ESCE "LA GENTE VUOLE PEZZI SEMPLICI", NOVE COMIZI MUSICALI DI PAOLO PIERETTO

 


Un album “politico”, in ogni sua parte, dalla scrittura dei brani alla produzione. Questo è “La gente vuole pezzi semplici” (Maremmano/IRD), il terzo lavoro in studio del cantautore brianzolo e pavese d’adozione, Paolo Pieretto, che ritorna sulle scene a dieci anni dal suo ultimo disco.

Nel suo passato gli studi al C.P.M. e un ottimo successo di critica che lo hanno portato prima in finale al Premio Città di Recanati, poi al Festival di Castrocaro.

Nasce come cantautore puro, ma oggi ama definirsi “predicatore di canzoni che fa comizi musicali”. “Vedo le mie canzoni – dice – semplicemente come un mezzo per portare a una discussione, o almeno questo è il mio obiettivo e forse la mia presunzione. Magari una macchina scassata di terza mano, giù di carrozzeria e che non sempre ha voglia di accendersi, però pur sempre un mezzo di trasporto”.

Con questa filosofia vede la luce “La gente vuole pezzi semplici”, una fotografia impietosa e politicamente poco corretta della società e delle sue derive. Anche una denuncia chiara e netta sul nuovo modo di fare discografia: “Incidere e stampare un disco da indipendente è un gesto eroico a perdere, nella mia situazione avrei dovuto chiedere ad amici musicisti di lavorare gratuitamente e non ho trovato etico farlo: se alcune esecuzioni vi suoneranno elementari, consideratelo il mio dito medio punk al music business 2.0. Aver fatto tutto in casa e pubblicato essenzialmente quella che una volta veniva definita pre-produzione è la mia critica al music business di oggi in cui la qualità non è un valore.

La gente vuole pezzi semplici e se li ascolta lo fa dal telefono, se va proprio di lusso dal bluetooth dell’auto. Credete che nel disco di uno sconosciuto qualcuno possa apprezzare la dinamica di un bravo batterista ascoltando delle canzonette distrattamente dalle cuffiette in mp3? Questo è un problema culturale, ma del resto nel nostro Paese la musica leggera non è considerata cultura”.

Si tratta di un album dalle sonorità pop (che però, volutamente, non rispetta alcun canone di radiofonicità). Nove brani in tutto che attraversano tematiche scottanti: dalla malapolitica alla maleducazione; dall’ipocrisia del “politically correct” alla banalità del male, per dirla come Hannah Arendt, fino ad arrivare ai cambiamenti portati dall’avvento dei social. Con una luce in fondo al tunnel: la riscoperta terapeutica della creazione artistica senza condizionamenti perché, come spiega Pieretto, “non si può scegliere di iniziare a scrivere canzoni e non si può scegliere di smettere di farlo: si può solo decidere se tenere tutto nel cassetto o condividerlo con gli altri e poi stare a vedere se le proprie emozioni, visioni, idee, creano un terreno comune con altre sensibilità”.

L’album è stato scritto, prodotto e suonato dall’artista “tutto da solo e registrato in casa, poi i pezzi sono stati mixati da quel santo uomo di Franco Cufone che dopo una lunga gavetta nei migliori studi italiani e al fianco di band come Elio e le Storie Tese o Pitura Freska, finalmente ha realizzato il sogno di mettere a posto le mie canzoni storte”.

Esce il 26 settembre in distribuzione fisica e digitale.


I BRANI raccontati dall’autore

Anni fa un importante discografico inciampò in alcune mie canzoni e gli piacquero abbastanza, ma aggiunse anche che ero troppo contorto, complicato, impegnato: dovevo fare qualcosa di più radiofonico, commerciale. Mi disse: sei bravo, ma la gente non vuole sempre pensare o farsi domande con le canzoni. Fondamentalmente la gente vuole pezzi semplici.

Mi sembrò un buono spunto per una canzone, così la scrissi con tanto di discorso iniziale del discografico e ci vinsi pure un premio in un festival. Non l’ho mai incisa tuttavia poiché quando arrivò il momento di pubblicare il mio primo disco mi sembrava un brano ormai datato, ma saranno cambiati i tempi o sarò cambiato io, fatto sta che oggi mi sembra invece più attuale di allora.

