Armanda Desidery: l’incanto del jazz tra radici, emozioni e libertà creativa. L'intervista di Fattitaliani

 

foto di Elisabetta Fernanda Cartiere

di Giovanni Zambito - Con Incanti e disincanti (collana NoWords della SoundFly di Bruno Savino), la pianista e compositrice napoletana Armanda Desidery torna a otto anni dal precedente lavoro con un album che è un vero viaggio sonoro tra Mediterraneo, America Latina e suggestioni eurocolte. Undici brani originali, ricchi di energia e colori, che riflettono una scrittura più complessa e matura, ma al tempo stesso vitale e aperta all’improvvisazione.

Circondata da diciannove musicisti scelti con cura, Desidery ha dato vita a un progetto corale che intreccia stili, esperienze e linguaggi, lasciando a ciascun interprete la libertà di esprimersi con la propria voce. Registrato nello storico Auditorium Novecento di Napoli, lo stesso in cui hanno inciso leggende come Caruso, Totò ed Eduardo De Filippo - e dove anche il padre, il maestro Giovanni Desidery, ha diretto orchestre e registrato dischi - l’album porta con sé la forza di un’eredità musicale vissuta con autenticità e passione. L'intervista di Fattitaliani.

Incanti e disincanti arriva a otto anni dal suo precedente lavoro. Come descriverebbe l’evoluzione del suo percorso musicale in questo tempo?

Ho sempre pensato che l’evoluzione musicale avvenga attraverso l’evoluzione della persona. La musica è strettamente legata al “sentire” del musicista.

In questi anni sono cambiata innanzitutto come essere umano e poi come musicista. Tante esperienze, nuovi ascolti e maggiore introspezione hanno portato a dei cambiamenti e a una maturazione. Oggi ho una visione della musica diversa, più rivolta alla composizione che al “virtuosismo” fine a se stesso.

Ha parlato di una scrittura “più complessa e matura” rispetto a La stanza dei colori. In che cosa, secondo lei, si avverte di più questa maturazione?

Dal punto di vista meramente tecnico, le composizioni di questo disco sono più “complesse” e ricercate rispetto al disco precedente, sia dal punto di vista armonico che concettuale. Ho cercato di realizzare sonorità variegate: è stata anche la prima volta che ho inserito nei miei brani una sezione di fiati e anche l’utilizzo degli archi in Loredana’s tango è stata per me un’assoluta novità.

Diciamo che in questo disco ho “osato” molto di più rispetto al passato.

Nel disco troviamo sonorità mediterranee, latinoamericane ed eurocolte. Come ha lavorato per intrecciare mondi musicali così diversi in un’unica visione coerente?

Sono tutte sonorità che amo, che ho ascoltato, approfondito, studiato e suonato nel tempo, e che ormai fanno parte di me. Ho iniziato con lo studio della musica classica (diplomata in pianoforte al Conservatorio), ma ho suonato e amato anche tanto altro: dalla salsa cubana al jazz. Ho sempre considerato la musica come un mondo “aperto”, in cui possano coesistere sonorità disparate e in continua evoluzione.

Tra i titoli dei brani, da Savana a Loredana’s Tango, fino a Qualcosa in più: c’è un filo narrativo o emotivo che li lega tra loro?

Il filo narrativo sono le mie emozioni e le suggestioni che mi hanno portato a comporre i brani. Ogni composizione è legata a un determinato momento, periodo, stato d’animo o addirittura a un sogno.


Ha coinvolto ben diciannove musicisti per questo progetto. Come ha scelto ciascuno di loro?

La premessa è che sono tutti musicisti straordinari. Li ho scelti in base allo stile della composizione e alla sonorità che desideravo ottenere. Ogni musicista ha un suo determinato suono, una personalità ben definita e, in base a queste caratteristiche, ho deciso chi coinvolgere e soprattutto quale brano far suonare.

