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Mariella Nava - Ph. Franzo Belletti |
Mariella Nava torna con un nuovo brano intenso e struggente: “Non mi capirai mai”. Una canzone che nasce come parte integrante di uno spettacolo teatrale sul femminicidio, ma che ha la forza di vivere anche al di fuori della scena, come testimonianza artistica e civile. La cantautrice, da sempre voce sensibile e profonda, affronta con coraggio e delicatezza un tema che tocca corde intime e collettive. In questa intervista ci racconta il percorso creativo, il senso di responsabilità e il legame con le madri, tra emozione e consapevolezza.
Mariella, “Non mi capirai mai”
nasce da un contesto teatrale molto forte. Come è nata l’idea di trasformarlo
anche in un brano musicale?
Avevo letto il testo
teatrale di Stefania Porrino, nato dall’ idea di Daniela Poggi di
voler raccontare l’altra parte del dolore, derivante da un femminicidio, e
cioè quello di una madre che scopre che suo figlio desiderato, allevato con
amore, ha tradito tutte le sue aspettative ed é diventato l’assassino della
propria compagna.
Ho cercato quali fossero le
canzoni del mio repertorio più adatte per questa inquadratura del tema sulla
violenza di genere e ad ogni passo del testo, ad ogni riflessione della madre
protagonista, avevo individuato il brano giusto.
Avevo tutte le canzoni, ma mi
mancava quella che raccontasse cosa significa diventare madre, cosa prova una
madre, dal momento del concepimento di un figlio, in quell’ unico respiro
nel ventre, fino a quando lo partorisce e se lo trova tra le braccia, e
poi lo nutre, lo culla, lo forma, lo cresce, lo aspetta di nuovo.
Ho pensato che ad ogni madre,
fin da subito, é consegnato il destino dell’attesa, che resta la condizione
dominante e comune a tutte. Tutto questo, quando si é figli, non lo si capirà
mai abbastanza.
Che tipo di reazioni hai ricevuto dal pubblico dopo le
rappresentazioni dello spettacolo “Figlio non sei più Giglio”?
Era la prima volta che mi
approcciavo ad un lavoro teatrale.
É stato per me un modo di concepire la musica diversamente, mettendola al servizio
del gesto, della parola, della luce, dell’ombra.
Un’ esperienza bellissima che
mi ha fornito nuovi codici emozionali di una materia che non finisce mai di
stupirmi.
Il pubblico, non solo mi
ritrova e mi riconosce, ma ha anche mostrato un nuovo entusiasmo nell’
ascoltarmi in questa nuova veste di “colonna sonora” di un racconto.
Il testo racconta la
prospettiva di una madre dilaniata dal dolore. Ti sei ispirata a storie
vere?
Non saprei scrivere niente che non sia riconducibile alla realtà.
I miei occhi fotografano e la mia mente inizia a cercare le parole e la
musica corrispondenti.
La verità dei fatti diventa da
sola ritornello, perché é la vita che gira intorno a noi, ritorna, é comune,
perché ci appartiene.
C’è un legame tra questa
canzone e il brano “Questi figli”, scritto anni fa per Gianni Morandi. In che
modo si sono incrociate le due Mariella, quella giovane e quella di oggi?
Sono sempre io cresciuta.
Il punto di unione é il mio
modo di entrare negli stessi pensieri, ma in età diverse.
All’inizio del mio scrivere,
nel tempo a cui risale il mio primo brano “Questi figli”, ero comunque figlia,
e cercavo di intercettare e descrivere le sensazioni dei genitori nel momento
in cui capiscono di perdere il controllo delle vite dei loro figli, pur sapendo
che questo accadrà ed é giusto e naturale che succeda.
Adesso sono una donna che può
sapere ancora di più di quegli stessi pensieri.
Sei una cantautrice molto
impegnata anche sul fronte civile. Cosa significa oggi, per te, essere
un’artista “sociale”?
É una domanda strana perché non
riesco ad immaginare un artista che non sia “sociale”.
L’ arte “é” sociale da sempre, nelle culture, nella storia.
Non si sceglie l’arte solo per un talento che si scopre in sé, per un godimento o per un esercizio personale, si sceglie perché ci si vuole collegare a qualcuno, si vuole raccontare un bisogno, un dolore, un sorriso, una conquista, si vuole esprimere un’idea, lasciare un concetto, un’interpretazione, si vuole proporre una visione, una forma migliore del vivere. Mi sento semplicemente artista e spero continuamente di riuscire ad esserlo in questo impegno.