Tra l’altro c’è da riflettere su come sia sparita dalla comunicazione degli ultimi tempi la parola “popolo”, in favore di una più generica, superficiale, leggera, liquidante “gente”. Del resto il popolo è qualcosa che può essere spaventoso per chi non vuole che cambi la situazione, è qualcosa di fisico che ha una sua potenza oltre che coscienza: meglio non evocarlo, che sia in termini politico-sociali che artistici. Meglio convincerci di essere solo “gente”, ma invece ci sarebbe proprio bisogno di un popolo, proprio come c’è sempre bisogno di un paese, per citare Cesare Pavese.

Tuttavia questo brano lo scrissi quando avevo poco più di vent’anni e un sacco di paranoie: una di queste era che secondo me esisteva un potere occulto che non voleva venissero divulgate alle masse canzoni con messaggi destabilizzanti.

Grazie al cielo, anche alla luce delle dichiarazioni del direttore artistico di Sanremo 2025 sul non gradimento verso canzoni che parlino di temi sociali, ora sappiamo con certezza che non esiste nessun potere occulto.

Il tempo però è passato da quei giorni di gloria, siamo nell’era dei social in cui non si contano più i dischi venduti, ma le visualizzazioni dei propri reel. Possono esserci video con miliardi di visualizzazioni, ma sapete qual è il tempo medio di attenzione? 3 secondi.

Chi sente di avere un’urgenza comunicativa, come può far passare un messaggio con soli 3 secondi a disposizione per agganciare l’attenzione di qualcuno? Capiamo tutti che non è più il tempo di elaborati preamboli, bisogna arrivare subito al dunque se si vuole comunicare. È necessario semplificare il linguaggio, andare dritti al punto, sconvolgere.

Mi sono reso conto di aver sempre scritto due tipi di canzoni: le menate introspettive da cantautore e le canzonette (o canzonacce) provocatorie. Ho voluto questa volta non mischiare gli ingredienti, ma concentrarmi solo su queste ultime perché oggi è la mia urgenza e anche perché mi sembra mi vengano meglio.

Così mi è tornata in testa quella vecchia canzone che dice “la gente vuole pezzi semplici” e ho chiesto alla mia amica Laura Formenti di recitare la parte della discografica (o se preferite della influencer musicale) per aggiornarla al music business 2.0.

Da questa presa di coscienza in poi, la scelta dei brani da tirare fuori dal cassetto è stata piuttosto facile.

Buonanotte Zombie” l’ho scritta dopo aver visto una grottesca intervista al direttore dell’agenzia delle entrate da Fazio: lui diceva cose aberranti come ad esempio che siccome ci sono gli evasori totali, allora bisogna far pagare più tasse a chi già le paga. La canzone non parla di questo, ma del pubblico che applaudiva invece che alzarsi a prenderlo a schiaffi. Lo stesso vale per quei giornalisti che si guardarono bene dal ribattere a Draghi quando alle soglie di una possibile terza guerra mondiale disse: “scegliete, volete la pace o l’aria condizionata?”.

Siamo un popolo che non ha neanche più bisogno di essere ucciso, in quanto già morto: devo questa riflessione a Giorgio Montanini e penso a quanto avesse ragione Carmelo Bene a definirci degli zombie.

Schwa” l’ho scritta perché mi irrita questa grafia, la schwa appunto, così come gli asterischi al posto delle vocali. È solo una mia piccola mania da sociopatico su cui ironizzare, ma mi serve per affrontare un discorso sul “politically correct” che mi pare sempre più spesso di un’ipocrisia urticante, tanto da svilire le giuste cause cui dovrebbe dare voce. Anzi, mi pare che molti siano diventati paladini del politicamente corretto più che altro per strizzare l’occhio a un mercato fatto anche, se non soprattutto, di lobby: ciò lo avverto epidermicamente e mi irrita, soprattutto nel music business.

