Il Papa apre la Porta Santa nel carcere di Rebibbia: "Aggrappatevi alla speranza"

 


Salvatore Cernuzio - Roma

“La prima Porta Santa l’ho aperta a Natale in San Pietro, ma ho voluto che la seconda Porta Santa fosse qui in un carcere. Ho voluto che ognuno di noi tutti che siamo qui, dentro e fuori, avessimo la possibilità anche di spalancare le porte del cuore e capire che la speranza non delude”.

Francesco è seduto, con i paramenti rossi, davanti alla porta in bronzo sul lato destro della chiesa del Padre Nostro, all’interno del carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso. Si alza poi in piedi e per sei volte bussa alle ante di bronzo, a passi lenti attraversa il varco adornato per l’occasione con fiori e piante. Per la prima volta nella storia un Pontefice apre una Porta Santa non in una basilica ma all’interno di un penitenziario. Ha voluto farlo oggi, 26 dicembre 2024, Papa Francesco per portare il dono della speranza - tema dell’intero Anno Santo - in un luogo di reclusione e ristrettezze dove è facile che essa vada perduta.

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L'apertura della Porta Santa
L'apertura della Porta Santa

Un gesto frutto delle richieste dei detenuti

Un gesto inedito, speciale, questo del Papa, anche solenne. Solenne quasi quanto l’apertura della Porta Santa a San Pietro. Un gesto che è frutto delle domande stesse dei detenuti che hanno chiesto: “Sì, ok, inizia il Giubileo ma per noi cosa c’è di speciale?”. Lo hanno confidato al vescovo ausiliare di Roma, Benoni Ambarus (“don Ben” per tutti) che ha presentato queste istanze al Papa.  “È un sogno che coltiviamo da tempo”, dice Ambarus.

E il sogno si è realizzato. “Chiedo a don Ben di venire con me ad aprire la Porta”, scandisce infatti Francesco, prima di passare sotto la Porta Santa. Con il vescovo, due “ospiti” di Rebibbia (un uomo e una donna) e due agenti, seguito da un cordone di sacerdoti che tengono alta una croce in legno, il Papa – tornato a sedersi in carrozzina – percorre il corridoio centrale della Chiesa, tra le due file di panche riempite da 300 persone tra carcerati, educatori, personale dell’istituto, polizia penitenziaria. Si vedono felpe e divise, cravatte e tatuaggi sul collo, teste calve e barbe lunghe. Ci sono uomini e donne, giovani e anziani.

I presenti alla Santa Messa
I presenti alla Santa Messa

Silenzio, saluti alle autorità, commozione

Fino a pochi minuti prima del suo arrivo, l’atmosfera era di grande fervore tra preparativi e prove dei canti del coro composto sempre da detenuti. All’esterno pure volontari della Croce Rossa, insieme ad altri ristretti in rappresentanza di quattro diversi istituti di pena, insieme a educatori e alcuni familiari; sono presenti pure dei bambini: “Siamo qui dalle 4!”, esclama una. Tutti sono avvolti in coperte, cappucci, plaid attendono urlando e applaudendo la venuta del Papa.

L’arrivo, nella inconfondibile Fiat 500 L bianca intorno alle 8.40, fa mutare lo scenario. Il vociare si spegne, come pure i canti. Tra i mattoni rossi della chiesa si sente solo il rumore del ruscelletto del presepe realizzato dai ristretti del “Reparto G8”. Il Papa saluta la direttrice Teresa Mascolo, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il capo dimissionario del Dap, Giovanni Russo, il prefetto di Roma, Lamberto Giannini, e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. In fila anche il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’educazione. Poi, il Papa, percorre la lunga pedana bianca costruita per l’occasione fino alla Porta Santa. Quindi il rito, quindi l’ingresso, quindi il passaggio accompagnato dal Gloria fino all’arrivo all’altare sotto lo sguardo di un’icona della Madonna.

Un detenuto bacia le mani del Papa
Un detenuto bacia le mani del Papa

Una liturgia sobria

Ancora silenzio, qualche occhio inumidito durante la lettura che ricorda il martirio di Santo Stefano, di cui oggi la Chiesa celebra la memoria liturgica. Tra le panche ci sono pure il politico italiano Renato Brunetta, il promotore di Giustizia della Città del Vaticano, Alessandro Diddi, il rettore della Lumsa, Francesco Bonini. La celebrazione è sobria, ordinata, con un’assemblea - consapevole della solennità del momento - diversa rispetto a quelle dei tanti istituti penitenziari visitati dal Papa per le Messe in Coena Domini del Giovedì Santo. Anche a Rebibbia Nuovo Complesso Francesco ci era già stato nel 2015. Torna dopo quasi dieci anni per dare inizio anche tra celle e cortili alle celebrazioni del Giubileo.

Un momento della celebrazione
Un momento della celebrazione

L'omelia tutta a braccio: "Spalancare i cuori"

“Io ho voluto spalancare la Porta oggi, qui. La prima l’ho fatta a San Pietro, la seconda è vostra. È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. Cuori aperti. E questo fa la fratellanza”, esordisce il Pontefice in un’omelia interamente a braccio. “I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere”, afferma, “per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire, e soprattutto, aprire i cuori alla speranza”. La paragona ad un’ancora, il Pontefice, questa speranza: qualcosa a cui aggrapparsi in mezzo alle difficoltà e alle prospettive più nere.

