Nel panorama musicale contemporaneo, dove spesso si rincorrono mode passeggere e produzioni seriali, incontrare una band che sceglie la verità come bussola è un atto raro e prezioso. Capocotta non è solo un nome: è una dichiarazione d’intenti. È un omaggio a un momento di coraggio artistico, ma anche un manifesto di autenticità, nato nel silenzio del lockdown e cresciuto nel tempo dell’ascolto reciproco.
In questa intervista, il gruppo ci accompagna in un viaggio che parte da Agrigento, attraversa il mare simbolico di un “Bagnasciuga” e approda a un EP carico di emozioni, dubbi, rabbia e speranza. Le loro parole – come le loro canzoni – non cercano effetti speciali, ma verità condivise. Qui, la musica è un luogo dove si può ancora rallentare, sentire, ricordare chi si è.
Fattitaliani ha intervistato i Capocotta per farci raccontare la genesi del loro progetto, il significato profondo del loro debutto, e quella tensione costante – delicata e potente – che li spinge a non smettere mai di cercare.
"Capocotta" è un nome evocativo. Cosa
rappresenta per voi e come l’avete scelto?
Capocotta per noi non è solo un luogo, ma un simbolo. È lì
che, nel 1979, Rino Gaetano tenne un concerto e si lasciò andare a uno sfogo
tanto lucido quanto coraggioso. Sul palco disse: «C’è qualcuno che vuole
mettermi il bavaglio! Io non li temo! Non ci riusciranno!». Quelle parole,
dette in un tempo difficile, ci sono rimaste dentro.
Abbiamo scelto questo nome per
rendere omaggio non solo all’artista, ma all’uomo che non ha mai smesso di dire
la verità, anche quando costava caro. Con questa scelta, ci auguriamo - nel
nostro piccolo - di aver contribuito a sciogliere quel timore che qualcuno, un
giorno, avrebbe potuto zittirlo. È anche un modo per ringraziarlo: per aver
avuto fiducia in chi sarebbe venuto dopo di lui, e per averci insegnato che la
musica può ancora essere uno spazio libero, autentico, necessario.
Il vostro progetto nasce durante il lockdown. Quanto ha influito quel periodo
sulla vostra identità artistica e personale?
Il lockdown, per quanto
difficile, ci ha regalato un tempo raro: quello per ascoltarci davvero. Le idee
che avevamo lasciato lì, come appunti sparsi, hanno cominciato a chiamarci. Le
abbiamo messe insieme, con calma, e da quel silenzio è nato qualcosa di nostro.
È lì che ha preso forma la nostra identità artistica, un po’ come se il caos si
fosse trasformato in direzione.
Ci raccontate il primo momento in cui avete capito che questo progetto musicale
poteva diventare qualcosa di concreto?
È stato Davide, chitarrista
della band e fratello maggiore di Gabriele, ad avere l’intuizione. Ascoltando
le sue canzoni, ne ha colto subito il potenziale e ha proposto di formare una
band per dare concretezza a quel progetto.
“Bagnasciuga” è il vostro singolo d’esordio: cosa rappresenta per voi questo
brano?
Per noi è l’inizio di tutto. È
il momento in cui abbiamo deciso di uscire allo scoperto, di dare voce a
qualcosa che per troppo tempo era rimasto solo nostro. Rappresenta il passaggio
dal personale al condiviso, dalla scrittura alla realtà. È un debutto, sì, ma
anche una dichiarazione d’intenti: raccontarci senza filtri, trasformare una
fine in un nuovo inizio.
Il tema della fine di una relazione è molto comune, ma voi lo trattate con uno
sguardo verso il futuro. Come nasce questa scelta narrativa? Quanto c'è di
vicenda personale alla base?
È una scelta naturale, più che ragionata. Quando qualcosa
finisce, viene spontaneo guardare indietro, ma noi volevamo provare a guardare
avanti. C’è sicuramente una parte personale: ognuno di noi ha vissuto storie
che lasciano segni, ma anche spazio. "Bagnasciuga" nasce proprio da
lì: dal desiderio di non restare fermi nel dolore, ma di trasformarlo in
qualcosa di nuovo. È il nostro modo di restituire senso anche alla fine.
Qual è stata la sfida più grande nel dare forma a questo pezzo, dalla scrittura
alla produzione finale?
Trovare l’equilibrio. Volevamo
che il brano fosse intimo, ma senza cadere nel melodrammatico. Che fosse
sincero, ma non pesante. La vera sfida è stata tradurre un’emozione complessa
in qualcosa di semplice e diretto, che arrivasse. In studio, con Daniele
Grasso, abbiamo lavorato proprio su questo: lasciare spazio al silenzio, ai
suoni giusti, senza forzare nulla. È stato un lavoro di sottrazione, più che di
aggiunta.
Gabriele è autore del brano: come nasce una vostra canzone, generalmente? C'è
un metodo o seguite l’ispirazione?
Di solito Gabriele porta testo
e accordi, nati nella penombra dei suoi desideri, da uno spazio intimo e
silenzioso. Poi entriamo in sala e lì succede qualcosa: li lavoriamo insieme,
li vestiamo, li arrangiamo, e in quel processo collettivo la canzone trova
quella piena luce di cui aveva bisogno. Non abbiamo un metodo fisso: ci
lasciamo guidare dall’ispirazione, ma anche dall’ascolto reciproco, così ogni
brano trova la sua forma, il suo tempo e la sua voce.
Come funziona il lavoro di gruppo tra voi? Avete ruoli definiti o tutto nasce
in modo fluido e condiviso?
