Il reportage della manifestazione nello splendido scenario dell’Abbazia morronese a Sulmona
di Goffredo Palmerini
SULMONA – Si
rivela tutta insieme, nella sua magnificenza, al visitatore che vi arriva. Se è
con il sole del pomeriggio avviato a scendere verso il tramonto, l’imponente
complesso dell’Abbazia di Santo Spirito
al Morrone restituisce un colore dorato che ne esalta le architetture. “Un tesoro d’arte e di storia – scriveva
lo storico Mario Setta, che ben la
conosceva da vicino –, di bellezze e di
sevizie: l’abbazia celestiniana, la più grande dell’Italia centrale, situata in
Badia di Sulmona, un fabbricato a
pianta rettangolare di m.119 ×140). All’arrivo
di Fra Pietro Angelerio, nel 1241, c’era una cappella dedicata a S. Maria, che
cercò di ampliare. In seguito, verso la fine del XIII secolo, fu costruita una
chiesa dedicata allo Spirito Santo, con convento annesso, sulla base dello
stretto rapporto che Fra Pietro aveva stabilito con la teoria di Gioacchino da Fiore (1130-1202). Una
teoria teologica d’avanguardia e che dimostra come Celestino V papa non
fosse di “scarsità di dottrina”, come dichiara nel testo delle dimissioni. Nell’abbazia
sono visibili diverse rappresentazioni pittoriche della colomba, simbolo dello
Spirito Santo. Secondo Gioacchino da
Fiore, la storia degli uomini si basa sul modello della Trinità, scandito in
tre tappe: èra del Padre, predominio della Legge e della schiavitù; èra del
Figlio, predominio della Grazia; èra dello Spirito Santo, predominio dell’Amore,
della libertà, della Pace, un’èra in cui avrebbe avuto luogo l’avvento del ‘Papa
Angelico, il successore di Pietro che si eleverà in sublimi altezze’, al quale
‘sarà data piena libertà per rinnovare la religione cristiana e per predicare
il Verbo di Dio… la gente non sguainerà la spada contro i propri simili e
nessuno si addestrerà alla battaglia’. […]. All’interno dell’abbazia c’è la chiesa a croce greca, che presenta due
pregevoli opere in legno: l’organo, eseguito dal milanese G. Battista Del Frate nel 1681 e il coro di Leonardo Macchione di Pacentro. E la Cappella Caldora, con affreschi
attribuiti a Johannes de Sulmona e
in una nicchia ad arco semicircolare il monumento sepolcrale dei Caldora,
scolpito nel 1412 da Gualterius de
Alemania”.
È in questo
gioiello dell’architettura religiosa abruzzese – che fu casa generalizia dei
Celestini di Pietro del Morrone e
che con gli eremi costituisce in Abruzzo uno straordinario unicum – dove sabato
14 giugno, in un meriggio di luce e un cielo terso che orla di blu il monte Morrone e le altre cime d’intorno alla
Valle Peligna, si tiene la XVI edizione del Premio Nazionale Pratola. Organizzato dall’Associazione culturale
Futile Utile, ne sono anima e motore i giornalisti Ennio e Pierpaolo Bellucci.
Quando vi arrivo, qualche minuto dopo le 17, la facciata della chiesa
risplende. La navata è interamente esaurita in ogni ordine di posti, come lo
sono le due cappelle del transetto. E già la voce splendida del soprano Chiara Tarquini riempie con note di
velluto l’ampio tempio celestiniano. Presente al completo la rappresentanza
peligna nelle Istituzioni: la senatrice Gabriella
Di Girolamo, la vicepresidente del Consiglio Regionale Marianna Scoccia e la consigliera Antonietta La Porta, i primi cittadini Antonella Di Nino di Pratola Peligna e Luca Tirabassi di Sulmona, fresco d’elezione e d’insediamento della
sua Amministrazione. Dopo un po’ arriva da Castel di Sangro anche il presidente
della Provincia, Angelo Caruso.
Presente il vescovo di Sulmona Valva, Mons.