La Messa nella Chiesa del Padre Nostro di Rebibbia
La Messa nella Chiesa del Padre Nostro di Rebibbia

"La speranza è come un'ancora"

“La speranza non delude, mai! Pensate bene a questo. Anche io lo pensavo, perché nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente. Ma la speranza non delude mai”, dice Jorge Mario Bergoglio. La speranza è lì, come un’ancora a riva, “sulla terra” e “noi con la corda stiamo lì, sicuri, perché la nostra speranza è come l’àncora sulla terra”.

“Non perdere la speranza. È questo il messaggio che voglio darvi; a tutti, a tutti noi. Io il primo. Tutti. Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai”, insiste Papa Francesco. A volte è difficile rimanere aggrappati a questa corda: “Ci fa male alle mani…”. Ma con lo sguardo a riva, “l’ancora” ci porta “avanti”. “Sempre c’è qualcosa di buono, sempre c’è qualcosa da fare avanti”, esorta.

L'augurio di vivere "un grande Giubileo"

Aprire la porta del cuore è l’invito conclusivo ai detenuti e al personale di Rebibbia: “Il cuore chiuso si dimentica della tenerezza. Anche nelle situazioni più difficili, ognuno di noi ha la propria - più facile, più difficile – ma sempre il cuore aperto. Il cuore è proprio quello che ci fa fratelli. Spalancate le porte del cuore. Ognuno sa come farlo. Ognuno sa dove la porta è chiusa o semichiusa. Ognuno sa”. Da qui l’augurio di “vivere un grande Giubileo”: “Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi. Davvero. Non è un modo di dire. Penso a voi e prego per voi. E voi pregate per me”.

Un quadro in dono al Papa
Un quadro in dono al Papa

I doni

Una donna e un uomo, entrambi reclusi a Rebibbia, insieme a due educatori portano i doni dell’offertorio. Il rito della comunione ha come sottofondo il canto tipicamente natalizio “Astro del ciel”. L’amministrazione penitenziaria regala al Papa un quadro di Cristo con le mani protese in avanti realizzato dall’artista Elio Lucente, ex poliziotto. In dono pure un cesto di prodotti delle detenute di Rebibbia femminile: olio, biscotti, ceramiche e bavaglini, frutto del loro lavoro.

La pergamena del Papa

Francesco ricambia con una riproduzione della Porta Santa e una pergamena in memoria di questa celebrazione finora unica nel suo genere. L'ha letta all'altare l'arcivescovo Rino Fisichella, organizzatore dell'Anno Santo: “A ricordo della visita che Papa Francesco ha compiuto al Polo Penitenziario di Rebibbia durante il Giubileo ordinario 2025 dove ha aperto la Porta Santa nella Chiesa del Padre Nostro”. Sotto la motivazione:

“Come segno di speranza per recuperare fiducia in sé stessi e ritrovare la stima e la solidarietà della società”

Prima della conclusione, del baciamano e dei rapidi scambi di parole con ognuno dei presenti in chiesa a cui consegna un Rosario, il Papa ribadisce il duplice invito: “Non dimentichiamo due cose che dobbiamo fare con le mani. Prima: aggrapparsi alla corda della speranza, aggrapparsi all’àncora, alla corda. Mai lasciarla. Seconda: spalancare i cuori. Cuori aperti".

Stretta di mano con il sindaco Gualtieri
Stretta di mano con il sindaco Gualtieri

Il saluto a chi è rimasto in cella

Lasciando la chiesa, il Papa rivolge a tutti gli auguri di "buon anno": "Che il prossimo anno sia meglio di questo. Ogni anno deve essere meglio", dice. Poi saluta "i detenuti che sono rimasti in cella che non sono potuti venire". Parole accolte da un fragoroso applauso e da cori di W il Papa.

La chiesa di Rebibbia "una Basilica"

Un detenuto ferma infine la sedia a rotelle per regalare al Papa una sciarpa di lana e avvolgergliela intorno al collo. Prima dell'uscita una breve sosta al presepe con lo sguardo alla scena della Natività, in cui San Giuseppe è rappresentanto nell'atto di disegnare il mondo. Fuori dal cancello Papa Francesco si ferma per alcuni minuti con i giornalisti stazionati all'ingresso di Rebibbia e risponde alle domande della vaticanista dell'emittente Tv2000, Cristiana Caricato: "Ogni volta che vengo in carcere la prima domanda che mi faccio è perché loro e non io… perché ognuno di noi può scivolare l’importante è non perdere la speranza. Aggrapparsi all’ancora della speranza e aprire, spalancare il cuore e aggrapparsi alla corda dell’ancora", dice il Papa. 

Definisce poi "una Basilica" la chiesa del Padre Nostro di Rebibbia: "Il carcere è diventato una Basilica tra virgolette, perché ho voluto aprire qui la seconda Porta Santa poi le altre basiliche Santa Maria Maggiore, San Paolo, San Giovanni in Laterano, ma questa è la seconda Basilica". Francesco, rispondendo a un'altra domanda, dice di non aver parlato di indulto con il ministro Nordio, ma rimarca l'importanza di questo momento vissuto in carcere: "Tanti di questi non sono pesci grossi, i pesci grossi hanno l'astuzia di rimanere fuori. Dobbiamo accompagnare i detenuti e Gesù dice che il giorno del giudizio saremo giudicati su questo: ero in carcere e mi hai visitato".

Vatican News, 26 dicembre 2024
Fattitaliani

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