Una vita, quella di Jorge Mario Bergoglio, eletto sommo pontefice il 13 marzo 2013, scomparso oggi all'età di 88 anni, straordinaria e allo stesso tempo comune.
È il papa “venuto dalla fine
del mondo”. Il 266esimo, simbolo e carne di un altro mondo possibile, coscienza
critica e speranza in un tempo di guerre, disuguaglianze e incoscienza nei
confronti del prossimo e della “casa comune”.
Una vita, quella di Jorge Mario
Bergoglio, eletto sommo pontefice il 13 marzo 2013, scomparso
oggi all’età di 88 anni, straordinaria e allo stesso tempo comune. Comune:
così ha sempre pensato se stessa.
“Nella capitale argentina nasce il 17 dicembre 1936, figlio di emigranti
piemontesi” si legge in una biografia di Bergoglio pubblicata dalla Santa Sede.
“Suo padre Mario fa il ragioniere, impiegato nelle ferrovie, mentre sua madre,
Regina Sivori, si occupa della casa e dell’educazione dei cinque figli”. E c’è
un’altra persona speciale. Si chiama Rosa Margherita Vassallo. “Ho ricevuto il
mio primo annuncio cristiano da una donna” ricorda Francesco pochi giorni dopo
essere stato eletto papa: “Mia nonna”. Rosa Margherita Vassallo è originaria
della provincia di Savona, in Liguria. Ancora giovane si trasferisce però nelle
Langhe, una regione dove allora si vive dell’essenziale, non di tartufi né di
vini pregiati. Ed è qui che, è sempre Bergoglio a ricordare, Rosa impara che
“c’è sempre un pezzo di pane da donare a chi sta peggio”.
Tra il Piemonte e Roma c’è
l’America. Il Sud America: la “fine del mondo”, l’emisfero agli antipodi della
Curia romana, dei trafficanti di armi e dei super-ricchi, il mondo guardato
alla rovescia da Bergoglio. “È una figura di spicco dell’intero continente e un
pastore semplice e molto amato nella sua diocesi, che ha girato in lungo e in
largo, anche in metropolitana e con gli autobus” si legge ancora nella
biografia. “La mia gente è povera e io sono uno di loro” pare abbia detto una
volta Bergoglio per spiegare la scelta di abitare in un appartamento e di
prepararsi la cena da solo. Ai suoi preti raccomanda misericordia, coraggio e
porte aperte. Mettendoli in guardia dalla cosa peggiore che può accadere nella
Chiesa: quella che de Lubac chiama “mondanità spirituale”, che vuol dire
“mettere al centro se stessi”. È l’esatto contrario di ciò che Bergoglio
ritiene parte imprescindibile della vita cristiana: l’impegno per la giustizia
sociale.
(DIRE) Roma, 21 apr. – Ed è
proprio in uno spazio pubblico e sociale, nonostante il carattere riservato,
che Bergoglio si fa conoscere e diventa un punto di riferimento. È il 2001: in
Argentina tempo di crisi economica, di ricchezze volatilizzate e nuove
emergenze. È anche l’anno nel quale papa Giovanni Paolo II lo crea cardinale:
lui, un diplomato tecnico chimico entrato poi nel seminario diocesano e nel
noviziato della Compagnia di Gesù. Il percorso ecclesiastico, con gli studi
umanistici e la laurea in filosofia, in Cile e ancora in Argentina, è
continuato fino al ruolo di provinciale, a quello di collaboratore del
cardinale Antonio Quarracino, a Buenos Aires, e poi di arcivescovo.
In America Latina la figura di Bergoglio diventa sempre più popolare. Come
arcivescovo, invita religiosi e laici a lavorare insieme, fissando come una
delle priorità l’assistenza ai poveri e ai malati.
Partecipa poi al conclave del 2005, quello di Ratzinger, Benedetto XVI, “il
pastore tedesco”, secondo un titolo di giornale irriverente. Sarà anche il
pontificato segnato del discorso di Ratisbona, con il richiamo all’identità
dell’Occidente e la reazione delle piazze islamiche per il riferimento ai
dialoghi sulla jihad dell’imperatore bizantino Manuele II paleologo: ci furono
proteste, vittime e violenze, dall’Africa al Medio Oriente all’Asia.
