«Non credo sia necessario navigare in acque tumultuose, o camminare su sentieri tortuosi, per capire che cosa sia la bellezza. Ciò che ci fa stare bene è bello. E quindi, sembrerà un luogo comune, ma davvero “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”.» (Giorgia Catalano)
Ciao Giorgia, benvenuta. Grazie
per la tua disponibilità e per aver accettato il nostro invito. Se volessi
presentarti ai nostri lettori, cosa racconteresti di te quale Giorgia speaker,
presentatrice e tutte le cose che fai?
Ciao Andrea. Ringrazio te, per l’opportunità. Amo
il contatto con la gente; mi piace imparare, anche attraverso le esperienze di
vita altrui, e faccio tesoro di tutto ciò che osservo intorno a me. Per far
stare bene gli altri, è proprio da loro che bisogna partire (dal loro sentire,
dalle loro aspettative, dai loro gusti).
In ciò che faccio, ovviamente, ci sono anche il
mio carattere, la mia interiorità, la mia passione.
Chi parla davanti ad un microfono (in radio, come su un palco), e chi scrive, è uno “strumento” attraverso il quale chi ne fruisce deve poter gioire ed emozionarsi.
…chi è invece Giorgia Donna che
vive la sua quotidianità e cosa fai al di fuori della tua professione, che come
abbiamo visto ha tante sfaccettature, che puoi raccontarci?
Sono una mamma. Ho tre splendidi figli (ormai adulti):
Nicolò, Matteo e Simone, senza i quali la mia vita non sarebbe la stessa; sono
loro la vera ragione della mia esistenza. Sono i miei primi sostenitori.
Come Donna, vivo la mia quotidianità, come tutti, tra alti e bassi, senza mai lasciarmi abbattere dalle difficoltà. Ho imparato, fin da bambina, a cavarmela da sola. E quando sei sola a superare gli ostacoli, provi maggiore soddisfazione. Quando ho del tempo libero, che, purtroppo, riesco a ritagliarmi con molta difficoltà, adoro ridare vita (a mio modo, ovviamente) a vecchi mobiletti e piccoli oggetti. Insomma, creatività è la mia parola d’ordine. Bando alla noia!
Chi sono e chi sono stati i tuoi maestri d’arte,
se vogliamo usare questo termine, nel mondo della radio e del giornalismo?
Sono stata (e ancora sono) una spugna assorbente. Cerco sempre di captare qua e là ciò che ritengo interessante e costruttivo, rielaborarlo, aggiungerci del mio e trasformarlo in qualcosa di nuovo.
Nella tua presentazione artistica si legge: «Giorgia Catalano scopre, da
ragazzina, la sua passione per la radio. Erano gli anni 80, quando conduceva un
format dedicato alla dance del periodo. È stata ospitata come poetessa, da
diverse emittenti web, ma anche da Radio 1, nel 2011, durante la trasmissione:
"L'uomo della notte" condotta da Maurizio Costanzo e da Rai News. Nel
2012 torna al microfono, come speaker, su Radio Italia 1, emittente in FM e
streaming. È ideatrice, regista e conduttrice del format “L'Isola che non c'è”,
dapprima dedicato alla promozione di autori sconosciuti, poi, via via,
diventato un programma dedicato a cultura, arte, spettacolo, cinema, musica e
non solo. Ospiti di importante levatura, ma anche esordienti, arricchiscono i
contenuti del programma. Nel 2016 lascia le frequenze in FM, per il web».
Raccontaci di questa bella esperienza in Radio, della tua passione nata negli
anni Ottanta, delle tue idee radiofoniche e dei tanti progetti che hai creato e
realizzato.
Non posso non cominciare raccontando un ricordo che mi sta molto a cuore.
Erano le 23 del 5 luglio 2011, quando mi sintonizzai su Radio 1, con
immensa gioia, per ascoltare “L’uomo della notte”, trasmissione condotta da
Maurizio Costanzo, durante la quale venivano lette brevi liriche di poeti
sconosciuti. La trasmissione mi venne segnalata da un amico virtuale, Pierluigi
Martena, appassionato di poesia e, più in generale, di letteratura. Ad oggi,
non ho ancora avuto il piacere di ringraziarlo vis a vis, viste le diverse latitudini che accolgono le nostre
abitazioni. Leggeva le mie liriche su Facebook e, proprio perché gradiva ciò
che pubblicavo, mi suggerì di partecipare alla selezione per una lettura in
trasmissione. Ero piuttosto scettica. Perché mai il dott. Costanzo avrebbe
dovuto scegliere proprio la mia umile poesiola? La redazione della Rai mi
rispose, via mail, otto mesi dopo l’invio della mia proposta di lettura. Era
trascorso così tanto tempo da quando, con una buona dose di coraggio, inviai il
mio messaggio di posta elettronica, che non ricordavo nemmeno più di averlo fatto.
