Altro che soldi: il cinema italiano ha bisogno di coraggio, non di contributi

 


"La creatività vuole coraggio." - Henri Matisse

Il cinema italiano è bloccato. Non perché manchino i fondi, ma perché manca il coraggio. I festival sembrano fotocopie: stessi nomi, stessi temi, stessi applausi. Ogni anno si premiano i soliti: AvatiBellocchioMoretti. Ma davvero possiamo ancora fingere che ci sia qualcosa di urgente, di vivo, in queste opere ormai chiuse nel loro rituale autoreferenziale?

Nel frattempo, si celebra un "nuovo cinema femminile" che spesso di nuovo non ha nulla. Registe impeccabili, film corretti, ma senza rischio, senza sguardo. Nulla di profondamente femminile, nulla di esteticamente spiazzante. Una quota, più che una rivoluzione. E chi davvero osa, resta fuori dal gioco.

Nel cinema pop, Virzì e Milani sono ormai gli alfieri del compiacimento moralista: commedie travestite da riflessione sociale, facili da digerire e premiare. Mentre registi come i Manetti Bros., che provano a sperimentare nei generi e nei linguaggi, vengono ridotti a identità politica: “sono di sinistra”, dunque accettabili — non per i film, ma per la posizione.

E poi ci sono i fantasmi: Lamberto Sanfelice, autore dell’intenso Chlorine, scomparso dopo il primo film; Crialese, che con Respiro aveva creato una delle poche fiabe mediterranee autentiche, è stato lentamente espulso dal sistema. Troppo libero, troppo poetico, troppo difficile da incasellare. Così come il Sud, sistematicamente ignorato se non come sfondo folcloristico o criminale.

E mentre si chiede più emozione, ci si affida a chi l’emozione la usa come anestesiaTornatore e Ozpetek confezionano lacrime su misura, cinema da salotto emotivo che non lascia ferite, solo torpore. Poi arriva Martone, e lo sguardo si fa così scolastico, così imbalsamato, che l’anestesia si trasforma in coma profondo.

Tutti parlano di soldi. Si attaccano i ministri, si fanno appelli, si evocano tagli. Ma la verità è che i soldi ci sono, e finiscono sempre agli stessi. Quello che manca è la volontà di premiare chi sbaglia tentando qualcosa di nuovo, invece di chi riesce facendo sempre la stessa cosa.

Con una sola eccezione: Paolo Sorrentino.
Sì, si celebra. Sì, racconta sempre sé stesso. Ma lo fa ogni volta in modo diverso, spiazzante, unico. Può piacere o no, ma ogni film è un gesto di stile, di libertà, di reinvenzione. Come dicevano HitchcockFellini e Kurosawail cinema non è la storia, ma come la si racconta. E Sorrentino lo sa.

Il problema non è dunque la mancanza di fondi. È l’assenza di visione. Un cinema che non rischia è un cinema già morto. E oggi, tra premi facili, autori eterni e finte novità, stiamo seppellendo la possibilità stessa di un vero nuovo cinema italiano.

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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