Roberta Denti, blogger, traduttrice, giornalista, viaggiatrice del mondo: Intervista
di Andrea Giostra.
Ciao
Roberta, benvenuta e grazie per la tua disponibilità. Se volessi presentarti ai
nostri lettori cosa diresti di te nelle tue molteplici identità professionali e
di traduttrice?
In primis, grazie a te per
questa inaspettata intervista d’agosto e ai lettori che vorranno seguirla. La
prima cosa da sapere di me è che sono una sagoma e da quando sono nata sono
sempre stata una monella. Sempre attiva e sempre a cacciarmi nei guai, ero un
incubo per la mia famiglia. Fino a quando non scoprirono che bastava dare un
libro alla bestiaccia perché si placasse. I libri quindi fin dalla tenera età
mi hanno aiutato a controllare la mia proverbiale energia e nutrire la mia
insaziabile curiosità. La mia professionalità si dipana interamente sulle
lingue, italiano, inglese e spagnolo. Ossia leggo, traduco e scrivo da sempre.
Ho studiato prima alla Scuola Interpreti e quindi ho conseguito una laurea, summa cum laude - scrivilo per la mia
mamma che ci tiene tanto - in lingue e letterature straniere. Insomma, di base
a me piace parlare e poterlo fare con più persone mi ha visto “costretta” a
studiare più lingue. Inoltre, chi conosce più lingue, conosce più mondi.
Hai
lavorato scritto con uno pseudonimo, per le più importanti riviste di costume
quali “Rolling Stone” Men’s Health” Playboy e altre ancora. Ci racconti questa
tua esperienza e cosa ti ha insegnato questo lavoro che hai fatto girando
tantissimo per il mondo?
Va detto che oggigiorno sono
finiti i bei tempi della “casta giornalistica” dove i professionisti erano
pagati a peso d’oro e stipendiati per girarsi il mondo. La musica è decisamente
diversa oggi e i costi dei miei viaggi me li sono sempre accollata io. Di certo
viaggiare, e leggere tanto, mi ha permesso di sviluppare e ampliare la mia
curiosità così da rendermi elastica su diversi argomenti. Io di base ho sempre
scritto di Sex Drugs & Rocknroll, avendo iniziato la mia carriera con il
primo numero di Rolling Stone in Italia dove oltre alle traduzioni curavo la
rubrica dedicata al folle e decadente mondo delle groupie delle rockstar. Le
mie doti, irriverenza e malizia, quindi sono passate alla redazione di Men’s
Health dove mi divertivo a dare consigli sessuali ai maschietti per poi
approdare alla mecca di qualsiasi sex-blogger: Playboy. Lì per due anni ho
tenuto una rubrica dallo smaliziato titolo La Mia Vita Orizzontale dove ho
potuto scrivere senza alcuna censura le mie sexcapades, ovvero le mia scappatelle
di letto. Ho anche tenuto la rubrica Sesso Senza Tabù per la rivista Starbene
di Mondadori che però essendo rivolta a lettrici mi veniva puntualmente
censurata!
Il
tuo Blog è veramente molto interessante, vivace, dinamico, e per certi versi
atipico. Forte, diretto, senza mezze misure e per questo cattura molto i tuoi
lettori e vedo che hai tantissimi follower. Come nasce questo tuo progetto
editoriale, se vogliamo utilizzare questo termine, e cosa ci dici
dell’evoluzione che ha avuto negli anni?
