Il debutto direttoriale più atteso della Stagione, ma forse degli ultimi anni, è senza dubbio quello del Direttore dei Berliner Philharmoniker Kirill Petrenko che, ascoltato in concerto nel 2016 con la Bayerisches Staatsorchester, debutta in buca con l’Orchestra scaligera per sei rappresentazioni di Der Rosenkavalier di Richard Strauss dal 12 al 29 ottobre. Sulla figura del Maestro Petrenko alleghiamo il ritratto firmato da Andrea Estero sul numero di ottobre della Rivista del Teatro.
Lo spettacolo è quello di Harry Kupfer nato a Salisburgo nel 2014 e visto alla Scala nel 2016 con la direzione di Zubin Mehta. Die Marschallin è Krassimira Stoyanova, che aveva già interpretato la parte nel 2016 con Mehta e che alla Scala è stata applaudita tra l’altro in Simon Boccanegra, Aida, Ariadne auf Naxos, Messa da Requiem e in numerosi concerti. Accanto a lei nei panni en travesti di Octavian Kate Lindsay, che canta per la prima volta sul palcoscenico scaligero di fronte al pubblico dopo essere stata protagonista del dittico dedicato a Kurt Weill diretto da Riccardo Chailly durante la pandemia. Sabine Devieilhe, che alla Scala ha debuttato come Blonde nella Entführung diretta da Zubin Mehta nel 2017 ed è tornata nel 2019 come Zerbinetta accanto all’Ariadne della Stoyanova, interpreta Sophie. Sul versante maschile Günther Groissböck ripropone, dopo Salisburgo e la Scala nel 2016, il suo Barone Ochs virile e spavaldo, rappresentante di un’aristocrazia di campagna estranea alle raffinatezze della capitale ma non per questo solo grottesca e caricaturale. Il tenore italiano ha lo squillo di Pietro Pretti, che alla Scala ha interpretato un repertorio che va dal belcanto di Lucia di Lammermoor e del Pirata al Verdi di Un ballo in maschera, I Vespri siciliani e Rigoletto.
Un’ora prima dell’inizio di ogni recita, presso il Ridotto dei Palchi, si terrà una conferenza introduttiva all’opera tenuta da Liana Püschel.
Il cavaliere della rosa/Der Rosenkavalier al Teatro alla Scala
Il
cavaliere della rosa
approda alla Scala nel 1911, in italiano, per la direzione di Tullio Serafin
con scene e costumi di Alfred Roller, innovatore dell’impianto scenico della
Staatsoper diretta da Gustav Mahler e futuro fondatore del Festival di
Salisburgo insieme a Strauss e Max Reinhardt. L’esito della serata fu
compromesso da una sostanziale incomprensione dell’opera aggravata dalle
proteste nazionalistiche contro la raffigurazione dell’infido italiano
Valzacchi e di Annina. Con caratteristico pragmatismo i nomi dei personaggi
furono immediatamente mutati in Rys-Galla e Zephira. Il
cavaliere torna alla Scala nel 1927 con Ettore Panizza sul podio (ma lo
stesso Strauss dirigerà la ripresa nel ‘28), i costumi di Caramba e Conchita
Supervía come Octavian, mentre Iris Adami Corradetti appare fugace nella parte
della modista; sempre Panizza dirige l’edizione del 1947, in cui Italo Tajo è
Ochs e i costumi sono di Lele Luzzati.
La rivoluzione arriva nel 1952: Herbert von Karajan impone la versione in tedesco e un cast incomparabile: Elisabeth Schwarzkopf è Die Marschallin, Otto Edelmann Ochs, Sena Jurinac Octavian e Lisa della Casa Sophie. Regista è lo stesso Karajan. La Schwarzkopf e Otto Edelmann tornano nel 1961 con Karl Böhm e la regia di Rudolf Hartmann; con loro Christa Ludwig come Octavian e Anneliese Rothenberger come Sophie. La parata di eccelsi maestri continua nel 1976 con Carlos Kleiber che dirige Evelyn Lear, Hans Sotin, Brigitte Fassbaender e Lucia Popp nel classico spettacolo di Otto Schenk.
