Metodo Srebrenica: il romanzo documentario di Ivica Đikić che racconta il genocidio del luglio 1995

 


A 30 anni dal genocidio di Srebrenica, torna in libreria in un'edizione aggiornata e ampliata, Metodo Srebrenica, il romanzo documentario di Ivica Đikić che esplora con precisione e profondità l’organizzazione del genocidio di Srebrenica del luglio 1995. 

Questa nuova edizione aggiornata, tradotta da Silvio Ferrari e Marijana Puljić, offre ai lettori ulteriori elementi di riflessione su uno degli eventi più tragici della storia europea degli anni Novanta.

 

Metodo Srebrenica di Ivica Đikić si distingue per la sua capacità di raccontare non il “perché”, ma il “come” di un crimine pianificato e attuato con meticolosa precisione. Attraverso la figura del colonnello Ljubiša Beara, condannato per genocidio dal Tribunale dell’Aja, Đikić ricostruisce ogni fase dell’operazione, offrendo una narrazione che unisce rigore documentaristico e profondità letteraria.

 

Ivica Đikić sarà ospite della rassegna Connessioni. Dialoghi in giardino a Udine il 19 luglio alle ore 20.30 in Corte Morpurgo. L'autore dialogherà con il giornalista Gigi Riva.

 

IL LIBRO - Metodo Srebrenica si apre con una citazione da Anatomia di un istante di Javier Cercas: “Questo libro non rinuncia del tutto a comprendere attraverso la realtà ciò a cui ha rinunciato cercando di comprendere attraverso la finzione letteraria”. Una scelta non casuale, come ci ha spiegato Ivica Đikić: «Questa citazione di Cercas spiega molto bene ciò che mi è accaduto, in senso letterario, mentre mi occupavo del genocidio di Srebrenica. Volevo, infatti, scrivere un romanzo di finzione sul genocidio, ma in dieci anni di lavoro su questo tema non sono riuscito a trovare un modo per scriverlo. In quei dieci anni, però, mi sono dedicato a una ricerca approfondita, e a un certo punto ho capito che solo un approccio documentaristico — con la struttura, l’organizzazione e lo stile narrativo di un romanzo — poteva condurmi a un insieme coerente e significativo. Mi sono reso conto che la mia immaginazione artistica non era abbastanza sviluppata per competere in modo credibile con la realtà di un crimine quasi surreale».

 

QUESTIONI DI METODO - Il libro ha richiesto un lungo lavoro di scrittura e di ricerca delle fonti, non privo di criticità. A tal proposito, Đikić racconta: «La difficoltà principale è stata quella di raggiungere una credibilità letteraria e un certo valore estetico rinunciando completamente alla finzione, cioè attenendomi esclusivamente ai fatti e a ciò che è realmente accaduto. Credo che la dimensione letteraria o artistica del mio libro si concentri soprattutto nel turbamento interiore legato al confronto umano e autoriale con una quantità così immensa di orrore. La maggior parte del materiale per il libro l’ho trovata negli archivi elettronici del Tribunale dell’Aia: si tratta di centinaia di migliaia di pagine di documenti. Il resto l’ho trovato in libri, articoli giornalistici, conversazioni con persone che conoscevano Beara prima della guerra… In una mole di dati così vasta — quasi sterminata — il lavoro principale è stato distinguere ciò che era importante da ciò che non lo era, e separare la verità dalla manipolazione».

Proseguendo, l’autore chiarisce le intenzioni che hanno guidato la stesura del libro: «Non ho scritto questo libro per giudicare, per cercare giustificazioni o per compiacere qualcuno o qualcosa: ho cercato di scomporre il genocidio nei suoi elementi più basilari, nei fatti e nelle azioni di persone concrete, in particolare del colonnello Ljubiša Beara, a capo della Direzione di sicurezza del Comando supremo dell’Esercito della Repubblica Serba, per cercare di comprendere le motivazioni di coloro che hanno partecipato agli omicidi e alla loro organizzazione. Perché Beara? Perché è stato lui a ideare e compiere i passi chiave nell’organizzazione e attuazione del genocidio. Questo significa che ha cercato chi avrebbe ucciso, ha scelto i luoghi in cui si sarebbe ucciso, ha coordinato la mobilitazione di centinaia di autobus e camion per il trasporto dei prigionieri verso i campi e i luoghi di esecuzione, ha trovato la manodopera e i mezzi per scavare le fosse comuni… In senso operativo e tecnico, il genocidio è stato il prodotto dello sforzo e delle capacità organizzative di Beara».