Il blog sarebbe dovuto nascere
ben prima del 2015 e invece da procrastinatrice cronica ho atteso troppo e ho
finito per sbarcare sul web in piena esplosione di blog. È stato pertanto un
percorso più complicato distinguersi nella massa. Il primo nome del blog, Robbie
Does Blogging, è stato mutuato da un film porno americano degli anni Settanta
(decade di mia preferenza) dal titolo Debbie Does Dallas, la storia di una
vivace cheerleader che a ogni sventolata di “pompon” (adoro la cacofonia di
questo termine!) manda in visibilio, e non solo, la squadra. Essendo di base un
sex-blog trovavo divertente l’assonanza ma ahimè in pochissimi la coglievano e
sapevano ricordarsi il nome, allora sei mesi fa con il mio magnifico staff di
web geek abbiamo pensato di cambiarlo in fallifelici.com, titolo che gioca su
due punti chiavi della mia scrittura/personalità: far ridere e far godere. Con
un esilarante doppio senso. Ritengo che saper scrivere consenta di spaziare e
affrontare qualsiasi argomento, con garbo e ironia. Dai miei scritti è
assolutamente bandita la volgarità, anche quando tratto argomenti forti. Ti
faccio un esempio: per Playboy mi commissionarono un pezzo sul sesso anale. Il
titolo che scelsi fu Analchia. Divertente e irriverente, questo è il mio
registro. So bene di risultare forte e schietta, non mi maschero e i miei
scritti sono tutti veri e personali. Rifuggo e rigetto l’ipocrisia e non faccio
sconti al perbenismo altrui. Insomma, o mi ami o mi odi. Detesto le sfumature.
Soprattutto quelle di una certa trilogia … Comunque il blog, tutto farina del
mio sacco con la concessione di articoli altrui da me tradotti e di cui cito
sempre la fonte, partito in sordina tre anni fa ad oggi è arrivato a contare un
pubblico di diecimila lettori. Detesto la parola follower, anzi io preferirei
di gran lunga chiamarli FALLOwer! Sono fiera di essermeli conquistati con le
parole e di non averne comprato manco mezzo.
Come
definiresti il tuo stile letterario? C’è qualche scrittore, italiano o
straniero, al quale ti ispiri?
La mia prima fonte d’ispirazione
letteraria è la scrittrice franco-americana Anais Nin, nata nei primi anni del
Novecento, penna compulsiva dell’erotismo. A lei dedicai la mia tesi di laurea,
in particolare al suo Diario che narra la sua frenetica esistenza in giro per
il mondo e per diversi amanti. Uno dei libri per cui la Nin è più famosa è il
libro erotico “Il Delta di Venere” che lei scrisse a Parigi negli anni Venti
durante la sua liason con il giovane
scrittore in erba, Henry Miller. Ai tempi, infatti, non esisteva la pornografia
come la intendiamo oggi e sfacciati committenti pagavano un dollaro a pagina
agli aspiranti scrittori per scrivere racconti erotici. Care ragazze, ascoltate
il mio consiglio: meglio un racconto di Anais Nin dell’intera trilogia delle Sfumature.
Altri miei mostri sacri della letteratura sono: Philip Roth, Paul Auster, Bret
Easton Ellis e Jay McInerney, Henry David Thoureau, Jack Keorouac, David Foster
Wallace. Ma in realtà sono molti di più. Leggo in maniera compulsiva, anche se
ho una predilezione per la letteratura angloamericana che amo leggere in lingua
originale.
Quali
sono secondo te le caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere
chi scrive per essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?
Deve amare leggere. Lo so che
sembra un’assoluta banalità ma di questi tempi invece non lo è. L’Italia è un
paese di scrittori con un tasso bassissimo di lettori. Ho personalmente
conosciuto persone che avevano pubblicato un libro, cosa che a mio parere non
fa automaticamente di te uno scrittore, che si vantavano di non leggere. Ecco
per me questa è un’assurdità. Il talento si coltiva se lo si ha. E credo anche
in una ferrea disciplina quando si tratta di scrivere. L’idea romantica e
romanzata dello scrittore che si mette alla macchina da scrivere in preda
all’ispirazione e sforna un capolavoro in tre settimane è una chimera. Scrivere
è un lavoro duro, inesorabile, capace di assorbirti completamente. Poi, certo
dipende da cosa uno vuole scrivere. Esiste letteratura di serie A e letteratura
di serie B. Io leggo letteratura di serie A e non mi vergogno a definire la mia
scrittura letteratura di serie B. Almeno ho l’umiltà e l’intelligenza di
riconoscerlo, perché non dimentichiamoci che sono e rimango in primis una lettrice.
