Libri, “Il pranzo di Mosè”. Fattitaliani intervista Simonetta Agnello Hornby: la scrittura è l'unico potere totale che ha una persona

“Se cucini condividi” potremmo abbinare questo motto alla presentazione del nuovo libro di Simonetta Agnello Hornby “Il pranzo di Mosè” (Giunti editore, collana Italiana pp. 192 + 16, 16.00€, eBook 9.99€) ovvero la tenuta nella campagna di Agrigento, a pochi chilometri dalla Valle dei Templi, dove da cinque generazioni la famiglia materna trascorre le vacanze estive. Insieme all’amata sorella Chiara, ci accompagna alla scoperta di un luogo incantato dove si muovevano sicure Elena la mamma e la Zia Teresa.
E’ da loro che le due sorelle hanno appreso l’arte dell’accoglienza e del convivio, facendo sentire a casa chiunque risalga la stradina che porta a Mosè. Cristiana produttrice del programma televisivo omonimo che nasce prima del libro, definisce Mosè come un mondo onirico che aveva costruito nella sua mente e dove gli sarebbe piaciuto vivere e morire. Dal vivo è ancora più bello, Chiara un personaggio straordinario, l’alter ego di Simonetta e custode della tradizione culinaria familiare. La cucina a Mosè è imperfetta perché è umana. Simonetta e Chiara reinterpretano continuamente le ricette. La caponata diventano le caponate (con le mandorle tostate, al cioccolato, di pasta reale) nate dai racconti delle loro amiche. Cucinare è anche rispettare la materia prima che si mangia, scegliere solo prodotti stagionali, non sprecare ma riutilizzare. Da un po’ di tempo la casa è diventata un agriturismo biologico e così come si fa con i con i parenti e con gli amici, curano molto l’accoglienza degli ospiti. Fondamentale è la loro combinazione. Dopo aver mangiato, l’ospite riceve un regalo campestre. 
“Era un’usanza della mamma che ripeto anche a Londra”. Simonetta racconta che quando le fu proposto il programma, si sarebbe dovuto fare a Milano ma lei decise di farlo a Mosé anche se la sorella Chiara era molto schiva. Cristiana e il fratello Riccardo la conquistarono e alla fine accettò di realizzarlo. “Che fatica ripetere 17 volte un filo d’olio, mangiare un pezzo di pane che a furia di ripetere la scena, diventano facilmente quattro fette”. La Troupe dei Pesci combattenti conquistò persino mio cugino al quale quando proposi il programma mi rispose “ci andiamo sentendo”. 
Rimase talmente affascinato che li invitò nella sua casa di campagna a raccogliere i fichi d’india. Il libro è diviso in due parti: una dedicata ai ricordi di famiglia e una ai pranzi con i quali abbiamo costruito le puntate. Le ricette del libro prendono spunto da ciò che preparavamo a casa . Tutti noi, prima mamma e zia Teresa, poi Chiara, Silvano ed io, abbiamo imparato a preparare i dolci dal libretto di nonna Maria che ne aveva fatto quattro copie per i figli ma ogni tanto consultiamo la fonte. Un giorno facemmo un pranzo di dolci, ricordo la faccia di un amico quando si vide presentare una cassata come primo perché si gusta a pancia vuota. Il pane era stato sostituito dai biscottini ricci di mandorle. Il pranzo finì con delle fette di finocchio in acqua. Il segreto per un pranzo buono è una tovaglia bella ma non raffinata. Il cibo deve essere semplice e si devono identificare i sapori e le origini. Ci piace far partecipare gli ospiti in cucina per lo scambio di ricette e per intrattenerli. Il libro è semplice come il programma. Sono molto disciplinata nello scrivere così come nella professione di avvocato. Scrivo per tre settimane anche venti ore al giorno, mi do un tempo, buono o cattivo è finito. Ho iniziato a scrivere perché nel settembre del 2000, aspettavo un aereo che era in ritardo, ebbi la visione di un film che era molto affascinante tanto che non sentivo gli annunci degli imbarchi. Lo stesso era successo ad Henry James. Sono una scrittrice per caso. Dopo La Mennulara che ho scritto in India, ho capito che scrivere era bellissimo, soprattutto perché si diventa padroni di un mondo. Ho scritto di cucina in tutti i miei libri, Il Filo d’olio parla solo di cucina, un omaggio a mamma e zia. Non ha importanza se sia un hobby o un lavoro, scrivere mi piace. 
Rifacendoci alla sua passione per la scrittura le abbiamo chiesto: Il potere dello scrittore la piace perché “crea e uccide i personaggi. Come avvocato si può al massimo spostarli”. Perché? 
Questa è l’unica cosa bella della scrittura, posso fare quello che voglio. E’ l’unico potere totale che ha una persona. 
Marcello Fois ha dichiarato che gli piacciono i suoi romanzi perché sono contemporanei ed atemporali allo stesso tempo. Cosa ne pensa? 
E’ difficile saperlo perché il lettore ha sempre ragione. Quando scrivo non penso a come collocarlo. La vita è storia e quindi è probabile che i romanzi possano appartenere a qualsiasi epoca. 
E’ vero che scrisse “La zia Marchesa” perché scoprì che Pirandello ne aveva parlato male in una novella? 
Sapevo che la mia famiglia parlava male di lei perché la consideravano una stupida, scomoda, sgradevole, insensibile; poi Pirandello la prese in giro e decisi di mettere a posto la storia. Non so se ci sono riuscita perché è sempre il lettore che deve decidere. Ho fatto del mio meglio per presentarla come una bella persona. 
Nel 2010 ha scritto La Monaca che molti ritengono un mezzo romanzo. 
Non è un romanzo autobiografico e quindi è un romanzo. 
Ha tanti bei personaggi maschili ma alla fine è sempre una donna ad avere la meglio 
E’ uno dei miei problemi, preferirei a volte avere un bel personaggio maschile ma come si dice da noi in Sicilia “gira e firria” le donne tornano sempre a dominare, forse perché sono donna, perché ho vissuto in un mondo muliebre, una mamma e le sorelle. Molte delle mie clienti sono donne perché trattando di minori i casi sono sempre contro le mamme, il papà esce sempre libero. Sono convinta che dovrò scrivere un romanzo tutto di uomini per avere un personaggio maschile che domini. Elisabetta Ruffolo 
Fattitaliani

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