
Un film che nasce da un’intuizione, cresce grazie a un percorso umano e artistico condiviso, e si sviluppa fino a diventare un’opera capace di intrecciare satira, dramma e riflessione sociale. Discesa libera affronta il tema dell’Alzheimer con uno sguardo originale, mescolando ironia e profondità, e portando sullo schermo un intreccio tra la fragilità dell’attore e quella di chi vive la malattia. Il film uscirà nelle sale italiane a partire dal 9 settembre 2025. Prima del debutto nazionale, sarà presentato in anteprima italiana al Festival di Villammare (SA) nella serata di domenica 24 agosto e in anteprima internazionale il 6 settembre al London Rolling Film Festival. Presso il Cinema Delle Provincie di Roma, il 9 e l’11 settembre, le proiezioni saranno arricchite dalla mostra fotografica di Roberto Vignoli, artista che attraverso le sue immagini esplora il tema dell’Alzheimer, in profonda sintonia con le riflessioni proposte dalla pellicola. A Fattitaliani l’autore e regista racconta la genesi del progetto, le difficoltà e le soddisfazioni della produzione indipendente, e il messaggio che vorrebbe lasciare al pubblico. L'intervista.
Da dove nasce l’idea di Discesa libera e come si è sviluppata dal cortometraggio Vittorio fino a diventare un lungometraggio?
Il corto Vittorio è nato casualmente da una ricerca sul tema Alzheimer fatta a seguito di una chiacchierata con una amica attrice e da lì l’idea di coinvolgere Massimo Mirani per il ruolo di protagonista. Da quel momento con Massimo ci siamo incontrati più volte ribadendo l’idea, prima o poi, di farne un lungometraggio. Come Massimo stesso mi ha confidato pochi giorni fa, credeva si trattasse di “chiacchiere da bar” in amicizia, più per cullare un sogno che per realizzare un progetto, dato che di progetti appesi irrealizzabili spesso si parla più per darsi conforto che per altro. Io invece ero certo che avremmo trovato il modo di arrivare a dama e dunque, appena si è creata la minima possibilità con la Fondazione Melichiorri, ho messo insieme le idee e ho portato la storia di Vittorio all’interno del mondo di Manuel Falco, un attore emergente ostracizzato dal potere che non si arrende mai nonostante le sue fragilità. Da qui nasce Discesa libera.
Perché ha scelto di raccontare una storia che intreccia la satira, la fragilità personale e un tema delicato come l’Alzheimer?
Perché la forza della satira è la sua fragilità. Quando scrivo i miei testi so che sto camminando su un filo appeso in aria, in equilibrio, a metà: con gli applausi fragorosi da una parte e le fiamme delle urla di odio dall’altra. Cammino bene su quel filo, ci sto anche comodo, forse mi serve, ma è dura e mostra le fragilità sia della contraddizione presente di ogni ragionamento che, anche, della difficoltà nell’esprimerlo con massima forza. Fare satira è un po’ come perdere l’identità propria e immergersi in questo contrasto, divertendosi addirittura! E allora la perdita di memoria è probabilmente la risoluzione a tutto, una perdita di identificazione con ciò che si sente e si esprime. C’è chi dice che l’attore è un pazzo. Io dico che è coscientemente senza memoria.
Nel film si intrecciano il “paradosso dell’attore” e il “paradosso dell’Alzheimer”. In che modo questa metafora aiuta a riflettere sul senso dell’identità e della memoria?Il paradosso dell’attore consiste nel dover ripetere le stesse azioni, le stesse frasi, giorno dopo giorno e ogni volta come fosse la prima. In più in panni altrui, ovvero, dimenticando la propria storia personale e acquisendone un’altra. Lo stesso fa, senza averne coscienza, senza scelta, un malato di Alzheimer. Manuel Falco impara da Vittorio il senso della vita e sebbene ne resti commosso e inerme, non può fare a meno di agire e proverà a risolvere la questione coi suoi strumenti artistici. Pensa: io e te in fondo abbiamo la stessa malattia e dunque io posso curarti con la mia arte. In fondo la memoria è ciò che ci rende umani, dice Manuel alla dottoressa, senza memoria siamo come gli animali che agiscono per impulso, ma quella, in realtà, è la dimensione più alta per un attore, l’unico modo di immedesimarsi in altri e rivivere più volte le stesse scene come fosse la prima volta. Ecco il legame tra i due paradossi.
