Rosa Basile e Gianluca Marziani presentano la personale di Caterina Giglio dal titolo Legami.
A meno di un anno dal grande progetto romano presso Palazzo Velli, una mostra e un libro dove vennero raccolte oltre cento opere che attraversavano gli ultimi cinque anni di metodica concentrazione dell’artista, arriva un progetto che lega passato e futuro sul filo di un disegnare ispirato. La mostra da Basile Contemporary propone una rigorosa selezione di alcune opere del 2024 che dialogano con diversi inediti, in particolare con le tele di grande formato su fondali dal nero cosmico.
La mostra elabora l’impianto curatoriale in tre momenti: il colore fluo su una prima parete, il bianco su una seconda parete, il nero su una terza parete. Ogni dominante diviene lo specchio psicanalitico del paesaggio emotivo, un impalpabile habitat senza perimetri apparenti, materia non oscura ma mai esplicita nel suo gioco di sensazioni ottiche, come se la superficie fosse sostanza navigabile in cui galleggiare a lungo tra dubbi e domande, fondendo i sogni alle molecole karmiche dell’invisibile dentro il colore.
Caterina Giglio ci conduce in un’avventura radiante dei sensi, tra costellazioni di corpi liberi che sono la ragione complessa dei suoi sentimenti, lungo una luminosa galassia dove ogni opera rappresenta la stella di quel momento vissuto, la luce di un istante unico ma sempre connesso al resto. L’artista ci dona le sue sorelle sensuali, materne, veggenti, regine di accoglienza e dialogo, un ecosistema spirituale nel flusso di una meravigliosa pittura interiore.
Le matrici fluorescenti sembrano arcobaleni amniotici, un’aurora carezzevole tra le umane debolezze, la solitudine accolta, le fragilità che ci rendono liberi… timbri tonali da sole caldo e mediterraneo rigoglioso, cromie vitali in cui la ferita emotiva somiglia ad una danza cosmica, legàmi eleganti in cui paura e coraggio guidano le gimnopedie spontanee di questi meravigliosi esseri pittorici. Si respira, si balla, si riposa, si medita, si prega, si ama… rituali lenti e ciclici dei corpi bianchi in questo pantone antropocenico, summa di vita interiore nel paesaggio ideale che il nostro sguardo tramuta in un passaggio metaforico nel reale.
Nel bianco piatto si condensa la luce dell’aurora e la scala archeggiante degli arcobaleni: qui l’evanescenza senza orizzonte si trasforma in una tonalità musicale del vuoto pienissimo; un bianco che è puraluce senza ombra e abbaglio, un prezioso timbro dell’accoglienza catartica per trasformare il dolore in una tenace cucitura e l’amore in un’onda pacifica che tinge la bianchitudine.
E poi arriva il nero, la forza oscura che mostra il suo senso d’infinito navigabile, il flusso infinito ove la meraviglia del bianco risplende come un colore di fondamenta essenziali, sintesi di ogni sintesi, nota unica e capolettera cosmico di un alfabeto delle stagioni sentimentali. La linea continua del bianco come fosse un deus ex machina sulla lavagna cosmica ove tutto è possibile: acrobazie e sospensioni, salti e abbracci, una miriade di legami che prendono le forme ginniche di una palestra del cuore…
Chiudiamo con il quadro nero su cui compare la città ideale dell’artista, un edificio che sembra aver riordinato i labirinti ottici di Escher dentro la luce cristallina di Piero della Francesca, verso l’idea pittorica di una casa senza fondamenta, ancorata nel magma antimaterico del nero: architettura tra volo e immersione senza confini, isola di abitanti nomadi dai corpi agili, oasi gotica per chi viaggia sulla frequenza del cosmo lungo la potenza del cuore umano.