, invece, proprio nella data che vi ho indicato, l’attrice teatrale Valentina
Montanari, interpretò, magistralmente, i miei versi. Sentire il grande
Costanzo, pronunciare il mio nome e annunciare la mia lirica, con il suo
titolo: “Ripenso”, fu come toccare il cielo con un dito. Non mi sembrava vero; eppure,
era così. Riporto qui, i “famosi” versi:
Ripenso a gesti, ironie,
scherzose malinconie.
Rubo i miei stessi pensieri
per lavarli dalla tristezza,
per stenderli al caldo sole.
Così, odorosi di bucato,
li indosserò come abito nuovo.
In quegli anni scrivevo moltissimo. Sempre su suggerimento di Martena, e,
nuovamente, senza troppa convinzione, proposi il mio profilo artistico e alcune
mie liriche anche alla giornalista Luigia Sorrentino che curava, all’epoca, uno
spazio su RaiNews, dedicato alla poesia emergente.
Anche in quel caso, fu un successo assolutamente inaspettato.
Pubblicò un’intervista scritta e alcune mie poesie.
https://www.luigiasorrentino.it/2011/10/27/opere-inedite-giorgia-catalano/
La mia avventura dall’altra parte del microfono, in effetti, ha inizio a
metà Anni ’80, quando, a soli 14 anni, ebbi modo di condurre un format di
intrattenimento musicale sulla dance dell’epoca, per una piccola radio locale
pugliese - gestita da uno zio materno - durante le vacanze estive. Ero davvero
una ragazzina, ma sembrava fossi speaker da sempre.
Mi affascinava l’idea di avere un pubblico e, soprattutto, mi piaceva
l’idea di intrattenerlo con la mia voce e con le mie scelte musicali.
Attratta da questa dimensione, in quello stesso periodo, partecipai ad una
selezione promossa da una nota radio piemontese, con sede a Torino. Non mi
ritennero idonea, perché “troppo piccolina”.
Non pensai più alla radio per molti anni, anche se la musica e il canto,
nella mia vita, hanno sempre avuto una posizione di riguardo; nel 2012
pubblicai la mia prima raccolta di poesie e, tramite i social, venni a
conoscenza di una trasmissione radiofonica, in onda su Radio Italia 1, durante
la quale promuovevano autori emergenti.
Partecipai al format, presentando il mio libro: “Un Passaggio Verso le
Emozioni”, ma anche (senza rendermene conto) me stessa con la verve – sto
ridendo – che mi contraddistingue da sempre.
Uno dei conduttori di questo programma radiofonico era il Cav. Giorgio
Milanese, che notò subito questa mia carica e mi propose, dopo averne parlato
con la Direzione Artistica dell’emittente, la conduzione di un altro format
dedicato agli autori emergenti.
Fui sorpresa di questa proposta, ma accettai, pur con il timore di non
esserne all’altezza. Giorgio mi rassicurò dicendomi che il tempo e l’esperienza
avrebbero fatto la loro parte.
Iniziò così una nuova avventura a bordo del galeone de L’Isola che non c’è
(il nome del programma lo propose proprio il Cavaliere) che, da allora, ha
cambiato sembianza stagione dopo stagione e, dal 2016, ha anche cambiato casa,
perché ci siamo trasferiti nel web; nello specifico su WRN Radio
(www.wrnradio.eu).
Abbiamo cominciato con una conduzione di coppia, leggendo poesie e racconti
di autori emergenti.
Via via, nella mia testa sono sempre frullate tante idee, per aprire il
format ad un pubblico sempre più vasto. Ad oggi, sul galeone sono approdati
noti chef di fama anche internazionale, come il pizzaiolo Davide Civitiello,
Andy Luotto, Edoardo Traverso, Raffaella Cecchelli e Enrica Patanè, e tuttora
approdano i medici dell’Accademia di Medicina di Torino, scrittori, poeti,
registi, associazioni, attori, cantanti, artisti in genere, del mondo
televisivo, del cinema e del teatro; insomma, un radio-show, a tutti gli
effetti.
