Edith Bruck a Che tempo che fa: "nessun Paese si è confrontato con il proprio passato dopo la guerra"

 


Sul racconto delle cinque luci"La prima luce quando sono arrivata ad Auschwitz e ci hanno buttato giù dal vagone. L’ultimo tedesco a sinistra, la sinistra voleva dire la camera a gas immediata, e io sono stata buttata con la mia mamma a sinistra, mentre a destra i lavori forzati, e l’ultimo tedesco a sinistra si è chinato su di me e mi ha sussurrato diverse volte “vai a destra, vai a destra, vai a destra”. Io non volevo lasciare la mamma e mi sono aggrappata con le unghie, lui ha battuto mia madre, col calcio del fucile le ha dato un colpo che è difficile ancora per me oggi raccontare, e poi ha aggredito me finché non mi sono trovata a destra. A destra voleva dire ai lavori forzati e una minima possibilità di sopravvivenza. Quindi questo io chiamo la prima luce. La seconda luce è capitata a Dachau, dove un cuoco mi ha chiesto come mi chiamavo. E io chiamo questa la seconda luce anche perché ero 11152, calva e con zoccolo, lui mi ha chiesto “Wie heißt du?”.. Come ti chiami? in tedesco e io non avevo un nome, ero 11152. Sono rimasta sbalordita, nel senso che ha ripetuto “ti ho chiesto come ti chiami” e alla fine ho detto “Edith”, lui si è avvicinato e ha detto “io ho una bambina piccola come te” e mi ha regalato un pettinino. E la cosa incredibile è che quando è venuto Papa Francesco a casa mia, lui ha detto “volevo essere io quel cuoco che ti ha regalato il pettinino” poi ha tirato fuori dalle tasche che non aveva un pettinino che non aveva e me lo ha allungato, che è una cosa molto surreale e anche molto poetica. Io chiamo questo la seconda luce. Poi ce ne sono state altre tre. La terza luce è stata una gavetta che mi ha sbattuto addosso un soldato in uno dei sottocampi di Dachau, che aveva cento sottocampi, e ha lasciato dentro un pochino di marmellata. Poi la quarta luce è invece un soldato a Landsberg, anche perché Dachau aveva cento sottocampi, e il soldato a Landsberg invece mi ha buttato un guanto bucato. Il Papa quando è venuto a casa mia mi ha chiesto “Edith cos’era in quel buco?” e io ho risposto “la vita”. E poi l’ultima luce dovevano assolutamente spararmi e non mi ha sparato. Non mi ha sparato perché mia sorella maggiore ha aggredito il tedesco che mi stava malmenando ed ero per terra piena di sangue. Il tedesco si è avvicinato e ha detto “sei una lurida schifosa, sporca, cagna, ebrea”. Mia sorella lo ha aggredito e lui è caduto nella neve, si è avvicinato e ha messo nella fodera la pistola. Quindi non mi ha ammazzato. Quindi questa è la quinta luce".
 
Sui dubbi sulla ricerca di Dio: "Ho parlato con il Papa dei miei dubbi. Li ho sempre avuto fin da bambina. Lui ha detto “Dio è una ricerca continua” e così questo mi ha tranquillizzata, ho detto “cerchiamo, cerchiamo”. Una ricerca continua, non mi ha detto altro". 
 
