso contrario a
quella di chi lucrava sull’arretratezza delle masse popolari,
tant’è che nell’interno del Brasile, così come in Mato Grosso e
in Amazzonia, e in tantissime altre parti del mondo, le prime scuole
sono costruite da missionarie e missionarie cristiani.
Padre
Giavarini, in una intervista del 1995 rilasciata a padre Gheddo a
proposito della promozione e responsabilizzazione del laicato,
dichiarava: «Una seconda grande idea di padre Gaziano era di
responsabilizzare i laici. Diceva sempre: “Nella parrocchia bisogna
dare il 10% di responsabilità al prete e il 90% ai Laici”. È
riuscito a fare molto su questa linea: animava, istruiva e faceva
pregare, ma poi lasciava fare. Non era di quei parroci che
controllano tutto, debbono decidere e approvare tutto… dava grande
libertà a tutti ed approvava tutte le cose buone. Non permetteva che
nascessero invidie e contrasti tra le forze della parrocchia… Padre
Calogero aveva una mentalità tipicamente missionaria: sempre in
movimento, ansioso di raggiungere tutti, di fare tutto il bene
possibile, aperto ed entusiasta di ogni idea nuova, purché
annunziasse Cristo al popolo».
A
tutt’oggi il ricordo di Padre Calogero, missionario di due
Continenti, è molto vivo a Porecatù, diverse opere portano il suo
nome, poiché riuscì in soli 18 anni a trasformare questo piccolo
paesino rurale nella cittadina più importante della regione.
Mons.
De Gregorio nell’articolo del 1975 dava ampio spazio alla
testimonianza di padre Salvatore Cumbo, anch’egli aragonese,
parente, collaboratore e amico del padre Gaziano. Tra le cose notate
dal missionario, ne rimarco una che gli anziani aragonesi ricordavano
a sostegno della santità di padre Calogero: «Amava talmente la
povertà che, per seppellirlo, bisognò ricorrere agli indumenti dei
confratelli, perché egli no ne possedeva di decenti».
Aragona
a padre Calogero ha dedicato una via, e questo certamente è segno di
affettuoso ricordo, la medesima cosa ha fatto per padre Vincenzo
Gandolfo, tuttavia crediamo che occorrerebbe ben altro per non
incorrere in quella dispersione della memoria che, qualche anno fa, a
proposito del partigiano Salvatore Cacciatore, gli fece guadagnare un
giusto monito da parte di Matteo Collura.
Alfonso
Cacciatore