Nel 2003 Der Rosenkavalier arriva agli Arcimboldi con la direzione di
Jeffrey Tate e la regia di Pier Luigi Pizzi: Adrianne Pieczonka e Cheryl Studer
si alternano come Marschallin, Ochs è un applauditissimo Kurt Rydl, Octavian è
Kristine Jepson e Sophie Laura Aikin. Nel 2011 la Scala presenta, in
coproduzione con Madrid e Parigi, un allestimento firmato da Herbert Wernicke
con Philippe Jordan sul podio e nelle parti principali Anne Schwanewilms e
Camilla Nylund, Peter James Rose e Kurt Rydl come Ochs, Joyce DiDonato come
Octavian e Jane Archibald come Sophie. Zubin Mehta dirige nel 2016
l’allestimento del Festival di Salisburgo ripreso oggi: nelle parti principali
Krassimira Stoyanova, Sophie Koch, Christiane Karg, Günther Groissböck e, come
tenore italiano, Benjamin Bernheim.
Harry Kupfer e Hans Schavernoch: Der Rosenkavalier e Vienna
Der Rosenkavalier è un’opera che
parla del tempo che passa, che è passato: nelle vite dei protagonisti, come la Marschallin, ma anche per le nazioni e
le civiltà. Hofmannsthal e Strauss ambientano la vicenda nel Settecento ma
parlano della loro epoca di transizione, di finis
Austriae, di malinconia e tramonto di un mondo e di un linguaggio. Solo in
questo contesto s’intende il senso dell’uso ricorrente del Waltz, danza che
definisce inequivocabilmente l’atmosfera viennese al volgere del secolo XIX. Il
regista Harry Kupfer e lo scenografo Hans Schavernoch hanno scelto di
restituirci la complessità del contesto disegnato da Strauss e Hofmannstahl
attraverso una serie di grandi immagini, quasi tutte in esterno, di una Vienna
sospesa tra passato absburgico, nuova borghesia commerciale, anima popolare e
solitudine dei grandi parchi silenziosi.
Nell’atto
primo, la stanza in cui assistiamo al risveglio degli amanti si apre su una
veduta presa dall’angolo del Graben, in cui giganteggia la Hofburg, la reggia
imperiale: è il mondo della monarchia, l’ambiente aristocratico della Marschallin. Nella scena del “lever” in
cui nella stanza si affollano fornitori e famigli, lo sguardo si sposta sugli
edifici della Ringstraße, nei pressi dell’Hotel Imperial: è la città stessa che
entra negli appartamenti della Marschallin
con la sua frenesia, i suoi piccoli commercianti, la sua animata atmosfera
popolare.
L’ultima
scena del primo atto, con la celebre riflessione sul Tempo, ha per sfondo un
viale solitario del parco di Schönbrunn in novembre, immagine di malinconia e
introspezione in cui, pur in un ambiente inequivocabilmente aristocratico, si
estinguono orpelli e mediazioni della vita sociale.
Nel
secondo atto la casa del nouveau riche
Faninal è immaginata secondo gli stilemi dell’architettura della Ringstraße,
l’arteria circolare costruita tra il 1860 e il 1890 con edifici il cui
caratteristico stile storicista rispecchiava il desiderio di apparire e di
fingersi un passato immaginario della borghesia affluente che si avviava a
sostituire la nobiltà alle redini economiche dell’Impero. Si tratta di uno
stile ancora tradizionale, che tuttavia rappresenta il nuovo rispetto ai
palazzi storici dell’aristocrazia.
Il
terzo atto si apre tra le travi e le decorazioni metalliche della Ruota del
Prater, il principale parco di Vienna. In origine riserva di caccia imperiale,
il Prater fu aperto al pubblico da Giuseppe II nel 1766 e fu teatro
dell’Esposizione Universale del 1873. Nel 1897 compare la ruota panoramica
(Riesenrad) ai piedi della quale si moltiplicano ristoranti e birrerie. Una
delle osterie più celebri del Prater era la locanda “Zum Walfisch” (“Alla
balena”), sormontata da un’enorme cetaceo metallico. La prima certezza di
Schavernoch era di non voler ambientare la scena in un interno, ma forse in un
Heuriger, le taverne viennesi dove si serve il vino novello: poi l’idea di Zum
Walfisch, che nel frattempo era stato chiuso nell’ambito di un contestato
rinnovamento del parco. Il finale dell’opera è ancora collocato nel parco, ma
il cambio di paesaggio non potrebbe essere più radicale: a poche decine di
metri dalle strutture metalliche della fiera, simbolo del nuovo secolo, ci si
addentra nei boschi che le circondano. L’opera termina così nella pura natura
in cui i personaggi, rimasti soli, sono costretti a confrontarsi seriamente con
sé stessi e la regia sottolinea l’assonanza drammaturgica del finale del
terz’atto con quello del primo.
Foto: Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala