NOVE, I GENITORI DI GIULIO REGENI, CLAUDIO REGENI E PAOLA DEFFENDI a CHE TEMPO CHE FA



“Si può dire che il tempo è un po’ ambivalente per noi. Quel giorno in particolare, il 3 febbraio, è stato un giorno molto tragico per noi, una batosta tremenda che noi ci portiamo dietro e non potremo mai dimenticare. Siamo impegnati in questa battaglia che portiamo avanti, quindi dobbiamo anche affrontare la situazione man mano che si evolve, a piccoli passi. Il tempo è ambivalente perché per certe cose va lento, la pesantezza del tutto, per certe cose invece va accelerato perché dobbiamo stare dietro a tutto e quindi non lo governiamo noi, c’è un tempo interiore e un tempo esteriore” Così i genitori di Giulio Regeni, Claudio Regeni e Paola Deffendi, a Che tempo che fa di Fabio Fazio sul NOVE.
 
Sulla loro fatica fisica e emotiva“Sicuramente c’è la fatica fisica ed emotiva, il rivivere ogni volta tutte le situazioni che abbiamo attraversato, poi c’è l’aspetto organizzativo, dobbiamo organizzarci per il viaggio, prevedere imprevisti, disagi, cancellazioni delle udienze, fare in modo che tutto vada e sincronizzare il tutto con la vita personale e quotidiana, che in qualche modo deve andare avanti. Naturalmente la fatica c’è anche quando siamo presenti, lo siamo sempre, seguiamo tutto, ci prepariamo anche in modo da sentire se ci sono delle sfumature che non avevamo capito bene, nelle ricerche nostre che abbiamo fatto insieme al nostro avvocato (Alessandra Ballerini). Tutto questo sì è una fatica, però finalmente siamo arrivati al processo, nessuno se lo aspettava questo svolgimento all’inizio, ed è grazie al lavoro fatto da parte di Alessandra, della procura, al quale abbiamo partecipato anche noi”.
 
Sulle cose più difficili da ascoltare durante i vari dibattimenti“Tante le cose difficili da ascoltare. Io (Paola Deffendi) ho sempre parlato di dolore necessario, perché quando uno avvia un percorso per avere verità e giustizia sa che avrà ancora dolore, non fa paura però, quindi per me stare dentro il processo è stare anche con Giulio, è un modo per stargli vicino. Abbiamo sentito veramente tante cose, cose che sapevamo, altre che non sapevamo, tra le cose più pesanti direi tutte le illazioni che emergono durante il processo, tipo che Giulio è una spia, che Giulio non era ricercatore, che se l’è cercata. Quindi la prima cosa fin dall’inizio è stata la difesa della dignità della persona di Giulio. Poi le parole assumo un aspetto tridimensionale secondo me, escono dalle carte, dalle immagini, vengono fuori e ti arrivano al cuore, alla coscienza. Poi è stato pesante per Claudio tempo fa che i quattro avvocati d’ufficio sono andati a spulciare la vita personale di Giulio, i conti correnti, la sua vita sentimentale, qualsiasi aspetto che potesse dare adito a qualche zona grigia, non chiara. Il fatto anche di sentire, forse questa la cosa che ci ha fatto più male, che se fosse stato fatto qualcosa in tempo utile, ad esempio una telefonata direttamente al Presidente Al Sisi, Giulio si sarebbe potuto salvare. Una telefonata poteva salvarlo. E un’altra cosa che ci ha dato sofferenza è che nostra figlia Irene ha testimoniato, e vederla lì è stato veramente grande. Io (Paola Deffendi) mi sono trovata a testimoniare e per fortuna l’ho capito, non so come, perché l’ho vissuto come un momento sacrale, si giura di dire la verità ed è una cosa non da poco per un cittadino o una cittadina. I quattro avvocati d’ufficio hanno cercato di farmi svelare il nome di un testimone che ha una sigla (Zeta). Ci sono situazioni di minacce nei confronti dei testimoni, rischiano la vita, e noi li ringraziamo perché ci mettono tutta la loro volontà, perché sanno che se aiutano noi in realtà aiutano anche loro stessi”.
 
Sull’ordinanza della corte d’assise che non ha ritenuto l’Egitto un Paese sicuro“Ci tengo a chiarire il concetto del “paese sicuro”, perché in genere si pensa che non sia sicuro per noi, invece non è sicuro per i cittadini egiziani, perché c’è una larga categoria di persone che non sono sicuro nel loro Paese. E anche per i cittadini stranieri, basta che facciano una piccola infrazione e …. Noi non siamo più tornati al Cairo, se necessario saremmo disponibili a tornare, anche a nostro rischio, perché sappiamo che non siamo ben accetti, ma è stata la nostra legale nel dicembre del 2017 ad andare a prendere il fascicolo egiziano che era stato promesso dall’allora procuratore Sadek. Chiaramente non le hanno dato tutte le pagine,  è stato consegnato subito alla procura di Roma e in particolar modo alla squadra del dottor Colaiocco, che ci sta sempre vicino, e lei ha passato non un buon tempo in un ufficio nell’aeroporto della National Security. Non si è mai capito in fondo perché”.
 
