di Laura Gorini
Tutti abbiamo una maschera
Si intitola Sara e mille mila una deliziosa quanto grintosa e coraggiosa fiaba scritta dall'accorto Gabriele Missaglia. Un testo per ragazzi ma anche per quelli adulti che hanno voglia di mettersi in gioco per far viaggiare insieme la testa e il cuore. Perché il nostro Pianeta, Madre Natura e i nostri sogni sono sempre qualcosa di molto serio.
Gabriele, presentati ai
nostri lettori con pregi, vizi e virtù...
E’ sempre una domanda difficile questa, dato che non si sa mai da dove partire. Seguendo l’elenco, direi che i miei pregi sono una certa resilienza, una buona dose di flessibilità e un approccio easy alla vita (nella speranza che poi venga ricambiato). I miei vizi, tra i tanti, sono l’essere collerico, impaziente e quel tantino di vittimismo che mi fa lagnare di alcune cose, molte delle quali sono di poco conto per la verità. Dal punto di vista tecnico, direi che la mia virtù più grande sia la capacità di non abbattermi di fronte alle difficoltà o di fronte agli errori, di fare tesoro di entrambi e di non ripercorrere le strade storte imboccate in precedenza.
Potremmo dire che da cervello
in fuga per motivi di studio e di lavoro, sei tornato in patria per amore
della scrittura?
Forse l’etichetta di cervello in fuga a me sta un po’ larga, dato che di solito questa viene attribuita a ricercatori, a gente che studia la fisica quantistica e riesce a descrivere se la realtà è la realtà o qualcos’altro, ma sicuramente una delle motivazioni per cui ho lasciato la mia bella Lisbona è proprio questa, il desiderio di tuffarmi in questa avventura. Quando sono riuscito a strappare il primo contratto di edizione, allora ho capito che era momento di fare una scelta, e che non poteva essere che quella di tornare.
Che cosa ti ricordi del
tuo primo incontro con essa?
Praticamente tutto. La prima volta che ho deciso che sarei divenuto uno scrittore era un giovedì di luglio. Avevo circa 22 anni e mi sono messo a scrivere su dei grossi taccuini a quadretti, con una biro blu. La mia prima storia era incentrata sul tema della predestinazione e sugli effetti che può avere nella mente di un essere umano. Nel mio romanzo il protagonista apprendeva prima del tempo il giorno, l’ora e il luogo della sua morte e ciò che raccontava il manoscritto era la fenomenologia delle conseguenze che una notizia del genere può avere sulla nostra psiche. E poi da li ho continuato a scrivere, leggere e studiare.
Per quale motivo ha poi
scelto di scrivere proprio una fiaba?
Perché era lo strumento migliore per garantire alla mia storia e al suo significato un approccio ecumenico: in fondo la fiaba è pensata per i bambini ma a ben guardare c’è un bambino in ognuno di noi, ed è bello riconnettersi ogni tanto con quella fase della vita in cui si vive senza pregiudizi, piena di meraviglia, che ti consente di affrontare ogni fatto della vita come una vera e propria avventura. Questo medium riesce a trasporre ogni valore su un piano archetipico, nel quale tutti, volenti o nolenti, possono riconoscersi: si tratta di una lingua che conosciamo tutti e che tutti, quindi, capiscono.
Di certo nella tua si
percepisce il tuo grande amore e profondo rispetto per Madre Natura. Come si
può rendere tutto ciò concreto, reale e puntuale nelle vite dei nostri figli e
nipoti?
La natura è importante dato che è l’ecosistema in cui ci muoviamo e che ricambia perfettamente ciò che riceve: se le diamo veleno ci avvelena; se la trattiamo bene, ci tratta bene. Nel tempo chiaramente è mutata la nostra sensibilità nei confronti dell’ambiente, ma il problema è che il deterioramento della natura è dovuto da un fattore principale che è la nostra società consumista, e per vincere questa tendenza (che ha ragioni sociali ed economiche) l’educazione è fondamentale. Educazione che si estrinseca non solo nel consumare responsabilmente, ma anche, e prima di tutto, nell’insegnare a ragionare: perché il sistema economico prevede che consumiamo senza chiederci veramente se abbiamo bisogno di ciò che compriamo, anzi molto spesso non è nemmeno così. Soltanto un buon spirito critico può essere un buon antidoto a una simile frenesia.
L'indiscussa protagonista della tua storia è Sara, vuoi presentarla a chi non ha ancora avuto il piacere di leggere la tua opera?
Sara ha il suo antecedente
filosofico in Antigone, personaggio della drammaturgia greca classica, che
decide di andare contro la legge per rispettare un valore che vibrava nella sua
anima. E per certi versi, Sara è un eroe tragico: quando sceglie di seguire la
sua passione, l’aiutare gli altri, sa che ne dovrà pagare le conseguenze,
soprattutto se gli altri sono i “nemici del cielo”. Tant’è vero che idealmente
la fiaba finirebbe prima del lieto fine e che più volte Sara invoca l’aiuto di dio (in senso assoluto, come lo avrebbe fatto
un greco) perché andare avanti e perseguire nel suo credo non può che portare a
un solo risultato. E’ senza dubbio difficile vivere in modo autentico,
ascoltando soltanto il nostro credo, ma è anche l’unico modo che ci permette di
vivere in coerenza con la nostra anima, senza che ogni giorno l’esistenza
diventi una lotta senza confini di cuore e mente: entrambi devono essere in
equilibrio.
La ragazza viene costretta a seguire le orme professionali paterne dello stesso genitore. Tale affermazione ci fa intuire che alla fine non sia è ancora liberi di fare nella propria vita ciò che si vuole nel rispetto di tutto e di tutti?
A mio modo di vedere tutti abbiamo una maschera, che indossiamo per vivere nella società. Lo si vede nelle piccole cose: quando si cammina in gruppo non puoi andare più veloce o più lento ma devi tenere il ritmo degli altri. Anche in un simile gesto, piuttosto banale, si nasconde il peso della società: perché se decidiamo di romperlo andando più lentamente o velocemente, alla fine, scegliamo di allontanarci dalla società (dagli altri). E’ ovvio che questo bisogno di stare in una comunità deve essere temperato con il bisogno di vivere bene nella propria pelle, per cui, in questo caso direi che è necessario trovare un buon equilibrio, sempre tenendo conto che se uno ha una passione, o un credo, per me lo deve coltivare; è l’unico modo di essere sicuri che si arriverà in punto di morte, vivi.
In linea generale, credi
che oggigiorno siano ancora tanti i giovani che scelgono la via già tracciata
da mamma e papà dal punto di vista lavorativo per non deluderli o,
semplicemente, per non lottare per i propri sogni?
Non posso parlare per tutti i
giovani del mondo. Penso che ci sono alcuni che seguono le proprie passioni,
altri che scelgono di seguire il solco tracciato da altri, ma sicuramente se
quella passione è una sorta di bisogno primario non c’è regola, ordine o dogma
che tenga: tu fai ciò in cui credi. E se non lo fai all’inizio o da subito, le
pulsazioni del tuo cuore aumenteranno fino a quando il bisogno di seguire la
tua strada sarà talmente obbligato che non avrai altra scelta che cedervi.