Discesa libera è definita una “commedia seria”: come ha lavorato sull’equilibrio tra ironia e dramma?
Credo sia un po’ la mia dimensione stilistica o almeno una dimensione naturale in cui mi trovo a immaginare e scrivere le storie. So che il cinema è fatto di generi, ma la realtà invece è un mix agrodolce di sapori, di situazioni, di personaggi ognuno con la sua identità specifica. Già la comunicazione, la politica, le mode tendono a creare schemi e sezioni di appartenenza. Fosse la volta buona che con Discesa libera si possa proporre un modo particolare, personale di raccontare le storie se non altro in un panorama in cui spesso ci si trova a vedere cose “molto simili” come modalità narrativa. Sarei felice se chi vede il film lo trovasse un extra rispetto, se non altro, alla cinematografia italiana degli ultimi decenni. Per tornare alla domanda, il come, ovvero quella spontanea scelta stilistica, dipende molto dal mio passato sia come autore che, soprattutto, dal lavoro che svolgo con gli attori. Questo modo di lasciare margine di improvvisazione e di approccio creativo, nel continuo dialogo col regista, mi permette di tirare fuori dagli attori cose colorate e mai bidimensionali. Se funzionerà anche per il pubblico a maggior ragione continuerò in futuro su questa strada nelle prossime occasioni.
Quali sono state le principali difficoltà di una produzione indipendente e cosa, invece, l’ha sorpresa positivamente lungo il percorso?
La cosa favorevole più rilevante è la possibilità di operare in autonomia e di essere padroni del proprio destino, se non altro sul piano delle scelte. Questo per mia attitudine ed esperienza personale ha un grande valore: la libertà di azione e la possibilità di stabilire i tempi (per quanto possibile) ha fatto la differenza. Con i tempi lunghi e i vincoli della grande produzione un progetto simile, a mio parere, si sarebbe caricato di pesi inutili e di compromessi che avrebbero inevitabilmente influenzato il prodotto finale. Trovo questa modalità molto conforme al tipo di progetto. D’altro canto la ridottissima capacità economica ha contratto i tempi di produzione ai limiti dell’impossibile. Mi piace molto lavorare coi giri del motore vicino al massimo, ma così è troppo! Ci siamo riusciti. Bene così, ma la prossima volta si farà con qualcosa in più.
Gli attori hanno partecipato sposando il progetto anche con grande spirito di collaborazione. Cosa ha significato per lei dirigere e allo stesso tempo condividere questo cammino con loro?
Ha significato molto. Ci tengo ai rapporti umani e credo che ad una attenta osservazione questa cosa possa emergere anche dalle interviste o addirittura dal film. C’era bisogno di grande spirito collaborativo date tutte le premesse e sia gli attori che tutti gli altri, dai tecnici alle comparse fino alle strutture ospitanti e gli sponsor, tutti hanno sposato la causa e si sono prodigati per arrivare all’obiettivo. La sto descrivendo un po’ come un’arca di Noè, ma tale è stata.
Che ruolo ha avuto la collaborazione con la Fondazione Rosa e Giovanni Melchiorri e con le realtà che hanno sostenuto il progetto?
