Il
bus si fermò con uno stridio di freni e le porte si spalancarono con
un sospiro. Non scese nessuno - il capolinea era troppo vicino - e
salirono in cinque. L’anziano signore si tirò su con un po’ di
fatica, lo sguardo basso, la testa incassata fra le spalle. Mai
salire al capolinea, perché c’è poca gente in giro. Mai salire
per primo, mai per ultimo. Mai guardare la gente in faccia. Prima
regola: passare inosservati... e lui era stato fortunato: era nato
anonimo. Né bello né brutto, occhi indefinibili, capelli castani,
statura media, nessun segno particolare. Se ne era accorto fin dalle
elementari, con i maestri che ricordavano il nome di tutti tranne il
suo... e da quel momento era andata avanti così.
La
prima volta che aveva rubato su un autobus era stato un disastro. La
vittima se ne era accorta e lo aveva visto bene in faccia, ma lui era
riuscito per miracolo a fuggire saltando giù dal mezzo prima che si
fermasse del tutto. Appena il tempo di gettare via il portafoglio e
di entrare in un grande negozio, ed ecco il derubato - un uomo ben
messo, robusto e deciso - entrare anche lui e guardare tutti,
attentamente, uno per uno. Ma non lo aveva riconosciuto.
Nel
tempo aveva imparato a confondersi sempre meglio tra la gente, a
“sciogliersi” nell’ambiente in cui operava, intanto che la sua
mano diventava sempre più leggera e la sua mente più acuta. Era
proprio la capacità di “leggere nella testa degli altri” a
renderlo il più bravo di tutti: campava bene perché riusciva ad
individuare sempre quelli pieni di soldi, e non era stato un solo
giorno dentro perché sapeva sfruttare i momenti di distrazione delle
vittime per non farsi beccare.
Ed
eccolo ancora una volta sulla linea su cui lavorava più spesso. Non
l’aveva scelta a caso. Il capolinea era nella zona più ricca della
città, piena di uffici e negozi, ancora più viva ed elegante quella
vigilia di Natale. All’altra estremità, il quartiere forse più
povero e malfamato, noto per le storie di delinquenza e degrado,
scarsamente illuminato, dove l’unica cosa natalizia che si era
vista fino a quel momento era stato un camion con il suo carico di
panettoni e bottiglie di spumante a basso prezzo in vendita sul
marciapiede.
Il
Borseggiatore abitava a due terzi del percorso, in un fabbricato
anonimo come lui. L’autobus era il suo posto di lavoro, un posto di
lavoro praticamente sotto casa. Un lavoro che fruttava di più da
quando, fra problemi di parcheggio e targhe alterne, tante persone
col portafoglio ben fornito, che non si erano mai sognate di
abbassarsi a prendere un autobus in vita loro, avevano cominciato a
servirsene.
I
negozi erano chiusi da pochi minuti, la gente tornava a casa. Lui
cominciò a cercare gli obiettivi guardandosi attorno con aria
apparentemente distratta. Scartò un ragazzo con il suo Rolex
probabilmente nuovo, visto che lo guardava in continuazione, troppo
pericoloso… scartò una signora con una borsa Gucci taroccata
semiaperta... e finalmente lo vide salire. Giaccone di montone
firmato, orologio tuttodorobraccialettocompreso, un tipo da SUV da
centomila euro con il cellulare incollato all’orecchio. Parlava a
voce alta, come se su quell'autobus ci fosse solo lui: -Ma come non
venite? Ma cheddici, ci ho pure lo sciampagn ca ti piace a ttia…
no, a capodanno io non ci sono, siamo alle Seicelles con Ciccio e
Meri.
Era
la situazione ideale, niente distrae più di una bella telefonata al
cellulare. L’autobus adesso era pienissimo e lui era nella
posizione giusta. Bastò che si disancorasse dal sostegno e la folla
lo spinse dolcemente verso la vittima. Scommise con se stesso che il
portafoglio era nella tasca posteriore destra... proprio in quel
momento l’Uomo Del SUV passò il telefono sull’orecchio sinistro
senza smettere di parlare e si aggrappò con la mano destra al
sostegno in alto. Il movimento sollevò il giaccone facilitando il
lavoro del Borseggiatore. La punta delle sensibilissime dita gli
confermò che il portafoglio c’era, ed era pieno. In un attimo, il
taglierino incise con un solo movimento ad U dalla precisione
chirurgica il pantalone all’altezza della tasca, seguendo la parte
inferiore del rigonfiamento, e il portafoglio scivolò fuori dritto
fra le sue dita. Un altro attimo e le banconote erano già nella sua
tasca. Due secondi e si era già sbarazzato del portafoglio vuoto
trasferendolo nella falsa-Gucci della falsa-ricca. Di nuovo lasciò
che la folla lo spingesse un po’ più in là. Come prevedeva,
l’Uomo Del SUV scese dopo due sole fermate, in piena zona “in”.
