Il libro: “Ai miei errori (così appariva il mondo quando ancora non avevo un cane)” di Giampiero Barrasso. Presentazione e intervista di Andrea Giostra.
Ciao Giampiero, benvenuto e grazie
per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori
che volessero sapere di te quale scrittore e poeta?
Per me la scrittura è una passione ed essenzialmente un hobby, visto che nella vita mi occupo di tutt’altro. In precedenza avevo pubblicato testi giuridici legati alla mia attività di giudice. Le pubblicazioni “letterarie” sono avvenute quando non ero più giovanissimo, seguendo l’esempio di Henri-Pierre Roché che ha scritto i suoi unici due romanzi quando era ben avanti negli anni. Non sono e non mi sento un poeta. Ho avuto il piacere di pubblicare due libri di racconti brevi; poi è venuta alla luce questa raccolta di poesie.
Chi è invece Giampiero al di là
della sua passione per la scrittura, per la letteratura, per la poesia e la
lettura? Cosa puoi raccontarci di te e della tua quotidianità?
Il mio lavoro di giudice
civile mi assorbe e impegna molto; redigo abitualmente centinaia di sentenze e
provvedimenti ogni anno. È così che sorge l’esigenza di “evadere” dalla
quotidianità, scrivendo qualcosa di diverso, che mi porta lontano dal lavoro,
costruendo altre realtà ed esternando sentimenti che esulano dal ristretto campo
giuridico.
Non ho seguito, pertanto,
l’esempio di molti magistrati, miei colleghi, che sono diventati scrittori
continuando a occuparsi di argomenti legati pur sempre al campo giudiziario.
La passione per la lettura e la letteratura mi ha portato piuttosto a cimentarmi con racconti di fantasia, legati alla vita quotidiana, spaziando anche in generi diversi.
Qual è il tuo percorso accademico, formativo, professionale ed
esperienziale che hai seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi
nel vestire i panni dello scrittore e del poeta?
Ho seguito gli studi classici, mi sono laureato in giurisprudenza e, dopo
aver svolto il servizio militare, ho iniziato a lavorare; come detto faccio il
magistrato ormai da tanti anni.
Prima con la famiglia di origine e poi per il mio lavoro mi sono spostato
in diverse città nelle quali ho vissuto: Roma, Gorizia, Trieste, Acri, Cosenza,
L’Aquila, Tarquinia.
Ho quindi assimilato varie influenze culturali, aggiunte a quelle delle mie
radici che sono in parte abruzzesi (per mia madre) e in parte siciliane (per
mio padre).
Anche se sono nato a Roma, a soli 17 anni mi sono trasferito in Friuli
Venezia Giulia per il lavoro di mio padre e lì ho completato gli studi. Sono
stati gli anni della formazione e della crescita, per cui sono rimasto molto
legato a quel territorio e a quella atmosfera “mitteleuropea”.
Aver vissuto in vari luoghi, aver fatto esperienze in realtà diverse, aver
conosciuto modi di vita e culture differenti, sono fattori che hanno
sicuramente arricchito il mio bagaglio personale, pur avendomi sottratto la
possibilità di mettere radici profonde in un unico luogo.
Tutto ciò traspare in qualche modo nei miei scritti.
Come nasce la tua passione per
scrittura, per la poesia e per i libri? Chi sono stati i tuoi maestri e quali
gli autori che da questo punto di vista ti hanno segnato e insegnato ad amare i
libri, le storie da scrivere e raccontare, la lettura e la scrittura?
Mi è sempre piaciuto scrivere e prima ancora
leggere. Sono infatti un assiduo lettore soprattutto di narrativa, anche se con
il limite di non amare troppo gli autori attuali, con le dovute eccezioni come,
per esempio, da ultimo Eshkol Nevo.
È lunghissimo l’elenco dei miei scrittori preferiti,
dallo stile più svariato.
Fermi restando gli autori classici, voglio
menzionarne alcuni di quelli che più ho apprezzato: da Buzzati a Sciascia e
Goffredo Parise, da Isaac B. Singer a Joseph Roth e Schnitzler, da Bukowski e
John Fante a Simenon, a tutto il genere “hard boiled” americano, solo per
citarne alcuni.
Ci tengo però a dire che leggendo “I quarantanove
racconti” di Hemingway ho sviluppato una passione per quel genere letterario,
forse un po’ trascurato a mio avviso. È così che una mia raccolta - a mo’ di
omaggio - l’ho intitolata più modestamente “I ventinove racconti”. Ovviamente
lo stile narrativo di Hemingway è un modello ineguagliabile.
Quando trovo un autore che mi coinvolge, mi piace leggere tutto di lui.
Ci parli del tuo libro, “AI miei errori”? Come nasce, qual è
l’ispirazione che l’ha generato?
Non riuscendo a dare continuità all’opera di redazione dei racconti,
genere questo che mi è congeniale, un bel giorno ho avuto l’idea
di tirar fuori dal cassetto alcune poesie giovanili che avevo scritto negli
anni 70/80 e per le quali avevo da sempre avuto il retropensiero di curarne la
pubblicazione, anche se con qualche resistenza.
Ho trovato qualche riscontro positivo nel parere di alcune persone che
stimo, amici intellettuali come il poeta Alberto Princis, l’artista Daniela Di
Bitonto Sello, il prof. Enrico Carini; così ho trovato il coraggio di
pubblicarle. Così com’erano sostanzialmente, al più in qualche caso ho fatto un
mero lavoro di limatura, eliminando qualche riga per rendere più snello il
testo.
Dico coraggio perché già la poesia (molto più del racconto) è qualcosa di
intimo che mette a nudo il sentire di chi la scrive; inoltre i testi erano
legati a un’epoca passata e a un’interiorità nella quale a volte faccio fatica
a ritrovarmi. I brani rispecchiano sensazioni provate nel momento lontano in
cui erano state scritte e talvolta sono distanti dal mio attuale sentire.