Comunque ho immaginato una chiacchierata tra alcuni amici boomer, vecchi e ignoranti al tavolo del bar che vedono sfilare una nuova umanità che non hanno la cultura di comprendere e commentano con grossolana faciloneria. Ho messo dentro un po’ di reliquie pop anni ’80 come il Postalmarket e il Drive-In. Il pezzo è nato più o meno come lo sentite, poi ho pensato a quale fosse il pubblico musicale più ignorante che conoscessi e mi sono risposto “quello di Vasco”, di cui faccio parte ovviamente. Così ho deciso di accentuare lo stile Vasco anni ’80 nelle strofe. Avrei voluto la presenza di Alba Parietti in questo brano: gliel’ho proposto, ma non mi ha filato di striscio, avvalorando la mia ammirazione nei suoi confronti.

Braies” mi serve per affrontare il tema dei social, la vera Rivoluzione degli ultimi anni.

Comunque la pensiate, è innegabile che i social abbiano cambiato definitivamente il modo di comunicare, esprimersi, informarsi, socializzare, rimorchiare, far passare dei messaggi. La canzone è stata ispirata da una serie di “ragazze Instagram” e parla di come l’anticonformismo diventi conformismo semplicemente mettendoci un hashtag davanti, proprio come un laghetto meraviglioso e ignorato da millenni diventa la meta imprescindibile per milioni di persone alternative, così alternative che vanno tutte nello stesso posto senza mancare di farcelo sapere. In un certo senso è una canzone che parla di quanto siamo rimasti profondamente soli dopo che ci siamo tutti connessi l’un l’altro.

Faccio solo il mio lavoro” l’ho scritta pensando a quanta gente comune si sia resa protagonista di aberranti episodi e poi, una volta interrogata su quanto fatto, si sia difesa dicendo “non è colpa mia, ho solo eseguito, non avevo scelta, ho fatto solo il mio lavoro”.

Non penso solo a chi sgancia una bomba o a chi dà corrente alla sedia elettrica, ma anche ai musicisti che, purché venga data loro visibilità, non si chiedono chi ci sia dietro un festival, una manifestazione o un programma tv. Non vedo differenza tra loro e il pilota d’aereo. Nel 2025 non possiamo più permetterci l’ignoranza e l’indifferenza: tutto è politico, ogni gesto è una scelta di cui dobbiamo rispondere e la canzone parla di questo.

Il fannullone” l’ho scritta perché mi ha sempre incuriosito la prima frase in calce alla nostra Costituzione, quella storia della Repubblica fondata sul lavoro. Il lavoro è fatica e in fisica si misura in Joule: L=FXS (Lavoro uguale forza per spostamento). La Forza è massa x accelerazione. Insomma: forzare la massa ad accelerare lo spostamento per trovare il lavoro. Oh, sembra proprio la storia del nostro Paese.

È anche un omaggio a S. Benedetto del Tronto che mi lega a mio padre, oltre che al poeta Lucilio Santoni che è un genio ed è nato lì.

Bambini & Co.” perché provate voi a fare il cameriere in un ristorante la domenica a pranzo.

Magari domani” è il monologo che chiude il disco e a cui tengo particolarmente.

Mi pare ci siamo già dimenticati tutti di quella volta che un virus in poche settimane ha sgretolato decenni di certezze politiche, sociali ed economiche. Credevo non servisse una grande scienza per comprendere che evidentemente tutto ciò che avevamo seguito, tutte le regole del gioco conosciute si poggiavano su basi sbagliate.

In quei giorni sentivo auspicare un "ritorno alla normalità": ma davvero in quel febbraio 2020 ritenevamo normale il sistema in cui vivevamo? Davvero abbiamo ignorato come tutto sia crollato in così poco tempo? Davvero ci siamo dimenticati che è bastato allentare un attimo per vedere, che so, le paperelle nel Naviglio e dei pesci veri nel Lambro? Davvero non ne abbiamo approfittato per chiederci se fossero normali gli studi di settore, il canone RAI nella bolletta per pagare gli uffici stampa dei partiti politici, il bollo auto in un Paese con le autostrade private, la pressione fiscale al 60%, le trattenute vergognose sulle buste paga, le accise aumentate solo per chi produce in Italia, i centri massaggi orientali eccetera eccetera eccetera? Davvero siamo tornati alla “normalità” di un sistema che non è in grado di garantire ai suoi figli istruzione, sanità, un tetto sulla testa e un sostentamento almeno dignitoso?