Sull’aver fatto uscire i Regeni dall’aula durante alcune parti dei dibattimenti“Molte cose le sappiamo, le abbiamo viste, le conosciamo, però la nostra legale vuole proteggerci, perché le stesse parole pronunciate o lette fuori dal processo, assumono una pesantezza diversa. A me piace quel discorso della tridimensionalità perché ti arrivano e non hai nessuna mediazione, quindi la nostra che ci vuole proteggere dal punto di vista emotivo, ci dice di andare fuor, io ogni tanto protesto ma lo facciamo”.
 
Sui testimoni citati dai Regeni, il Presidente Al Sisi e il figlio Mahmoud“Certo, lo confermo. Lo aspettiamo il 12 febbraio alle 09:30 a Roma, al tribunale di Piazzale Clodio, aula Occorsio. In quell’occasione vedremo, li aspettiamo, gli abbiamo inviato la notifica tramite l’ambasciata egiziana a Roma e in più è stata pubblicata sulle pagine Facebook e su Messenger personali del Presidente Al Sisi, quindi sicuramente l’ha ricevuta. Ho controllato 20 minuti fa e c’è ancora sulla sua pagina Facebook”.
 
Sull’incontro con l’ambasciatore egiziano in Italia sul volo Trieste-Roma“Una storia incredibile, il mantra dell’anno. Era andato a Trieste, l’ho sgamato dove era andato, al porto a Trieste perché ci saranno degli scambi commerciali tra Limetta-Trieste e altri Paesi europei, e l’ho riconosciuto subito perché lui è stato per 6 o 7 anni il portavoce del Presidente Al Sisi. Ormai vivo guardando anche queste pagine Facebook ho detto “E’ lui”. Quindi poi lui ha viaggiato con noi, ci siamo seduti vicino, non ci sembrava molto felice, è rimasto molto sorpreso che l’avessi riconosciuto ma gli ho detto che Giulio faceva cose.. e abbiamo avviato una conversazione un po’ in italiano e un po’ in inglese, dove abbiamo cercato di impostare certi discorsi e lui ci ha confermato che è a conoscenza del processo. Questa è stata la cosa più importante all’interno di una vasta conversazione durata 45-50min, il tempo del volo. Testimone un aereo intero”.
 
Sul ruolo dell’Italia e sulla restituzione di Corrado Augias della Legion d’Onore “Noi siamo in debito e ringraziamo fortemente tutte le persone che ci sostengono, noi chiamiamo il popolo giallo “scorta mediatica”, tutte le persone che ci sono vicine, che ci danno la forza di procedere in questo cammino durante questi lunghi nove anni. Il ruolo fondamentale è la fiducia riposta nella procura, è stata sicuramente ben riposta, e dobbiamo ringraziare soprattutto il procuratore Sergio Colaiucco per questo. Abbiamo recentemente partecipato all’evento del 25 gennaio, molto forte, partecipato, emozionante con tema l’onda gialla, quindi questa onda che va avanti e che ha una forza che trascina tutti quanti verso il nostro obiettivo. Vorremmo menzionare in particolare il caro amico Corrado Augias, che ha recentemente festeggiato i 90 anni, il quale ha rinunciato all’onorificenza massima dello stato francese, la Legion d’onore, perché non lo riteneva rispettoso nei confronti di Giulio. Ha dedicato questo suo gesto di rinuncio all’onorificenza a Giulio”.
 
Sul riavere indietro gli indumenti e gli effetti personali Giulio“Non ci sono mai arrivati, me lo ricordo perché nella lettera c’era una richiesta di collaborazione da parte del Presidente Al Sisi, che lui ci aveva promesso in varie occasioni, ma non abbiamo ricevuto gli indumenti ed effetti che sarebbero cari a noi. L’unica cosa è che, siccome lo aspettiamo, quando verrà in Italia ci farebbe molto piacere, sarebbe una cortesia da parte sua farceli avere. Anche perché ha promesso tante volte che anche lui voleva verità e giustizia, quindi sarebbe un’occasione per farlo davanti a un mondo internazionale, sarebbe buono anche per lui. Volevamo aggiungere una cosa, lanciare un appello, illuminare una storia italiana attuale, ovvero quella di Alberto Trentini, un cooperante italiano che è andato in Venezuela, e se non erro è proprio dal 15 novembre che la famiglia non ha più sue notizie. Chiediamo che il governo si dia veramente una mossa, perché è passato troppo tempo, non si sa dove sia e vogliamo che questo giovane italiano torni a casa sano e salvo, rispettato come portatore di pace e siamo vicini alla sua famiglia”.
Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top