Nel cuore del nostro tempo si consuma una tragedia che sembra uscita da un incubo senza fine. La Striscia di Gaza, luogo di una sofferenza implacabile, si trova ora sull’orlo di una cancellazione politica e umana. Le parole di Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano, svelano un progetto che va ben oltre la guerra: un piano per “correggere” la storia con la forza, per cancellare lo Stato palestinese e imporre un controllo militare totale, senza margini di umanità o compromesso.
Questo disegno di potere si nutre di un’ideologia che travalica la ragione, si insinua nell’oscurità più profonda del cuore umano, e si fa strumento di oppressione e annientamento. È la stessa follia di chi, dietro il velo della legittimità politica, costruisce il proprio trono su cadaveri e dolore.
L’uomo e l’orrore: da Shoah e Gulag al presente
Non è un caso che Conrad abbia messo in bocca a Kurtz il grido disperato: “L’orrore! L’orrore!” Perché questo orrore è il male che l’uomo porta dentro di sé, il male che si manifesta quando si perde la bussola morale e si lascia spazio alla paura, all’odio, alla sopraffazione.
La storia recente ci ha già mostrato il volto più terribile di questo male: la Shoah, con il suo genocidio sistematico di milioni di persone innocenti, e i gulag sovietici, i campi di sterminio in cui milioni di esseri umani furono ridotti a nulla, bruciati dal gelo, dal lavoro e dalla fame. Aleksandr Solženicyn, sopravvissuto a quell’inferno, scrisse:
"Il male assoluto non si manifesta come un mostro dall’aspetto terribile, ma come una burocrazia fredda e disumana, una macchina perfetta che annienta la persona."
Chi ha vissuto quell’orrore porta nel proprio spirito un peso indicibile, eppure la tentazione di ricorrere a metodi altrettanto brutali per “prevenire” il male torna ciclicamente, creando una spirale infinita di vendette e sofferenze.
Come disse Primo Levi, sopravvissuto alla Shoah:
"È accaduto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di ciò che dobbiamo dire."
Ecco perché è necessario guardare con occhi aperti dentro noi stessi, riconoscere il male che abita in ogni essere umano, e non rifugiarsi in facili scuse di sicurezza o giustizia. Perché quando la memoria diventa uno scudo per giustificare oppressioni, il male si ripresenta più feroce che mai.
L’orrore e il potere: Salò di Pasolini
A questo orrore e a questa riflessione si lega in modo inquietante Salò o le 120 giornate di Sodoma, il film di Pier Paolo Pasolini, che rappresenta forse la denuncia più dura e radicale del potere che si fa tirannia assoluta e disumanizzazione.
Ambientato negli ultimi giorni della Repubblica di Salò, il film mostra l’abisso più oscuro della natura umana quando essa si piega alla brutalità, alla violenza e all’annientamento totale dell’altro. Pasolini porta sullo schermo una visione distopica, dove i potenti usano il corpo e la mente degli individui come strumenti di dominio e umiliazione, distruggendo ogni traccia di dignità e umanità.
Salò è un’estrema manifestazione dell’orrore che può nascere quando il potere si svincola da ogni principio morale e si trasforma in un circo infernale di sadismo e oppressione. La sua crudezza scioccante ci costringe a confrontarci con ciò che molti vorrebbero ignorare: la fragilità della civiltà e la facilità con cui può trasformarsi in barbarie.
In questo senso, il film di Pasolini si pone in perfetta continuità con la denuncia di Conrad, Solženicyn e Levi: l’orrore non è un fatto remoto o estraneo, ma un rischio presente, un oscuro riflesso che abita dentro di noi e che si manifesta soprattutto quando la memoria e la coscienza si perdono.
Dialogo immaginario: Solženicyn, Nostromo, Pasolini e Conrad
Questo testo vuole essere un monito e un appello drammatico e urgente: il male è parte della nostra natura, ma la nostra responsabilità è quella di non lasciarlo crescere incontrollato. Ricordare, testimoniare e combattere l’oscurità con ogni mezzo — dalla parola alla verità — è l’unica via per sperare in un futuro diverso. Dobbiamo urlarlo ai nostri figli, ai nostri nipoti e soprattutto a noi stessi.
Carlo Di Stanislao