The Big Dreamer, dal 15 al 17 settembre al cinema il restauro di VELLUTO BLU di David Lynch

 


Sotto tutti gli aspetti, Velluto blu è fino a oggi il vero classico di Lynch.

Non è un film prototipo come Eraserhead, né un successo più o meno collettivo a cui l’autore ha contribuito con il suo tocco caratteristico come Elephant Man, ma un’opera interamente personale, padroneggiata e conclusa, come non cercheranno più di essere i film successivi, molto più dislocati e asimmetrici.

È anche il film in cui insedia il suo universo, e crea una ricetta che potrà servire per tutti i film successivi (anche se cercherà di rinnovarla), un quadro (Lynchtown), uno schema strutturale e un nuovo tipo di romanticismo.

(Michel ChionDavid Lynch, Lindau, Torino 2000)

 

 

  • Il lato oscuro del sogno americano

 

L’idea della sequenza iniziale ci è venuta in mente pensando ad un libro, Good Times on Our Street, che tutti gli studenti americani una volta erano costretti a leggere. Il romanzo parla della gioia, della vita quotidiana, del buon vicinato. Per un piccolo americano che vive in una famiglia agiata, il paradiso deve assomigliare alla strada in cui abita. Sono cresciuto in questo ambiente: cancellate in legno e vecchie case. Sono certo che dietro ad esse si celassero verità terribili, ma nella mia testa di bambino tutto sembrava tranquillo e rassicurante. Gli aeroplani passavano lentamente nel cielo, i giocattoli di plastica galleggiavano sull’acqua, i pasti sembravano durare cinque anni, mentre la pennichella sembrava infinita. Tutto era piacevole e Good Times on Our Street restituiva questo clima. Questo mondo, oggi, sembra più che mai distante: credo che nelle scuole ormai più nessuno legga questo libro, perché nessuno può adesso sentirsi vicino all’atmosfera che descrive. In un certo momento della vita, cosa che capita a tutti, ho creduto alla possibilità di un mondo ideale e perfetto. Poco a poco ho notato come quest’idea si sia degradata, come questo mondo sia peggiorato.

Velluto blu è un film molto americano, e lo specchio di questa America è Lumberton, una città di fantasia, ma in America esistono molte Lumberton. Il film riflette una certa impressione data dagli Stati Uniti rispetto agli anni Ottanta. Ciò che Velluto blu descrive è l’orrore nascosto dietro l’apparente tranquillità di una piccola città di provincia. Un orrore che esiste nella natura umana. È inoltre un’incursione nel subconscio, un faccia a faccia con un universo che generalmente non si vede. Il protagonista, il giovane Jeffrey, si ritrova per caso in questo mondo d’orrore e di paura, ma riesce a fuggire. Non è sicuramente un film autobiografico, ma c’è molto di me nel film. Io e il personaggio di Jeffrey abbiamo parecchie cose in comune. Innanzitutto la cittadina in cui sono nato. Sono cresciuto in un ambiente simile a quello che si vede nel film: la cancellata bianca, le rose, tutto, all’inizio del film, è com’era nella mia infanzia. Ho visto la stessa cancellata nel giardino dietro alla casa dei miei genitori. Come Jeffrey, ho corso nei boschi e ho avuto le sue stesse curiosità. Inserisco inoltre, in Velluto blu, una serie di esperienze personali. Quando si realizza un film, a partire da un’idea alla quale si tiene molto, ci si mette molto di se stessi: il meglio ma anche l’altro lato, quello oscuro e perverso.

(David Lynch, in David Lynch, “Garage”, n. 17, 2000)

 

  • L’insostenibile leggerezza del male

 

Il binomio Velluto blu/Cuore selvaggio polarizza l’asse del bene e del male senza molti tentennamenti. Chi ha interpretato come puramente parodistici i finali dei due film, insistendo sulla disinvoltura psicologica delle opere di Lynch, non ha compreso che il mondo del regista – per quanto angosciato dall’inspiegabile in maniera quasi infantile – poggia su basi molto concrete. In poche parole, Jeffrey e Sandy, o Sailor e Lula, sono i buoni, gli altri sono i cattivi. Evidentemente, a Lynch non interessa impostare un discorso puramente fiabesco, sebbene i richiami alla favolistica e al Mago di Oz non siano casuali: Jeffrey è attirato dall’universo negativo e malato che spia dall’armadio, fino a spingersi nei meandri del buio e, simbolicamente, dell’incesto. Lynch non gioca da postmoderno con i luoghi comuni del cinema americano, con il lieto fine o con l’asse dei valori espliciti per sovvertirli dimostrandone la fallacia o l’inautenticità. Egli rifonda, semmai, i ruoli del buono e del cattivo, i poli del bene e del male, le dimensioni del positivo e del negativo. In questa fusione suprema di surrealismo e Hollywood, spirito underground e amore per gli anni Cinquanta, pittura in movimento e onirismo diffuso, esiste anche l’occhio dell’autore sull’esistenza del bene e del male.

(Roy MenariniIl cinema di David Lynch, Falsopiano, Alessandria 2002)

 

 

  • Il ruolo di Isabella Rossellini

 

Numerose attrici rifiutarono il ruolo di Dorothy Vallens, per un motivo o per l’altro. Tuttavia dicevano di adorarlo, e per questo se ne discuteva. Gli attori sono in grado di annusare una porcheria, quando non può funzionare o è disonesta, così come possono apprezzare un ruolo e malgrado ciò non riuscire a interpretarlo. Ho ricevuto alcuni tra i migliori feedback da parte di attori che hanno finito per non partecipare al film: per esempio Helen Mirren è stata davvero di grande aiuto per la sceneggiatura. Fino all’ultimo non conoscevo Isabella Rossellini. Una sera mi capitò d’incontrarla in un ristorante di New York City, e non solo la conobbi, ma scoprii anche che faceva l’attrice. Pensavo che fosse solamente una modella. La fissai, e quando ci ripensai un paio di giorni più tardi mi dissi: “Dovrei offrirla a lei, quella parte”.

(David Lynch, in Lynch secondo Lynch, a cura di Chris Rodley, Baldini & Castoldi, Milano 1998)

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