Davvero abbiamo rimesso in piedi la Torre di Babele, anzi più violenta e cattiva?

Per me la normalità dovrebbe vedere al centro l'umanità, nel senso più universale del termine. Non l'economia, non questo sistema da guardie e ladri, ancora più acuito in quei giorni di lockdown, che parte da uno stato (volutamente minuscolo) che considera ladro per principio un commerciante e arriva al delatore alla finestra che chiama la pattuglia se vede un runner e poi magari canta "Il pescatore" sul balcone.

La normalità dovrebbe vedere ognuno mettere le proprie capacità e attitudini al servizio degli altri, dovrebbe prevedere compassione e non competizione. Più jam session e meno televoto: nessuno deve essere fuori.

Esiste qualcosa di più inquietante di uno stato che in pieno lockdown mi diceva che per aiutarmi a pagare i debiti da esso causati mi permetteva di andare in banca a fare un debito? Ecco, “Magari domani” parla di questo.

Questa vita in mezzo ai denti” è la mia canzone più rappresentativa, nel senso che è quella che parla proprio di me e mi mette a nudo.

Mi sono dimenato molto per diventare famoso, ma non ci sono riuscito. Fatto sta che purtroppo nessuno mi ha mai chiesto di scrivere canzoni.

Non ho doveri editoriali e non ho un pubblico che aspetta un mio disco, ma paradossalmente questo mi regala un vantaggio inestimabile: la libertà di creare ciò che mi pare senza doverne rendere conto a nessuno. Solo gli stupidi (e ce ne sono!) nella mia situazione si mettono a scrivere pensando al mercato (quale poi, non si sa).

Io scrivo solo per me, perché mi piacciono le canzoni così, non conosco altri che ne facciano di questo tipo e mi diverte molto riascoltarmele, ma ovviamente tutti siete invitati al party.

Quando è così si scrive per necessità, quasi per terapia, di sicuro si mette su un foglio di carta un pezzo importante della propria intimità. Pubblicarla e accorgersi non tanto che la canzone non piace (sarebbe già un risultato), ma riscontrare indifferenza o superficialità, è un dispiacere che per me è sempre stato difficile da sostenere.

Un paio d’anni fa ho perso mio padre Enrico, mentre mia madre è morta già da 15 anni. Ho scoperto la sensazione che non avevo mai considerato prima di non essere più figlio.

Sì, lo so, mi direte che si resta sempre figli, ma lo sapete anche voi cosa intendo dire io e che quello che dite voi sono cazzate che non consolano. Inoltre io per ora ho avuto il buon gusto di non riprodurmi (vedi alla voce “Bambini & Co.), almeno che io sappia.

Quindi mi sono trovato con questa sensazione di non avere nessuno sulla faccia della Terra a cui dover rendere conto. Sì, perché quando scrivevo tutto sommato talvolta mi autocensuravo al pensiero che poi certe riflessioni le avrebbero ascoltate mio padre o mia madre e ciò mi imbarazzava. Ora, io a tutte queste cose non pensavo mica quando ho iniziato a scrivere il pezzo. Ho capito dopo che quella sconosciuta leggerezza veniva da lì. Non avrei avuto il coraggio di confessare che mi intervisto dentro al cesso, ad esempio.

Sta di fatto che ne è uscita “Questa vita in mezzo ai denti” e ho capito una cosa: una canzone è veramente valida non quando pensiamo che possa avere successo, ma quando sentiamo che si merita il dispiacere di affrontare il fallimento.

Questa se lo merita, ecco perché dopo tanti anni mi sono deciso a pubblicare un nuovo disco.

Lo dedico a Vittorio.

TRACKLIST E CREDITI

1) QUESTA VITA IN MEZZO AI DENTI

2) SINGOLO (La gente vuole pezzi semplici) feat. Laura Formenti

3) BUONANOTTE ZOMBIE

4) SCHWA

5) BRAIES

6) FACCIO SOLO IL MIO LAVORO

7) IL FANNULLONE

8) BAMBINI & CO.

9) MAGARI DOMANI

Scritto, prodotto, arrangiato, suonato, cantato, registrato da Paolo Pieretto

Mixato e masterizzato da Franco Cufone


Fattitaliani

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