Michele Fusco, e tutte le autorità militari e delle Forze dell’ordine nella
città di Ovidio. Nelle prime file, a sinistra, gli insigniti del Premio 2025. A
condurre l’evento, con la consueta bravura, è il giornalista Enrico Giancarli, in diretta televisiva
su Rete 8, la testata per la quale lavora.
Madrina
d’eccezione del Premio per l’edizione 2025 l’inviata del TG1 Stefania Battistini, impegnata
all’estero sui fronti di guerra, e un Testimonial davvero di rango elevato,
qual è il poeta, scrittore e traduttore Hafez
Haidar, due volte candidato al Nobel per la Pace e per la Letteratura.
Impossibilitato a presenziare, il prof. Haidar ha inviato dalla Brianza un videomessaggio
molto intenso, che richiama e invoca il dialogo e la pace, specie in questo
tempo insanguinato dalla guerra in Medio Oriente, dall’orrore del pogrom del 7
ottobre e soprattutto dal massacro di innocenti nella striscia di Gaza, vittime dei bombardamenti israeliani, delle
privazioni e della fame. Sono seguiti i saluti delle Istituzioni, concordi nel
rilevare l’eccellenza di un Premio che anno dopo anno accresce il suo prestigio
e travalica con la sua eco positiva anche in confini nazionali. Toccante il
saluto di Mons. Fusco, che sceglie
non le sue, ma le parole di pace di papa
Francesco, ascoltate in piedi come una preghiera, in un moto spontaneo di
condivisa invocazione. Non formale il saluto di Ennio e Pierpaolo Bellucci,
che al fardello delle difficoltà ogni anno da superare oppongono la tenacia, la
determinazione e soprattutto la passione. Non si comprende perché mai Ennio
affermi che questa XVI edizione è per lui l’ultima. L’uomo ha una cifra tutta
singolare, in cui la serietà e la facezia hanno un confine assai sottile, laddove
spesso l’ironia sopravanza. D’altronde è sua la creatura e l’annuncio di
staccarsene ha più il sapore d’una provocazione a chi deve intendere.
Ma ora è tempo di consegnare i riconoscimenti ai vincitor. Il primo è
alla memoria dell’artista cui il Premio è dedicato: Marcello Mariani, un grande Maestro dell’arte informale, scomparso
nel 2017. Marcello Mariani era nato a L’Aquila nel 1938. Allievo di Fulvio
Muzi, si era formato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, iniziando al
teatro San Carlo i suoi primi lavori di scenografia. Nei primi anni Sessanta
viaggia in Europa, conosce artisti a Berlino, ad Amburgo tiene una mostra
personale. A Parigi conosce Sartre e gli esistenzialisti. Rientrato in Italia,
nell’ambiente romano conosce Boille, Manzoni, Rotella, Lisi e
Rauschenberg. Con Rauschenberg intesse dialoghi franchi
ed istintivi sulla pittura e sulla cultura. Con Boille, Lisi, Manzoni e Rotella
vive gli anni infuocati delle contestazioni giovanili. Inizia
ad insegnare all’Istituto Statale d’Arte dell’Aquila. Tra gli anni ’60 e ’70 si
dedica con slancio alla pittura informale, sull’influenza di Alberto Burri,
che conosce e frequenta in “Alternative Attuali”, importanti mostre
internazionali d’arte contemporanea tenutesi all’Aquila nel 1962, ’63, ’65 e
’68, curate da Enrico Crispolti.
I frequenti incontri con Mario Ceroli, Lucio Fontana, Alberto Burri e
Carmelo Bene, imprimono nel giovane artista un influsso determinante sulla
sua ricerca pittorica. Sempre più poetica ed anarchica la sua visione del
mondo, per l’avversione al consumismo d’una società dominata dal mercato. Nel
1974 conosce Joseph Beuys e rafforza la sua convinzione in una terza via
umana e sociale, fuori dal capitalismo e dal comunismo. Quello stesso anno
espone insieme a Guttuso, Accardi e Consagra. Nel 1979 inizia il ciclo di
viaggi in Oriente, in Madagascar ed in Australia, dove a
Melbourne terrà due mostre personali, nel ’79 e nell’80. Proprio in Australia è
conquistato dal fascino della cultura aborigena tribale, che ancor più gli fa
scoprire il senso della materialità e dei colori della terra. Rientrato in
Italia sviluppa la sua pittura arricchendola di tracce materiche più calde.
