“Credere in qualcosa è cercare di stare, rimanere, provare anche quando tutto sembra dirti di lasciare perdere.Ma perché crediamo… in una scelta, in una fede politica, nel nostro lavoro, in Dio? È un mistero. E il mistero prende il volto delle cose che possono parlarci anche se non sempre dicono quello che vorremmo sentire. Per anni ho cercato di raccontare come si diventa cristiani, poi come si resta cristiani. Volevo che fosse una commedia, un dramma, un dramma comico. Volevo fare un film sulla fede, sulla mia.” Elisa Fuksas, regista e protagonista, si trova a un bivio esistenziale quando il progetto cinematografico a cui ha lavorato per anni naufraga. Questo fallimento è l’inizi di una crisi profonda che mette in discussione non solo la sua carriera, ma anche la sua fede nel mondo, negli altri e in Dio. “Quando ti succede di fallire, ti ritrovi a chiederti in che modo successo e fallimento possano essere la stessa cosa” prova a investigare la voce fuori campo di Elisa, prontamente interrotta da quella della Madonna che, spazientita, la ammonisce: “sei pesante e piena di dubbi è questo il problema. Non puoi combattere per qualcosa in cui non credi più”. Desacralizzando la sua crisi, quella voce, quel pensiero forse delirante, quella figura sacra quanto profana, la spinge a reagire e a fare qualcosa: un pellegrinaggio. Supportata da IndianaProduction, che ha sempre creduto nel progetto (nelle sue molteplici forme), Elisa Fuksas decide di ascoltarla e partire per un viaggio in nave che è tutto un fallimento – a partire dal fatto che la nave avrebbe dovuto essere la Marko Polo e invece è un’altra– insieme a sua sorella Lavinia Fuksas, alla sua sceneggiatrice Elisa Casseri e a Flavio Furno, l’attore protagonista del film fallito, alla volta di Međugorje, luogo suggerito dalla Madonna di cui conoscono poco e niente; ma sarà il viaggio stesso, tra incertezze e speranze, il vero pellegrinaggio. Ognuno di loro ha un nodo da risolvere, dubbi da sciogliere, paure e voglia di capire. Ognuno di loro fa i conti con i propri fallimenti, trovando a bordo quello che non si aspettava. Realtà e finzione si uniscono in un racconto dinamico, che manipola e confonde registri e generi, finzione, documentario, dramma, commedia e poi ancora dramma, per restituire un’idea della fede cangiante, che si plasma attraverso l’esperienza del mondo, di sé e degli altri; dai genitori che qui rappresentano una sorta di archetipo, a incontri più onirici eppure potenti come quello con Barbara Alberti, nel ruolo dell’amata, e tutto fuorché convenzionale, nonna defunta o la cantante Maria Antonietta, la cui fede naviga sulle note di una canzone. E poi Vincenzo Nemolato nel ruolo di un prete giovane e libero, e tanti amici e uomini di chiesa, che aderiscono al progetto con la loro testimonianza. Personaggi pensati come contraltare, grilli parlanti che pongono dubbi, offrono riflessioni, tratteggiano la complessità della realtà. "Marko Polo" è un esperimento sul Raccontare come forma di fede e anche per questo è un caleidoscopico collage di materiali: scene di copioni spariti o cambiati o riadattati negli anni, diventano fantasie o evocazioni dei possibili film mai fatti. |