Come gabbiani sull’acqua. Lampedusa tra due mondi, Salvatore Estero Editore, Sciacca 2014, pp. 222, € 9,50.
La storia recente dell’isola di Lampedusa è segnata dal febbraio del 1994 dall’approdo dei migranti. Le vicende legate ai transiti del flusso migratorio, proveniente da sud e dirette verso i nord, finiscono inevitabilmente per attivare, talvolta fino alla frenesia, un’apparente serena banale routine.
Del fenomeno e dei suoi risvolti se ne vedono le immagini e se ne sentono le parole, perfino gli strepiti, ma non si pensi che questa sia opera esclusiva dei media, che per mestiere cercano e comunicano notizie. Di “turchiceddi” (nella parlata lampedusana i migranti vengono appellati così) e delle loro carrette se ne parla in famiglia, tra gruppi di amici, nella centralissima via Roma, nei bar, al Porto… Nei ragionamenti ora sereni ora concitati a prevalere in genere sono i sentimenti di pietà e di compassione, tradotti poi in atteggiamenti di accoglienza solidale, ma non mancano le paure e, stando alle parole, le chiusure egoistiche e le assurde strumentalizzazioni. È questo lo sfondo sul quale Angelo Campanella dispiega le vicende dei protagonisti di Come gabbiani sull’acqua. Lampedusa tra due mondi.
Elisa e Sara, così come Luca, Marco e Amin, sono degli adolescenti, studenti come tanti, alle prese con i loro piccoli e grandi problemi: i tradimenti nell’amicizia e il senso di colpa; il corpo che si trasforma e inizia a marcare i segni della maturità sessuale; l’emulazione degli adulti; l’elaborazione del dolore per la morte di una persona cara; la voglia di trasgressione e perfino quella tentazione che vive Luca a farsi lui stesso corazza anzi, di più: «pietra inaccessibile, sotterranea, immobile e immutabile». Con loro e tra loro c’è Amin, un ragazzo eritreo, stabilitosi con i genitori a Lampedusa, che porta con sé il carico di un passato di lacerazioni, stenti, paure, violenze, ma allo stesso tempo di una sapienza antica e di una ricchezza nuova. Anche le ciniche Laura e Federica frequentano la medesima scuola, pure loro sono delle adolescenti, ma sono prese solo da se stesse, dalle forme dei loro coetanei che braccano come prede da catturare, dalle frivolezze della moda, dai viaggi e dalle crociere. Per tutti loro, comunque, giovedì 3 ottobre 2013, segna nel calendario della vita una data indelebile, una data che non scorderanno mai più: «Tutti in un modo o nell’altro si sentivano cambiati dentro, come se un meccanismo fosse scattato irreversibilmente e li avesse scaraventati in un mondo nuovo, il mondo degli adulti». Per vie diverse apprendono della tragica morte di 368 migranti eritrei a poche centinaia di metri dalla loro costa e nella loro mente si imprimono le immagini dei cadaveri – “statue di cera nera” - deposti sul molo Favarolo, avvolti in sacchi di cellophane dal “color del mare”.
Nel vissuto di questi adolescenti un turbinio di immagini provenienti dalla cruda realtà ne animano coscienza e immaginazione. Dall’immagine del mare, orgoglio dei Lampedusani, che si trasforma, suo malgrado, da vasto spazio di speranza in oceano di disperazione, a quella dell’hangar dell’aeroporto trasformato in un’enorme camera ardente con una interminabile “litania” di bare allineate, un “rosario” di grani color ebano e legno, e tra esse spiccano quelle piccole bare bianche con sopra una rosa e un orsacchiotto di peluche, ultimo gesto di pietà che una piccola lampedusana ha voluto si compisse a suo nome e a nome di ogni bimbo della terra. E ancora l’immagine della loro isola, che diviene una sola casa, un'unica famiglia, nella quale a seguito di un fatto di tale portata si preferisce il silenzio alle parole, il dolore vissuto in intimità solidale alle sguaiatezze della spettacolarizzazione: «in queste occasioni non si parla, si soffre e basta».
L’autore, Angelo Campanella, scrive attingendo al suo bagaglio di insegnante di lettere nei licei. In Come gabbiani sull’acqua tesaurizza le molte ore condivise con gli alunni lampedusani a cui dedica l’opera. Arduo correggere il pregiudizio e sfatare i tanti luoghi comuni degli adulti, che risuonano con forza ma senza convinzione e fondamento negli adolescenti, proprio per questo l’autore fa seguire alla sua narrazione delle proposte didattiche che, perseguendo il nobile sentiero della conoscenza critica, mirano ad immunizzare queste giovani speranze da un terribile virus. Un virus che deformando gli “occhi” della ragione mostra l’altro come cosa, invasore, soppressore di lavoro, carne da vendere al migliore offerente, merce da respingere, “Chissi ca fungia sbutata”! In questa locuzione locale si evince tutto il disprezzo di portata più vasta per il diverso, ma va rammentato, qualora ve ne fosse bisogno, che i migranti sono figli della famiglia umana, figli di Dio per i credenti.
Alfonso Cacciatore.
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