Qual
è il ruolo del critico letterario secondo te? E Perché è importante per uno
scrittore il suo giudizio, la sua opinione artistico-letteraria?
Non seguo molto la critica
letteraria e a parte rare eccezioni, mi sembra che nel nostro paese ci sia un
eccesso di premi autoreferenziali. Alla fine abbiamo un manipolo di scrittori
famosi che gira e rigira sono sempre loro a essere
premiati/criticati/pubblicati. La mia non è invidia ma solo constatazione dei
fatti. Io credo nell’impegno nel proprio lavoro. Il lavoro del critico è
importante ma dev’essere indipendente e libero.
Gino
de Dominicis, grandissimo genio artistico del secolo scorso, dei critici diceva
… «…che
hanno dei complessi di inferiorità rispetto agli artisti. Sono sempre
invidiosi. È una cosa che è sempre successa. C’è poco da fare.» Intervista a Canale 5 del 1994-95. Tu cosa ne pensi?
Mi viene in mente la battuta
d’apertura del film “Io e Annie” di Woody Allen dove Alvy Singer, il
protagonista, parlando degli insegnanti dice “Ricordo
il corpo insegnante della mia scuola pubblica. Sapete, avevamo un detto: chi
non sa far niente insegna e chi non sa insegnare insegna ginnastica.” Ecco si
potrebbe dire lo stesso di alcuni critici.
Io
sono afflitta da molteplici difetti ma sono altresì fiera di dire che mi manca
l’invidia, un sentimento che ti logora dentro e da cui non riesci a liberarti.
Sono convinta che ci siano parecchi critici invidiosi e d’invidia nel mio
piccolo ne ho subita tanta, non tanto per i miei successi che sono piccoli e sparuti
ma per la mia joie de vivre, per il
modo solare e allegro con cui affronto la vita e che cozza con chi invece vive
la propria esistenza logorandosi e augurandosi il peggio per gli altri. Io non
lo faccio e ti assicuro che non solo vivo meglio io ma anche le persone che mi
stanno accanto.
Roberta, sai bene che oggi definire l’arte è
veramente difficile. Non ci sono più dei canoni standardizzati come avveniva
nelle scuole del passato che hanno fatto dell’Italia il paese dell’arte.
Secondo te, quali sono le caratteristiche che deve possedere un “oggetto”
creato dall’uomo per essere definito opera d’arte? Dove per “oggetto”
intendiamo un dipinto, una scultura, uno scritto, un film, insomma, tutto
quello che si pretende di definire arte…
Partendo
dal presupposto che non sono un’esperta d’arte, non avendo fatto studi
specifici in merito, io amo definirmi un’amante dell’arte. Durante l’anno sono
spesso a Venezia dove non mi perdo una mostra, soprattutto di arte
contemporanea una delle mie preferite. Quindi la mia è una risposta
“amatoriale”: credo che un’opera perché abbia un valore debba trasmettere
un’emozione forte. Che sia un’opera scritta, visiva, artistica,
cinematografica. Qualcosa che rimanga dentro e non sia spazzata via dalle miriadi
di informazioni insulse e superflue che intasano la nostra mente e la nostra
anima. Come un bellissimo libro che si legge piano per paura che finisca troppo
presto. Ecco un’opera d’arte deve darmi il desiderio di trattenerla dentro.
Come
è nata la tua passione per lo scrivere, e qual è il tuo proposito, il tuo scopo
nello scrivere i tuoi racconti?
La
passione per la scrittura, mi ripeterò, è nata dalla passione per la lettura.
Il mio divorare i libri mi ha spinto sin da piccola a tenere un diario, a eccellere
in italiano e a propormi come lettrice per le case editrici finito il liceo.
Continuo ancora oggi a lavorare come traduttrice, quel ponte letterario che
permette alla letteratura di essere fruibile ai più. Con l’avvento dei social
media mi sono accorta di quanto la gente rispondesse alla mia scrittura e le
collaborazioni con le riviste hanno fatto il resto. Il mio scopo primario è
sollecitare e stuzzicare le menti, fare tabula rasa dei pregiudizi e dei tabù
ahimè ancora imperanti nel campo del sesso nel nostro paese. Con una scrittura
lieve ma non superficiale, vivace ma non sciocca, allegra ma non fatua.