Abitava sicuramente in uno di quei palazzoni ai cui condòmini il
costruttore, certamente uno a cui non si poteva dire di no, aveva
imposto il portiere di sua fiducia. Uno di quei manufatti di cemento
che passavano, in una città che si era dimenticata delle belle
costruzioni liberty di cui si era criminosamente liberata, per
palazzi eleganti.
“Primo
obiettivo centrato”, si disse il Borseggiatore. La fauna
nell’autobus cambiava rapidamente. Scendevano i benestanti,
attaccati ai cellulari, diretti verso riscaldamenti autonomi e
cenoni. Salivano, stanchi e silenziosi, i loro schiavi: colf,
badanti, lavavetri fuori servizio – niente più traffico, poche
auto ai semafori, per oggi basta supplicare il permesso di lavare un
vetro, basta con il nonono di tanti indici. Fra poche fermate sarebbe
dovuto scendere anche lui, o avrebbe rischiato di finire al capolinea
del Quartiere Pericoloso. Bisognava passare rapidamente al secondo
obiettivo.
L’aveva
notata fin da quando era salita sull’autobus. Seduta proprio dietro
l’autista, nera come il carbone, la pelle un po’ lucida, con un
bambinetto di uno o due anni nero come lei dagli occhi cisposi,
addormentato, avvolto in una specie di sacco vivacemente colorato che
le pendeva dal collo. Triste, terribilmente triste, silenziosa.
Immersa in chissà quali pensieri, in chissà quali ricordi di chissà
quale terra. Nera di fuori e scura dentro. Accanto a lei un borsone
di plastica con un manico più corto, riparato malamente... ed era
aperto. Un’occasione d’oro.
Il
Borseggiatore si avvicinò impercettibilmente, come un geco che
punta. Un istante, e via. Anche questa era fatta.
Suonò
il campanello appena in tempo per essere depositato alla fermata di
casa.
Scese
con cautela, le ginocchia maledizione gli facevano ogni anno più
male… le porte si richiusero, e l’autobus si mosse con uno sfiato
lamentoso. Lui si girò e fece in tempo a vedere un’ultima volta,
per un solo istante, la donna col bambino sempre assorta nei suoi
pensieri. Salì sul marciapiede e seguì con gli occhi il bus finché
non scomparve.
Le
parole gli vennero alle labbra senza che se ne accorgesse.
Una
signora lo sentì e gli rispose, sorridendo: “Buon Natale anche a
lei!”
Il
Borseggiatore cercò in tasca le chiavi e si diresse lentamente verso
casa, sentendosi uno stupido, vecchio, felice Robin Hood.
Carlo Barbieri
(Dalla raccolta di 19 racconti "Uno sì e uno no, Dario Flaccovio Editore")
Carlo Barbieri è uno scrittore nato a Palermo. Ha vissuto a Palermo, Catania, Teheran, il Cairo e adesso fa la spola fra Roma e la Sicilia. Un “Siciliano d’alto mare” secondo la definizione di Nisticò che piace a Camilleri, ma “con una lunga gomena che lo ha sempre tenuto legato alla sua terra”, come precisa lo stesso Barbieri. Scrive su Fattitaliani, NitroNews, Il Fatto Bresciano, QLnews, Sicilia Journal e Malgrado Tutto, testata su cui hanno scritto Sciascia, Bufalino e Camilleri. Ha scritto fra l’altro “Pilipintò-Racconti da bagno per Siciliani e non”, i gialli “La pietra al collo” (Todaro Editore, ripubblicato da IlSole24Ore) e “Il morto con la zebiba” (candidato al premio Scerbanenco) e “Uno sì e uno no”, una raccolta di racconti pubblicata da D. Flaccovio Editore. Suoi scritti sono stati premiati alla VI edizione del Premio Internazionale Città di Cattolica, al IV Premio di letteratura umoristica Umberto Domina e alla VII edizione del Premio Città di Sassari e al Premio Città di Torino. I suoi libri sono reperibili anche online, in cartaceo ed ebook, su LaFeltrinelli.it e altri store.