Sulla kapò dal cappotto verde"Sono andata in via della Croce a Roma a fare la spesa in un negozio, un salumiere, e alle mie spalle ho sentito dire improvvisamente “tu sei Edith di Auschwitz”. E questo mi ha colpita come una pallottola, veramente, mi sono voltata indietro e ho visto una donna dal cappotto verde. Poi lentamente ho ricordato chi era, era una kapò ad Auschwitz, e poi ho ricostruito, anche attraverso l’aiuto di mia sorella, il nome, come si chiamava. Poi ha cominciato a perseguitarmi perché lei aveva paura che io la denunciassi. Denunciare non so a chi… Poi voleva offrirmi la sua casa, voleva che andassi a prendere un tè, e io temevo che mi avvelenasse. Lei aveva paura che io denunciassi anche se non si sapeva a chi e come. Comunque era un kapò di Auschwitz, era una donna polacca che era stata deportata certamente almeno due anni prima di me. Loro obbedivano a qualsiasi cosa dicevano i tedeschi ed era una sopravvissuta. Non l’avrei comunque denunciata. Sia chiaro perché ho incontrato una anche in Israele che era molto peggio di lei e non l’ho denunciata perché non lo so a che prezzo lei è sopravvissuta. Non ho mai denunciato nessuno. Io credo che lentamente nella vita il bene torna e il male torna anche. Io veramente credo in questo, fare del bene torna e fare del male torna uguale. Erano violente perché erano totalmente disumanizzate. Nel senso che erano state deportate due anni prima o tre anni prima, non so cosa hanno vissuto. Comunque, ho incontrato anche un altro kapò in Israele che era molto peggio di lei. Anche perché ho pianto per tre settimane per la mamma e lei che si chiamava Alice, mi ha chiamata e mi ha detto “vieni ti faccio vedere io dove è tua mamma” e poi ci siamo fermati all’ingresso del blocco 11 del lager C di Auschwitz, e mi ha detto “vedi quel fumo?” e io ho detto “sì”  e lei ha detto “lì è tua madre dove è stata anche mia madre, è finita in quel fumo”.  Poi dopo mi ha chiesto “era un po’ grassa tua mamma?” e io ho detto “un pochino”. Perché non credevo a quello che diceva, era incredibile davvero. Allora lei ha urlato “hanno fatto sapone”. Lì per lì dopo tre settimane appena arrivata ad Auschwitz non potevo immaginare una cosa del genere. Purtroppo era vero, non è che ci risparmiassero qualcosa neanche le punizioni, niente. Perché erano totalmente disumanizzate. Non so a che prezzo sono sopravvissute. Anche perché non le ho denunciate, né la prima né la seconda kapò, non me la sentivo. Però mi ha stravolto la vita un pochino, voleva offrirmi la sua casa, mi perseguitava a Roma e mi aspettava sotto casa. Io temevo che lei mi avvelenasse. È stato un incontro che ha turbato profondamente la mia vita per qualche mese. Poi è scomparsa da Roma. Per fortuna non l’ho mai più vista".
 
Sulla provenienza di quella disumanità: “Il male arrivava dall’antisemitismo eterno, millenario secondo me. Abbiamo sempre sofferto per l’antisemitismo, per il razzismo, e quindi arriva da lì, da persecuzioni millenarie, che poi sono finite nella Shoah, altrimenti non sarebbe potuto arrivare questo lungo, infinito, eterno antisemitismo che non manca nemmeno oggi, anche se in forme diverse. L’Europa va verso destra e l’antisemitismo cresce sempre di più, il capro espiatorio sono sempre gli ebrei, che vengono sempre giudicati nel loro insieme, come se noi pensassimo tutti la stessa cosa, senza distinguerci. Veniamo sempre chiamati “voi ebrei”, non c’è l’”io” e questo l’ho sentito fin da bambina, e ancora oggi, ma noi siamo diversi come gli altri popoli, nessuno la pensa uguale, tranne alcuni gruppi che la possono pensare ugualmente, però è totalmente diverso. Ognuno è libero di pensare quello che vuole, ma non vengono giudicati nel loro insieme. Io non direi mai in vita mia “voi cristiani”, non esiste, ci sono persone sempre diverse l’uno dall’altro”.
 
Sulla frase di Primo Levi “Si stava meglio ad Auschwitz”: “Ha detto che ad Auschwitz c’era speranza, mentre in quegli anni non c’era. Negli anni ’80 c’era questa scia enorme di negazionismo, anche i professori nelle scuole, io ne ho anche denunciato uno, e Primo Levi ne è rimasto colpito in maniera inconsolabile. Mi diceva: “Ma ti rendi conto? Noi siamo ancora in vita a testimoniare e già stanno negando. Cosa succederà dopo?”, io lo consolavo come se fossi la sorella maggiore, ma lui era distrutto da questo [….] Secondo me era molto depresso per questo negazionismo, presente anche nelle scuole. Invece io vado a scuola da 64 anni e i ragazzi capiscono, vogliono sapere, ascoltano e mi ripagano pienamente della mia fatica. Ho anche pubblicato un libro con le loro lettere. Io finché posso, finché ho respiro, vado avanti a testimoniare, è molto importante, anche quasi tutti miei libri tornano su quell’argomento, in qualche misura sicuramente”.
 
Su cosa possiamo fare oltre che ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti: “Possiamo educare i nostri figli diversamente secondo me, per il male che noi abbiamo vissuto, ma non soltanto noi ebrei, anche quello che vivono oggi e vivranno domani, perché non siamo in un mondo roseo nemmeno oggi. Quindi, prima educare i bambini al rispetto di qualsiasi essere umano, di qualsiasi colore o fede, al rispetto totale, non ci sono essere umani di serie b o c, ogni vita è preziosa, di chiunque e ovunque. Dopo la famiglia, la scuola deve insegnare molto di più sul passato, perché insegnano poco e male. In Europa da nessuna parte è stato affrontato, in piccolissima parte solo i tedeschi si sono confrontati in qualche maniera con il loro passato che stanno ancora pagando con i risarcimenti, ma nessun Paese si è confrontato con il proprio passato dopo la guerra, come se nulla fosse successo e non è stato insegnato molto ai giovani, perché è stato tutto taciuto”.
Fattitaliani

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