Perché
secondo te oggi è importante scrivere, raccontare con la scrittura?
La scrittura, le parole, i
racconti, le notizie fanno parte del tessuto umano e sociale. Cambiano e
cambieranno ancora le modalità di divulgazione delle medesime ma il potere
della parola scritta non si estinguerà mai. Oggi è un mondo visual. Basta guardare, appunto non
leggere, qualsiasi social media e vedrai che ormai 8 post su 10 sono fatti di
video. Perdere la passione per la lettura e per l’approfondimento è un danno
cerebrale notevole. Io credo, e mi auguro, che come in tutti i cicli storici si
ritorni a dare valore alla scrittura.
Cosa
consiglieresti ad un giovane che volesse cimentarsi come scrittore, narratore,
giornalista? Quali i tre consigli più importanti che daresti?
Primo: fatti le ossa leggendo.
Di tutto e possibilmente in più lingue. Ricerca le notizie, le storie, i
racconti. Non aspettare che compaiano sul tuo desktop.
Secondo: studia. Che sia
università, scuola di giornalismo/scrittura, le basi tecniche servono sempre e
a prescindere. Il mito romanzato del genio autodidatta è appunto un mito e per
pochi oltretutto.
Terzo: trovati un lavoro che ti
paghi, oltre la passione per la scrittura. Perché purtroppo al giorno d’oggi
sperare di campare con la professione di scrittore/giornalista è una mera
chimera.
Quali
sono i tuoi prossimi progetti e i tuoi prossimi appuntamenti? A cosa stai
lavorando? Dove potranno seguirti i tuoi lettori e i tuoi fan?
Al
momento ho in ballo un interessante progetto editoriale/televisivo con un
gruppo di bravissime, e famose, scrittrici/blogger che vantano un seguito ben
più importante del mio. Si tratta di un progetto al femminile nel quale credo
molto e che spero risulti illuminante. Prima di quest’importante e intrigante
progetto me ne andrò come da mio rituale ormai ventennale a New York, dove
abitai e studiai negli anni Novanta, per trovare gli amici e farmi stimolare
dalle mille luci della città e dalle miriadi di opportunità culturali e
artistiche che solo la Grande Mela è in grado di offrire.
Un’ultima domanda Roberta.
Immaginiamo che tu sia stata inviata in una scuola media superiore a tenere una
conferenza sulla scrittura e sulla narrativa in generale, alla quale
partecipano tutti gli alunni di quella scuola. Lo scopo è quello di interessare
questi adolescenti all’arte dello scrivere e alla lettura. Cosa diresti loro
per appassionarli a quest’arte e catturare la loro attenzione? E quali le tre
cose più importanti che secondo te andrebbero dette ai ragazzi?
Direi loro che con le parole possono portarsi a letto
chi vogliono! Quando insegnavo inglese ai ragazzi del liceo, se avessi detto
loro di studiare per sapere a memoria l’opera omnia di Shakespeare mi avrebbero
riso in faccia. Invece, stuzzicandoli a imparare l’inglese per fare strage di
straniere in vacanza li stimolava quel che basta perché s’impegnassero! Scherzi
a parte, direi loro che studiare, leggere rende liberi, consapevoli e capaci di
scegliersi un futuro e non di subirlo. Di non sottovalutare mai il potere
inebriante della parola scritta e di credere sempre nella cultura che non dev’essere
per forza stantia e dogmatica (il cancro della didattica italiana) ma può
essere esaltante e coinvolgente. Inoltre, io sono una sapio-sessuale, ossia chi
è sessualmente inebriato dall’intelligenza. E ce ne sono tanti come me in giro
nella massa amorfa e “ascema” che inonda le bacheche della nostra vita
digitale.
Roberta
Denti
Andrea Giostra
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