Il
sociologo Christian Ruggiero mette sotto la lente di ingrandimento un
format tv che ci sta accompagnando dalla fine degli anni 80 ad oggi.
Quale
sociologo migliore dell’americano Erving Goffman, lo scopritore
della ritualità formalizzata, si può scomodare per analizzare
l’oggetto talk show che è si un oggetto comunicativo complesso, ma
fonda la sua natura profonda nella parola che si fa spettacolo? Il
sociologo Christian Ruggiero con il suo saggio “La
macchina della parola. Struttura, interazione, narrazione nel talk
show” (Franco Angeli editore, 2014) ci prende per mano
portandoci dentro l’universo colorato dei talk il cui ingrediente
base è proprio la messa in scena della parola. Gli attori di questo
format, il conduttore, gli ospiti e il pubblico in studio o collegato
in esterna hanno tutti a che fare con il discorso e la parola. Nel
suo svolgersi il talk, a prima vista, sembra incoraggiare una
confusione delle categorie alla base dell’ordine sociale,
normale/deviante, pubblico /privato, realtà/ finzione. Tanto che
qualcuno sostiene che alla fine finisca per danneggiare il pubblico a
casa. In realtà, spiega Ruggiero, le ricerche confermano il
contrario e cioè che le questioni sollevate in studio rinforzano gli
strumenti di giudizio critico e morale piuttosto che indebolirli.
“I giovani poi – continua il sociologo – hanno altre armi, guardano la tv e contemporaneamente hanno a fianco lo schermo del pc o dello smartphone dove accedere ad altre fonti di informazione. In questo modo si difendono benissimo”. E in ogni caso l’indeterminatezza, la cascata di informazioni in pillole, il sovraccarico di stimoli e così via sono piuttosto elementi tipici della nostra post-modernità. Non bisogna neppure spaventarsi della logica della performance che guida i talk e anche delle forme di coinvolgimento del pubblico che spesso passano per l’esibizione e la celebrazione del senso comune. Ruggiero pescando nel grande archivio di studi dedicati al tema estrapola definizioni, delinea tipologie, stabilisce analogie e differenze tra modelli eterogenei, il mitico The Tonight Show condotto per 30 anni da Johnny Carson e rivisitato in Italia sotto le bandiere del Maurizio Costanzo Show, il The Oprah Winfrey Show e il meno conosciuto Kirloy in onda sulla Bbc dal 1986 al 2004. Da noi il talk si diffonde con netto ritardo rispetto ai paesi anglosassoni, ma poi esplode alla fine degli anni ’80 dando il via alla telepolitica, il genere dominante della tv della seconda Repubblica, che radicalizza le tendenze al collateralismo o all’antagonismo arrivando a contrapporsi interamente allo spazio pubblico della politica stess
Un capitolo ad alta densità sociologica del libro viene dedicato alla struttura dell’interazione del talk; l’analisi del testo, la costruzione del setting (il salotto, la piazza, lo studio tv), le competenze dello spettatore. E poi tanto spazio destinato ai talk andati in onda in Italia negli ultimi 20 anni: i salotti di Maurizio Costanzo e Bruno Vespa (bravissimo a “Innalzare l’importanza della performance televisiva del politivi al di sopra dei contenuti da questi veicolati”), i ‘faccia a faccia’ di Mixer e Il Fatto che puntando sul carisma del conduttore (Minoli e Biagi) prediligono uno studio scarno, la Piazza di Santoro, bravo a orientare le opinioni, a selezionare i temi, a gestire il dibattito, ma non immune dal cadere nella rappresentazione esacerbata del conflitto, uno degli elementi che hanno fatto la fortuna del giornalismo spettacolo. Negli anni il faccia a faccia ha perso smalto, ci dice Ruggiero, mentre i format che puntano su arena e salotto sono andati meglio, ma questo è stato vero sino a ieri perché oggi questi modelli sono entrati in crisi. Floris con Ballarò inaugura il filone della politica pop, siamo negli anni 2000, i palinsesti sono sempre più densi di trasmissioni fatte di sole parole. Tra le novità Ruggiero cita Agorà e L’ultima parola, ma c’è una sfilza di programmi di infotainment che sempre di più hanno come oggetto i politici e la politica come puro spettacolo. L’ibridazione, che è la parola d’ordine del giornalismo degli ultimi anni, genera modelli spuri, con trasmissioni satiriche come Striscia e Le Iene che assumono la funzione di watchdog, mentre gli approfondimenti impegnati diventano complementari alla programmazione più leggera. Gli stessi comici diventano dei mediatori, forse gli unici affidabili, per dare un senso ai processi di socializzazione politica che ormai oscillano tra informazione divertimento. La spettacolarizzazione della politica ha generato dei mostri che prendono in contropiede perfino Ruggiero. Infatti la sua analisi termina prima che il genere entri nel tunnel di una crisi che ad oggi non presenta nessuna via d’uscita. Mauro Scarpellini.