Pittura quasi muraria, originaria e simbolica dell’essenza. Sono anni intensi
d’incontri e contaminazioni, con Tullio Catalano, Berardino Marinucci, Enrico
Crispolti e Antonio Gasbarrini, i quali presenteranno alcune sue mostre
collettive. Numerose le sue partecipazioni ad esposizioni con le grandi firme
della pittura contemporanea. È Daniele Mariani, figlio dell’artista, a
ricevere il Premio, parlando in breve dell’arte di suo padre, della sua indole,
del suo eclettismo. Dell’eredità artistica di Marcello Mariani da anni
Daniele si cura, classificando le opere e ordinando lo straordinario patrimonio
di lavori e documenti lasciati dall’Artista.
La prima delle insigni personalità
a ricevere il premio è MAURIZIO DE GIOVANNI, scrittore, sceneggiatore,
drammaturgo e autore televisivo. Suoi i romanzi “Il Commissario Ricciardi", “I bastardi di Pizzofalcone", "Mina Settembre”, da cui sono state tratte serie televisive di
successo interpretate da Lino Guanciale,
Alessandro Gassman, Serena Rossi. L'ultima sua pubblicazione da poco in
libreria è “L'antico amore". Antonella Di Nino, sindaco di Pratola
Peligna, gli consegna il premio. ANDREA LO CICERO VAINA, detto "Barone" per
via delle ascendenze nobiliari della sua famiglia, è il secondo insignito. Giocatore
di rugby di valore, anche con i colori dell’Aquila Rugby dal 2004 al 2007,
pilone sinistro con 103 presenze nella nazionale italiana e ben 4
partecipazioni alla Coppa del Mondo, è attualmente Chef molto apprezzato,
conduttore tv Gambero rosso e ambasciatore UNICEF. Lo Cicero ricorda, nel suo
ringraziamento, gli anni trascorsi a L’Aquila e in Abruzzo, cui è rimasto
fortemente legato con affetti ed amicizie.
È proprio il collega Ennio Bellucci a premiare ALESSANDRO
ANTINELLI, giornalista e telecronista sportivo tra i più conosciuti ed
apprezzati, caporedattore centrale di Rai Sport, mentre ricorda gli anni del
suo servizio nella sede Rai abruzzese. È quindi il turno di AURORA
RUFFINO, giovane ma già affermata attrice e scrittrice, in testa alle
classifiche letterarie con il suo romanzo "Volevo
salvare i colori". Commossa
nel ricevere il premio dalle mani di Pierpaolo Bellucci e da chi qui scrive,
il giovane talento letterario e della settima arte non ha mancato di
sottolineare la suggestione del luogo e l’onore d’essere destinataria dell’ambito
riconoscimento. Intanto l’attore Edoardo Siravo regala con la sua
interpretazione un intenso momento lirico, declamando i versi di Jacques
Prévert, “Questo amore”, poi
altri versi del poeta Ovidio, che non poteva mancare qui nella terra che
lo vide nascere oltre duemila anni fa come cantore massimo dell’Amore. Stacco
musicale con Massimo Domenicano al pianoforte e Gianni Ferreri
alla tromba, prima di riprendere la cerimonia di premiazione con l’atleta
pescarese ASJA VARANI, campionessa europea e mondiale, vera
regina del Pattinaggio corsa italiano.