Cambia tutto, Bergoglio, a
cominciare dal nome: Francesco, come mai nessun papa prima di lui. E c’è il suo
carattere, con i gesti, l’immediatezza, l’empatia, naturale capacità
comunicativa. Ne parliamo con padre Daniele Moschetti, missionario comboniano per
tanti anni in Africa. Uno che l’ha conosciuto. È del papa la prefazione del suo
libro ‘Sud Sudan, il lungo e sofferto cammino per pace, giustizia e dignità’.
“Quando gli consegnai il volume guardò il bambino sud-sudanese in copertina e
mi disse: ‘Devo andarci a tutti i costi, il popolo mi aspetta’”. Cinque anni
dopo, e dopo tre tentativi, Francesco arriva a Juba: la capitale del Paese più
giovane del mondo, nel cuore del continente più giovane del mondo, ferito dalla
guerra. “Avverto il bisogno di sensibilizzare la comunità internazionale su un
dramma silenzioso, che necessita dell’impegno di tutti per giungere a una
soluzione che ponga fine al conflitto in corso” sottolinea il papa.
“Disinteressarsi dei problemi dell’umanità, soprattutto in un contesto come
quello che affligge il Sud Sudan, significherebbe infatti dimenticare la
lezione che viene dal Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso”.
Padre Moschetti ricorda anche
un altro momento. È il 2019 e i dirigenti politici e militari del Sud Sudan, a
cominciare dal presidente Salva Kiir e dal suo vice e poi rivale Riek Machar,
partecipano a un inedito ritiro a Roma. In Vaticano, nella residenza pontificia
di Casa Santa Marta, c’è anche Justin Welby, il primate della Chiesa
d’Inghilterra che sarà poi a Juba con Francesco. Il Papa chiede agli ospiti di
“rimanere nella pace” e di diventare “padri della nazione”. È a questo punto
che si inchina, sorretto da un traduttore, e bacia loro i piedi. “Sapeva che
avevano fatto uccidere migliaia di persone ma volle fare un gesto importante
che arrivasse dritto al cuore” ricorda padre Moschetti. “Fu un segno di umiltà
e attenzione verso il popolo sud-sudanese, non un’umiliazione di fronte a quei
dirigenti”.
Le prospettive e i ricordi
possono essere più di mille. Come gli appelli. Ad esempio in difesa della “casa
comune”, il pianeta “depredato”, al centro della enciclica Laudato sii’ e poi
del sinodo speciale per l’Amazzonia. E però gli ultimi giorni del papa sono
segnati ancora dal desiderio della pace, dopo le tante denunce del commercio
delle armi “che muove i fili delle guerre con tutti i soldi pubblici destinati
agli armamenti”. Nuovi richiami a un’altra enciclica, la Fratelli tutti, nata
anche dal lavoro comune con l’imam Ahmad al-Tayyeb, ad Abu Dhabi.
Tornano alla mente anche le
parole pronunciate dalla parrocchia della Sacra famiglia, nella Striscia di
Gaza devastata dai bombardamenti israeliani: “Il Papa ci ha chiamati, era di
buon umore, la voce un po’ affaticata, ma ha voluto sapere come stiamo”. Francesco
era ricoverato al Gemelli. Stava male lui ma non dimenticava i palestinesi e
tutti coloro che non hanno più una casa. Sono i più deboli del mondo, come le
vittime di tutte le guerre. Altre immagini, altri momenti. Il papa è solo, la
piazza San Pietro vuota, sotto la pioggia battente, il 27 marzo 2020, anticipo
del venerdì santo al tempo del Covid-19. E ancora Roma, per un altro mondo
possibile: mentre l’Europa divisa si arma e lancia proclami di guerra,
Francesco vuole che alla Via Crucis partecipino due famiglie in più: una
ucraina e una russa, insieme nella tredicesima stazione. Cristo è deposto sulla
croce e il suo corpo viene riconsegnato alla Madonna.
fonte:
Agenzia DIRE www.dire.it