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“I giovani poi – continua il sociologo – hanno altre armi, guardano la tv e contemporaneamente hanno a fianco lo schermo del pc o dello smartphone dove accedere ad altre fonti di informazione. In questo modo si difendono benissimo”. E in ogni caso l’indeterminatezza, la cascata di informazioni in pillole, il sovraccarico di stimoli e così via sono piuttosto elementi tipici della nostra post-modernità. Non bisogna neppure spaventarsi della logica della performance che guida i talk e anche delle forme di coinvolgimento del pubblico che spesso passano per l’esibizione e la celebrazione del senso comune. Ruggiero pescando nel grande archivio di studi dedicati al tema estrapola definizioni, delinea tipologie, stabilisce analogie e differenze tra modelli eterogenei, il mitico The Tonight Show condotto per 30 anni da Johnny Carson e rivisitato in Italia sotto le bandiere del Maurizio Costanzo Show, il The Oprah Winfrey Show e il meno conosciuto Kirloy in onda sulla Bbc dal 1986 al 2004. Da noi il talk si diffonde con netto ritardo rispetto ai paesi anglosassoni, ma poi esplode alla fine degli anni ’80 dando il via alla telepolitica, il genere dominante della tv della seconda Repubblica, che radicalizza le tendenze al collateralismo o all’antagonismo arrivando a contrapporsi interamente allo spazio pubblico della politica stess
Un capitolo ad alta densità sociologica del libro viene dedicato alla struttura dell’interazione del talk; l’analisi del testo, la costruzione del setting (il salotto, la piazza, lo studio tv), le competenze dello spettatore. E poi tanto spazio destinato ai talk andati in onda in Italia negli ultimi 20 anni: i salotti di Maurizio Costanzo e Bruno Vespa (bravissimo a “Innalzare l’importanza della performance televisiva del politivi al di sopra dei contenuti da questi veicolati”), i ‘faccia a faccia’ di Mixer e Il Fatto che puntando sul carisma del conduttore (Minoli e Biagi) prediligono uno studio scarno, la Piazza di Santoro, bravo a orientare le opinioni, a selezionare i temi, a gestire il dibattito, ma non immune dal cadere nella rappresentazione esacerbata del conflitto, uno degli elementi che hanno fatto la fortuna del giornalismo spettacolo. Negli anni il faccia a faccia ha perso smalto, ci dice Ruggiero, mentre i format che puntano su arena e salotto sono andati meglio, ma questo è stato vero sino a ieri perché oggi questi modelli sono entrati in crisi. Floris con Ballarò inaugura il filone della politica pop, siamo negli anni 2000, i palinsesti sono sempre più densi di trasmissioni fatte di sole parole. Tra le novità Ruggiero cita Agorà e L’ultima parola, ma c’è una sfilza di programmi di infotainment che sempre di più hanno come oggetto i politici e la politica come puro spettacolo. L’ibridazione, che è la parola d’ordine del giornalismo degli ultimi anni, genera modelli spuri, con trasmissioni satiriche come Striscia e Le Iene che assumono la funzione di watchdog, mentre gli approfondimenti impegnati diventano complementari alla programmazione più leggera. Gli stessi comici diventano dei mediatori, forse gli unici affidabili, per dare un senso ai processi di socializzazione politica che ormai oscillano tra informazione divertimento. La spettacolarizzazione della politica ha generato dei mostri che prendono in contropiede perfino Ruggiero. Infatti la sua analisi termina prima che il genere entri nel tunnel di una crisi che ad oggi non presenta nessuna via d’uscita. Mauro Scarpellini.