ANTONIO DEL GIUDICE, per anni direttore del quotidiano
abruzzese “il Centro",
giornalista sensibile, scrittore e uomo di cultura, racconta i suoi anni in
Abruzzo e le trasformazioni che la stampa sta vivendo. È Marina Marinucci, giornalista del Centro e ora Presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo a
consegnargli il Premio. Segue una proiezione internazionale del Premio, con la
consegna del riconoscimento al chirurgo americano CHARLES L. CASTIGLIONE,
legato all'Abruzzo anche per i natali della sua bella moglie. Il medico ha
fornito un elevato contributo alla chirurgia plastica ricostruttiva e alla
ricerca. Ma è soprattutto il suo lato umano e solidaristico, il sostegno reso ai
più deboli, prestando servizio gratuito in Ecuador per aiutare i più bisognosi
che viene sottolineato nella motivazione del conferimento del Premio. Viene
quindi consegnato il premio a GIOVANNI D'ALESSANDRO, avvocato abruzzese, uomo
di grande cultura, raffinato ed affermato scrittore, tornato recentemente in
libreria, dopo qualche anno di assenza, con il suo nuovo romanzo "Lo sperduto", una storia
d'amore a cerchi concentrici. Della sua grande sensibilità e della sua profonda
cultura Giovanni D’Alessandro dà un
saggio illuminante, parlando solo della magnificenza dell’Abbazia e del
messaggio straordinario di perdono e di pace che Pietro del Morrone, poi diventato papa Celestino V, seppe irradiare al mondo in uno dei secoli più
difficili per la Cristianità.
DANIELA D'ALIMONTE è un’altra autorevole
esponente della cultura abruzzese. Dirigente scolastica, poetessa, dialettologa
e ricercatrice, è profonda conoscitrice degli usi e dei costumi abruzzesi, come
nella migliore tradizione deniniana. Il dialetto è la lingua delle nostre
radici e un popolo senza la sua lingua non ha identità. Anche Gabriele d’Annunzio parlava in dialetto
a Pescara, nel suo ambiente natale e con le sue amicizie. La scrittrice ne
offre un esempio icastico, declamando alcuni versi del Vate. La cerimonia si
conclude con la consegna del Premio
Nazionale Pratola a quattro personalità di grande talento che portano in
alto il nome dell’Abruzzo con il
loro lavoro, la loro intelligenza, la loro competenza nei rispettivi campi di attività: RICCARDO
LETTERIO, nato a Rocca Pia, giovane e brillante ingegnere che lavora
per la Dumarey Group, azienda leader nella mobilità sostenibile, specializzata,
in sistemi di propulsione, trasmissioni e soluzioni energetiche avanzate, con
particolare attenzione sulle tecnologie a idrogeno ed elettriche, con il ruolo
di Business Assistant al Ceo egli è di supporto all'Amministratore delegato
dell'entità italiana; MARCELLO D'ANDREA, pratolano d’origine,
neurochirurgo altamente qualificato, specializzato in neurochirurgia vascolare,
responsabile della Struttura Neurochirurgica semplice dell’ospedale "M. Bufalini"
di Cesena, è anche vicedirettore dell'Unità complessa; LUCA ZAVARELLA,
di Pratola Peligna, ingegnere che per iCubed lavora come responsabile
dell'area Data e Al, coordinando i
gruppi di ricerca che si occupano di dati e di intelligenza artificiale,
favorendo collaborazione, scambio di competenze e sviluppo di soluzioni
alternative; SANTE VENTRESCA, docente e scultore, oltre mezzo
secolo amorevolmente dedicato alle persone con disabilità, con coraggio,
encomiabile costanza, grandi sacrifici e
caparbietà, è riuscito a creare la residenza “Il Dopo di Noi -
Villa Gioia” e il Centro diurno di Torrone, strutture fondamentali per la vasta
area peligna. Una vita dedicata ai più deboli.
Si conclude così la XVI edizione
del Premio Nazionale Pratola, con
uno straordinario successo di pubblico e di critica, con il saluto e il
ringraziamento del deus ex machina Ennio Bellucci, mentre non senza
emozione annuncia la recente notizia ricevuta dalla presidente
dell’Associazione internazionale VerbumlandiArt, Regina Resta, del conferimento del Premio d’Eccellenza “Città del Galateo”, riconoscimento prestigioso
che gli sarà consegnato il 19 settembre a Gorizia,
Capitale europea transfrontaliera della
Cultura 2025 con la slovena Nova
Gorica. Alle 19:30, conclusa in bellezza la cerimonia, la splendida chiesa
dell’Abbazia offre agli sguardi del pubblico un’ultima occasione per ammirare
le sue meraviglie, mentre il sole dell’occaso tinge di rosa i lineamenti
concavi e convessi della sua facciata. Arrivederci al 2026.