In definitiva è stato come affrontare un viaggio introspettivo a ritroso nel tempo.
Qual è il messaggio che vuoi che
arrivi al lettore, quale i temi e le storie che ci racconti, senza ovviamente
fare spoiler?
Onestamente non credo che un’opera debba necessariamente trasmettere un messaggio, il discorso sull’argomento sarebbe lungo. Le poesie della raccolta toccano temi non soltanto personali o legati al periodo della gioventù, ma anche universali come la solitudine, il rimpianto, l’attesa, gli amori infelici, l’amicizia che è un valore molto importante per me, l’emozione per un’amica scomparsa, una vaga sensazione di disagio esistenziale, l’amore per il territorio (Gorizia in particolare).
Chi sono i destinatari che hai
immaginato mentre lo scrivevi?
Da piccolo mi chiedevo: “perché uno scrive poesie?”. Credo per se stessi, in fondo. Quando le avevo scritte non pensavo certamente a pubblicarle. Era un periodo nel quale mi piaceva molto leggere i poeti: soprattutto Cardarelli, Biagio Marin, Ungaretti, Prévert, Edgar Lee Master Trilussa.
Una domanda difficile: perché i nostri lettori
dovrebbero comprare “Ai miei errori”? Prova a incuriosirli perché vadano
in libreria o nei portali online per
acquistarlo.
Intanto posso dire che nelle prime presentazioni che ho fatto – durante le
quali sono state lette alcune poesie - il libro ha riscosso un certo
gradimento, le poesie sono molto piaciute e - devo essere sincero – al di là
delle mie aspettative.
Il merito probabilmente è stato anche di ha saputo leggerle!
Inoltre, ferme restando le tematiche “universali” alle quale ho fatto prima riferimento e nelle quali chiunque può ritrovarsi, in molti scritti ho cercato di ricreare ambienti, atmosfere immagini quasi cinematografiche. Del resto in passato sono stato un grande appassionato di cinema e tra le righe non sfuggirà un qualche omaggio a Truffaut e Fellini, che tanto ho amato.
C’è qualcuno che vuoi ringraziare
che ti ha aiutato a realizzare la tua ultima opera letteraria?
Già nel corpo del libro c’è un ringraziamento all’amica Daniela di
Bitonto Sello, artista a tutto tondo, attrice, pittrice, poetessa, nonché
responsabile della Sezione Poesia dell’Accademia d’Arte e Letteratura. I suoi
preziosi consigli e incoraggiamenti hanno contribuito alla nascita del libro.
Doverosamente ringrazio la mia famiglia, ovvero mia moglie Francesca
Romana e mio figlio Alessandro e i cagnolini Gring e Jack ai quali è dovuto il
sottotitolo dell’opera.
Inoltre ringrazio l’Editore nella persona della dott.ssa Monica Di Leandro e la sua collaboratrice la signora Sabrina che con professionalità mi ha seguito durante l’iter di formazione delle bozze.
BREVE INTRODUZIONE E SINOSSI DEL LIBRO:
L’Autore, di professione magistrato, negli ultimi
anni si è dedicato per passione e diletto alla scrittura di racconti brevi che
sono stati pubblicati in due raccolte (“La stanza del silenzio” e “I ventinove
racconti”).
Recentemente ha riesumato dal dimenticatoio
alcune poesie scritte in età giovanile (risalenti agli anni ‘70/80) che
testimoniano un’epoca della sua esistenza.
Dalla stesura delle poesie è passato davvero
tanto tempo, sì che l’Autore in molte di esse oggi fa fatica a riconoscersi,
sia perché talvolta risentono delle vicende e delle sensazioni provate nel
momento stesso in cui erano state scritte, sia perché altre appaiono molto
distanti dal suo attuale sentire.
Tuttavia queste poesie toccano temi non soltanto
personali o legati al periodo della gioventù, ma anche universali come, ad
esempio, la solitudine, la vaga sensazione di un disagio esistenziale, gli
amori infelici, l’amicizia, l’emozione per un’amica scomparsa.
Diverse poesie testimoniano inoltre il legame
dello scrittore con l’amata terra Isontina (Gorizia in particolare) che lo
accolse quando aveva 17 anni e vi si trasferì da Roma con la famiglia; vi è poi
un’appendice di alcune poesie in dialetto romanesco (che rappresentano un
tributo a Trilussa).
Lo stile della scrittura fa trasparire le
passioni e asprezze tipiche dell’età giovanile.
L’incoraggiamento ricevuto da alcuni amici
letterati e intellettuali, che hanno riconosciuto la validità delle poesie
apprezzandone i contenuti, hanno indotto l’Autore alla pubblicazione.
BREVE BIO DELL’AUTORE:
Giampiero Barrasso è nato a Roma ed è vissuto
alcuni anni a Gorizia e Trieste, dove si è laureato in giurisprudenza, dopo
aver seguito gli studi classici.
Attualmente fa il giudice civile a Roma, dopo
aver svolto in precedenza l’attività di magistrato in Calabria e a L’Aquila.
Già autore di alcuni libri in campo giuridico (editore Giuffrè), nel 2013 ha pubblicato con l’editore Campanotto l’opera di narrativa “La stanza del silenzio e altri racconti”. Nel 2017 ha pubblicato, sempre per Campanotto, l’opera di narrativa “I ventinove racconti”.
Giampiero Barrasso, “Ai miei errori
(così appariva il mondo quando ancora non avevo un cane)”, Di Leandro Editore,
2025.
https://www.amazon.it/Ai-miei-errori-appariva-quando/dp/B0FG1G8ZVN/ref=sr_1_1



