In Blacktar,
ogni traccia è un cerchio dell’inferno, ogni suono una scoria emotiva. Gli IYV
realizzano un lavoro stratificato, concettuale, dove il grunge e il rock
alternativo diventano veicoli per un’indagine quasi esistenzialista sulla
dipendenza e il dolore. La copertina, con il libro inciso nel cristallo,
anticipa la profondità simbolica di un disco che mette in scena un protagonista
smarrito, in cerca di un’identità perduta o forse mai posseduta. Blacktar è una prova di coraggio,
un’opera densa, dissonante e poetica, dove il suono è parte integrante di un
rito catartico, in cui ogni ascoltatore è chiamato a confrontarsi con il
proprio buio. Un disco che non si consuma, si affronta.
Dopo un disco come Blacktar, cos’è per
voi “il prossimo passo”?
Provare a fare qualcosa di diverso, progredire, evolverci musicalmente come scrittura, composizione , come band. Blacktar era necessariamente crudo, autocentrato e claustrofobico. Il prossimo album, se sarà un album, darà potenzialmente un seguito alla storia, uscendo dal loop di Blacktar. Attualmente abbiamo diverso materiale nuovo che ha preso tutt’altra direzione. Abbiamo idea di scrivere un disco in 3 atti, non so dire se sarà il prossimo o se mai vedrà la luce. Intanto andiamo avanti facendo ciò che ci piace fare. Comporre e suonare.
Pensate che tornerete mai a scrivere
qualcosa di così personale e profondo?
Personalmente mi risulta difficile pensare di scrivere qualcosa che non sia personale. Non possiamo scrivere onestamente la storia di qualcosa che non ci appartiene, anche indirettamente perché vissuta da qualcuno che ruota attorno a noi, ma pur sempre facente parte del nostro vissuto. Un artista non dovrebbe prendersi la briga di scrivere cose non personali, altrimenti sarebbe solo un mestierante. Sul tema profondità ti rispondo di sì, forse non con la stessa intensità. Chissà.
Come immaginate che sarà riascoltare
questo disco tra 10 anni?
Speriamo ci piaccia ancora, di ritrovarci immersi in quei frammenti di storia e riviverla, ricordandola con lontana nostalgia. La musica cambierà ulteriormente nei prossimi 10 anni, magari lo troveremo antico e noiosetto. La cosa certa è che sarà per sempre un testamento.
Blacktar è un’eredità o una chiusura?
Entrambe le cose. È l’esorcismo necessario di un capitolo importante e allo stesso tempo l’eredità che consolida la nostra identità.
Se doveste dedicare il disco a qualcuno
che non l’ha ancora ascoltato, a chi andrebbe la dedica?
Blacktar è per chiunque si senta
intrappolato in un loop tossico, convinto di non poter diventare qualcosa di
migliore. In particolare viene dedicato a due cari amici che non potranno mai
ascoltarlo in questo universo. Guido e Marcello. Grazie a voi.