Sono comunque tutti musicisti che conosco da tempo e con cui ho già avuto occasione di collaborare in diverse situazioni.

Dice che li ha “messi nelle condizioni di esprimersi liberamente”: quanto è importante per lei il dialogo tra la sua idea compositiva e la creatività degli altri interpreti?

È fondamentale, direi.

Per quanto un brano possa essere ben concepito e strutturato, senza la giusta interpretazione e creatività degli esecutori non potrà mai risultare veramente soddisfacente. Le parti improvvisative sono come delle vere e proprie composizioni estemporanee: la creatività del solista è importantissima!

Può raccontarci un aneddoto o un momento speciale delle registrazioni con questo gruppo così variegato?

Abbiamo lavorato in un clima goliardico e caotico. Battute e risate hanno accompagnato ogni registrazione. Come sempre, mi hanno preso in giro per i miei manoscritti, le mie “partituracce” scritte a matita e, ovviamente, la mia “avversione” (io direi incapacità) a utilizzare programmi di scrittura digitale è stata oggetto di grande ilarità. È stato tutto molto divertente e gioioso!

Lei è figlia d’arte, cresciuta con la musica di suo padre, il maestro Giovanni Desidery. In che modo questa eredità ha influito sulla sua scrittura e sul suo rapporto con la musica?

Devo moltissimo a mio padre. Papà mi ha insegnato ad amare e rispettare la musica e i musicisti. Mi ha insegnato anche a ridere e a non prendermi mai troppo sul serio, pur essendo una persona seria. Fin da bambina, avevo circa cinque anni, i miei genitori (anche mamma suonava la chitarra e cantava) mi hanno insegnato prima a leggere le note e poi le parole. Sono stata molto fortunata, direi privilegiata, a crescere in un ambiente dedito all’amore per la musica.

Ha confessato di aver pensato a suo padre durante le registrazioni. Quanto c’è di personale e intimo in Incanti e disincanti, oltre alla dimensione artistica?

È inevitabile che ci sia anche un lato molto personale nella musica, sempre e comunque. Impossibile per me separare la musica dalla mia sfera emotiva. Incanti e disincanti è stato registrato presso l’Auditorium Novecento (Phonotype), uno studio storico - direi mitico - di Napoli. Tanti anni prima, mio padre, nello stesso studio, ha diretto orchestre e registrato innumerevoli dischi.

Può immaginare che immensa emozione sia stata per me ritrovarmi, a distanza di anni, in quello stesso luogo.

foto di Elisabetta Fernanda Cartiere


Quanto conta per lei che la sua musica raggiunga non solo gli appassionati di jazz ma anche un pubblico più ampio e variegato?

Per me è estremamente importante, anzi direi fondamentale, che la musica possa in qualche modo arrivare e coinvolgere un pubblico ampio e variegato. È una cosa a cui tengo moltissimo.

È per me fonte di grande orgoglio e soddisfazione ricevere apprezzamenti da parte di persone che non hanno alcuna abitudine all’ascolto del jazz e della musica colta in generale. Quando succede (per fortuna succede spesso), sento che la “strada” musicale che sto perseguendo è quella “giusta”.

Che messaggio vorrebbe che il pubblico portasse con sé dopo aver ascoltato Incanti e disincanti?

Più che un messaggio, vorrei che l’ascolto di questo disco fosse una sorta di viaggio musicale, un viaggio variegato e colorato, nella bellezza.


ARMANDA DESIDERY
INCANTI E DISINCANTI
NoWords | SoundFly | Self distribuzione
(11 tracce - 52.07 min.)

Incanti e disincanti
1 Savana 
2 Come il sole al tramonto
3 Loredana's tango  
4 Always us
5 Sunrise 
6 Latin reunion 
7 Nonostante tutto 
8 Intro (Qualcosa in più)
9 Qualcosa in più 
10 That’s my answer 
11 Five minutes


Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top