La Fondazione ha permesso con la sua partecipazione, dandomi fiducia, di creare i presupposti iniziali senza i quali non avrei potuto mettere insieme tutti gli altri. Oltre a questo, i loro studi mi hanno dato l'opportunità di avere strumenti fondamentali sia per la narrazione del tema Alzheimer, sia per la consapevolezza dell’impatto sociale ed economico della malattia sulla popolazione, in particolare quella italiana. Conoscere a fondo i numeri e i possibili sviluppi di una situazione che sta andando fuori controllo mi ha ulteriormente motivato a fare, non solo un film, ma un’opera di profonda sensibilizzazione. Un mese fa è uscita un’altra sentenza di Corte d’appello che prevede la totale partecipazione dello Stato alle spese delle RSA per i malati di Alzheimer: è una piaga sociale e una questione economica di difficile risoluzione. Il film è un’opera che promuove la prevenzione attraverso il progetto “rete prevenzione Alzheimer” della Fondazione Melchiorri.
Il film sarà presentato in anteprima al Festival di Villammare e poi al London Rolling Film Festival. Cosa significa per lei questo doppio riconoscimento, nazionale e internazionale?
I riconoscimenti fanno piacere e ne sono fiero. Come dicevo all’inizio però sono come Manuel Falco, un attore sospeso in aria in bilico tra due fuochi. Pertanto, i riconoscimenti devo darmeli da solo e farmi forza per istinto di sopravvivenza. Ho difficoltà a bearmi dei complimenti e deprimermi per i dissensi. Vado dritto. E ringrazio di cuore chi lo apprezza!
Che tipo di reazione si augura da parte del pubblico? Più empatia, più riflessione, o anche un sorriso liberatorio?
La sensazione che ho è che sia un film delicato, un piatto da assaporare, un vino da esplorare coi cinque sensi. Immagino che dipenderà molto dal palato e dall’abitudine del singolo a usare gli occhi per mangiare o il naso per bere.
Nelle proiezioni romane il film sarà accompagnato da una mostra fotografica di Roberto Vignoli. Quanto è importante per lei questo dialogo tra linguaggi artistici?
Il cinema e il teatro per un regista sono l’unione di più arti dentro un unico prodotto: usiamo scenografie, suoni, luci, azioni vive di esseri più o meno senzienti. Che un fotografo importante come Vignoli abbia scelto di partecipare a questo evento è per me motivo di orgoglio e in più di confronto. Inoltre, permette a chi verrà alla proiezione di avere un sapore in più da esplorare. Come detto chi ha un buon palato potrà divertirsi. Ci tengo a sottolineare che Roberto Vignoli è un artista che più volte ha affrontato temi sociali delicati nelle sue mostre e a maggior ragione sarà un importante valore aggiunto la sua presenza oltre all’esposizione.
Lei è attore, regista e autore satirico: cosa porta di ciascuno di questi ruoli in Discesa libera?Ho portato tutto ciò che potevo all’interno del progetto e ho difficoltà a fare un distinguo netto tra le tre posizioni. Tecnicamente potremmo parlarne e sviscerare ogni singolo aspetto dei diversi lavori uniti in un unico prodotto. Nella pratica, invece, l’immagine della famosa arca biblica rende l’idea: ho fatto tutto ciò che serviva al momento opportuno, passavo da un ruolo all’altro senza limiti di discontinuità, in un flusso operativo continuo. So bene che la divisione dei compiti e in particolare la sovrapposizione dei ruoli di attore e regista sia una cosa difficile da gestire. Pur volendo e riuscendo a gestirla al meglio si perde sempre qualcosa. La scelta del ruolo di Manuel, non lontano da me, mi ha permesso di poter curare la regia tanto da poter sentire mio questo film. In caso contrario avrei chiesto ad altri di interpretare il ruolo.
Quale messaggio vorrebbe rimanesse agli spettatori una volta usciti dalla sala?
Ognuno porterà per sé i messaggi che più sentirà affini alla propria realtà personale e in particolare alla realtà di quel momento. Immagino che vedere un film come questo in diversi momenti della propria vita sia come vedere film diversi. I messaggi sono molti e spero che ogni spettatore possa ricevere qualcosa di importante sul piano emotivo o conoscitivo, in base alla propria sensibilità. Quel che personalmente ho voluto raccontare è la capacità di non arrendersi di fronte a nulla: Manuel non si ferma mai, butta sempre il cuore oltre l’ostacolo fino alla fine. Questo è il mio messaggio, quello che piace a me.