C’è una base di ruoli naturali
- ognuno ha il suo strumento, il suo linguaggio - ma il processo creativo è
fluido e molto condiviso. Gabriele magari porta l’idea iniziale, ma poi in sala
diventiamo un organismo unico: ognuno aggiunge, toglie, rielabora. C’è ascolto,
confronto, anche divergenze a volte, ma sempre con l’obiettivo comune di far
uscire la versione più vera della canzone. Nessuno impone, ci fidiamo molto gli
uni degli altri.
“Bagnasciuga” anticipa l’uscita di un EP: potete darci qualche anticipazione su
cosa ci sarà dentro?
L’EP sarà un viaggio dentro
varie sfumature del nostro mondo: intime, ironiche, a volte più crude, altre
più leggere. Ogni brano racconta qualcosa di diverso, ma tutti hanno in comune
l’urgenza di dire, di mettere a fuoco emozioni e pensieri spesso lasciati ai
margini. Se “Bagnasciuga” è nato da una fine, gli altri pezzi esplorano anche
il dubbio, il disincanto, la rabbia e la speranza. Sarà un piccolo racconto in
musica, sincero e senza troppe sovrastrutture.
L’EP racconterà le vostre origini. Quanto è importante per voi mantenere un
legame con Agrigento e il vostro percorso iniziale?
È fondamentale. Agrigento, con
i suoi silenzi, i suoi spazi e i suoi contrasti, ha avuto un ruolo centrale
nella nostra formazione, non solo musicale ma anche umana. È da lì che veniamo
e da lì sono partite le prime idee, le prime prove, le prime notti passate a
cercare un suono. Anche se il nostro sguardo è aperto e in continuo movimento,
quel legame resta forte. Le radici non ci trattengono, ma ci ricordano chi
siamo.
Soffrite nel leggere recensioni negative su Agrigento Capitale della Cultura?
Siete in parte d'accordo?
Un po’ sì, fa male leggere certe critiche, soprattutto
quando arrivano con superficialità o pregiudizio. Ma allo stesso tempo crediamo
che le critiche, se costruttive, possano essere uno stimolo. Agrigento ha delle
fragilità, è vero, ma ha anche un potenziale enorme, spesso ignorato o dato per
scontato. Essere Capitale della Cultura non significa fingere di essere
perfetti, ma avere il coraggio di mostrarsi per quello che si è - con le
bellezze e le contraddizioni. Noi speriamo che questo titolo serva ad aprire
dialoghi veri, a creare opportunità e a farci credere di più in quello che
abbiamo.
Nel panorama musicale italiano contemporaneo, dove vi collocate e cosa pensate
di poter portare di nuovo?
Non ci interessa incasellarci troppo, ma ci piace stare in
quel punto d’incontro tra la canzone d’autore e il mondo alternative, dove la
parola ha ancora peso ma il suono cerca strade nuove. Quello che proviamo a
portare è sincerità: niente personaggi, niente pose. Solo storie vere, scritte
con cura e suonate insieme, senza filtri! In un tempo in cui tutto corre
veloce, crediamo ci sia ancora spazio per l’ascolto lento, per i dettagli, per
le emozioni che non urlano ma restano.
Cosa significa oggi, per una giovane band, cercare di emergere in un mondo
musicale spesso saturo?
Significa, prima di tutto, resistere. Restare fedeli a sé
stessi anche quando tutto spinge verso l’omologazione. Il panorama musicale
oggi è pieno, spesso veloce, a volte dispersivo. Ma crediamo che ci sia ancora
spazio per chi ha qualcosa da dire davvero, senza inseguire la formula del
momento. Emergere non è solo visibilità, ma è costruire qualcosa che duri nel
tempo.
Cosa vi augurate che arrivi al pubblico attraverso Bagnasciuga?
Ci auguriamo che arrivi verità. Che chi ascolta si senta
meno solo nelle proprie emozioni, anche quelle più fragili o difficili da
nominare. Bagnasciuga parla di una fine, ma con lo sguardo rivolto a ciò che
può nascere dopo. Vorremmo che chi la ascolta trovasse un piccolo spazio per
sé, un momento di riflessione, magari anche di conforto. Se anche solo una
persona si riconosce in quelle parole, in quella melodia, allora la canzone ha
fatto il suo viaggio fino in fondo. Giovanni Zambito.
INFO
L’autore del brano è Gabriele Bonfanti, mentre il produttore artistico Daniele Grasso.
Al singolo hanno collaborato Gabriele Bonfanti (chitarra, voce), Davide Bonfanti (chitarra), Antonio Palermo (basso), Leonardo Santino (basso)
Capocotta è una band nata ad Agrigento nel periodo del lockdown, quando il mondo si è fermato ma la musica ha continuato a farsi spazio. Il progetto prende vita dall’incontro tra un cantautore e un batterista: un’intesa immediata, costruita su testi, ritmo e una chitarra che ha fatto da collante per le prime canzoni. Appena le condizioni lo hanno permesso, la formazione si è completata e la band ha iniziato a suonare dal vivo, portando in giro un sound che mescola rock e cantautorato con spontaneità e passione. Nel 2022 hanno registrato una demo che ha segnato il primo passo concreto del progetto, ma è stato l’incontro con l’etichetta TheKidsAreAllright a dare una vera svolta al percorso della band. Grazie alla collaborazione con il produttore Daniele Grasso, prende forma il primo lavoro discografico ufficiale.
Una storia ancora giovane, ma con qualcosa da dire e da far ascoltare.