 

BEARA, IL PROGETTO DEL GENOCIDIO - Beara, infatti, rappresenta il fulcro attorno a cui ruota Metodo Srebrenica. «Se non ci fosse stata la guerra, il capitano di vascello Ljubiša Beara, nato nel 1939, sarebbe andato in pensione alla fine degli anni Novanta e avrebbe probabilmente trascorso le giornate giocando a carte e pescando su qualche isola dalmata. Prima della guerra era socievole, accogliente, devoto alla fratellanza e all’unità dei popoli e delle nazionalità jugoslave, un titino. Sebbene a prima vista sembri che nei primi anni Novanta ci sia stato in lui un taglio netto, un rigetto totale del passato per abbracciare un contenuto ideologico completamente opposto — un nazionalismo serbo rozzo e aggressivo — credo che in realtà quella cesura non sia stata così drammatica e profonda come sembra. Semplicemente, una fede è stata sostituita da un’altra da un giorno all’altro, ma lo schema mentale e il modo di ragionare sono rimasti gli stessi: fideistico e servile, idolatrico e totalitario. È cambiato solo il segno, e questo cambiamento di segno è stato così drastico da oscurare ciò che nella vita di Beara è rimasto costante: il desiderio di dimostrare lealtà e l’opportunistico o carrieristico rifiuto di mettere in discussione gli ordini e le decisioni di coloro che aveva scelto come autorità e idoli — prima e per un lungo tempo Tito, poi Slobodan Milošević, infine Ratko Mladić. Ci deve essere stato anche un certo livello di odio verso i bosgnacchi, ma non credo che questo sia stato il fattore decisivo. Beara ha concepito il genocidio, prima di tutto, come un lavoro».

 

Il libro, che sarà in libreria dal 25 giugno in una nuova edizione, ha subito diverse modifiche e integrazioni. Đikić spiega così la sua decisione: «Ho deciso di pubblicare una versione rivista e ampliata per correggere alcuni dati, aggiungere fatti importanti che nel frattempo ho appreso, chiarire stilisticamente certi eventi e — nella parte che non esisteva nella prima edizione — raccontare cosa è successo a Ljubiša Beara dopo il luglio del 1995, comprendendo il processo all’Aja, e quale rapporto i serbi hanno sviluppato con Srebrenica. L’immagine è ora più completa, più precisa e più corretta».

 

TRENT'ANNI DOPO - A trent'anni dal genocidio, Srebrenica rimane ancora un nodo da risolvere: «Le élite politiche e intellettuali serbe, sia in Serbia che in Bosnia ed Erzegovina, avrebbero già dovuto capire che negare o relativizzare il genocidio e tutti gli altri crimini significa produrre una lunga infelicità, prima di tutto per il proprio popolo, e prolungare una vita nell’odio, che nasce dall’ignoranza e dall’assenza del desiderio di conoscere e riflettere. Le élite patriottiche e nazionaliste — e questo non vale solo per i serbi e per Srebrenica — incoraggiano questa disattenzione e ignoranza perché così è più facile manipolare le emozioni collettive a vantaggio dei propri interessi concreti».

 

Quanto alla ricezione del libro nei Balcani, Đikić conclude: «Metodo Srebrenica ha avuto una risonanza piuttosto ampia e in gran parte positiva in Croazia e in Bosnia ed Erzegovina, escludendo l’entità serba della Bosnia ed Erzegovina. In Serbia il libro non è stato ancora pubblicato, anche se su alcuni media serbi — molto pochi — se ne è parlato positivamente. Sarei felice ovviamente se si trovasse un editore in Serbia, ma non mi illudo che questo porterebbe a un cambiamento reale nel rapporto tra le autorità e l’opinione pubblica serba rispetto al genocidio di Srebrenica. 

È un fatto sconfortante che negli ultimi trent’anni, in Serbia e nella Repubblica Serba di Bosnia, non sia stato prodotto praticamente nulla di artisticamente rilevante sul tema di Srebrenica, eppure Srebrenica è uno dei temi più importanti nella storia del popolo serbo. Questo dice molto sulla Serbia e sulla società serba».


IVICA ĐIKIĆ

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