Con la pandemia, e con le restrizioni da essa imposte, non potendo più fare
radio insieme, ho rimesso in discussione il ruolo del mio partner artistico.
Da “spalla” di Giorgina, la monella pasticciona de L’Isola che non c’è, a
padrone di casa nella sua rubrica del Cavaliere, appunto, che cura in prima
persona, dedicata a curiosità di vario genere: storico, di costume, e non solo.
Durante il clou del periodo pandemico (stagione 20-21) sono andata in onda
anche con un paio di rubriche da me ideate: Kitchen Gi e Dimensione Autore (il
nome di quest’ultima, in realtà, ereditato dalla primissima trasmissione
durante la quale il Cavaliere notò la mia sfacciataggine (e competenza –
aggiungerebbe lui).
La prima, dedicata alla sana alimentazione. Hanno collaborato con me, alla
realizzazione del format, la dott.ssa Francesca Scarlatti, nutrizionista e
biologa di Torino, e lo chef di Identità Golose (Milano) Edoardo Traverso.
Ogni settimana, la dottoressa ci forniva indicazioni dietetiche legate alle
più svariate patologie e lo chef, una ricetta dedicata.
La seconda rubrica ospitava autori (poeti e scrittori) noti e meno noti; a
differenza, però, della trasmissione originaria, ha accolto anche autori di
note: musicisti e cantautori.
Per la prossima stagione radiofonica, ho in mente un nuovo format, che,
però, almeno per ora, rimane top secret. L’Isola che non c’è ha più di dieci
anni sul groppone; credo che ogni cosa sia destinata ad avere un inizio e una
fine.
Ogni mattino, invece, dalle 7 alle 8, sempre su WRN Radio, amo cominciare la giornata con il mio pubblico. Insomma, butto tutti giù dalle brande, ma con ironia e dolcezza, al tempo stesso. Sono in onda con il Buongiorno col sorriso (ogni giorno un’avventura diversa: ricette rapide, aforismi, consigli per le pulizie, brevi curiosità e molto altro).
Se della tua lunga esperienza in Radio dovessi raccontare un fatto
positivo, bello, che ti ha fatto piacere e che ricordi con piacere; e uno
negativo, che ti ha dato fastidio, che ti ha lasciato amarezza e che ti ha
delusa, che cosa ci racconteresti?
Di bei ricordi, fortunatamente, ce ne sono tanti. Ogni intervista lascia una propria impronta, qualcosa di bello che rimane nel cuore, perché colgo da ogni ospite (noto, o meno noto che sia) linfa vitale e, soprattutto con artisti che ho vissuto e vivo anche da fan, l’emozione è sempre tanta. Tutto ciò mi offre benessere, perché ho il privilegio di conoscere il loro lato umano, il “dietro le quinte”. Con alcuni è nata anche una bella amicizia, che mi dà la possibilità di confrontarmi con chi l’arte (musica, teatro, cinema, ma non solo) la fa. Qualche brutto ricordo ce l’ho, ma mi avvalgo della facoltà di non rispondere, perché – com’è nel mio stile – il mio pubblico e i miei lettori devono sorridere e non rattristarsi. Per fortuna, sono sempre stata una guerriera e anche i momenti infausti, insieme alle delusioni che li hanno accompagnati, li ho superati egregiamente, vivendoli come una sfida, per migliorarmi sempre di più e capire che non tutto ciò che luccica è oro…
«Il ruolo del poeta è pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta,
per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e
non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista ad Arnold Kaye, Charles
Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicago, vol. 2, n. 4, March 1963,
pp. 1-7). Qual è, da poeta, la tua idea in
proposito, rispetto alle parole di Bukowski? Cosa pensi del ruolo del poeta
nella società contemporanea, oggi social e tecnologica fino alla
esasperazione? Oggi al poeta, secondo te, viene riconosciuto un ruolo sociale e
culturale, oppure, come dice Bukowski, fa parte di una “élite” di intellettuali
che si autoincensano reciprocamente, una sorta di “club” riservato ed
esclusivo, senza incidere realmente nella società e nella cultura
contemporanea?
Credo che per mettere “nero su bianco” le proprie emozioni ci voglia anche del coraggio; pertanto, non potrei mai definire un poeta “un mollaccione”. Semmai, il Poeta è un artista del verso, dotato di una sensibilità raffinata, spesso fuori dal comune. Ogni poeta rielabora il proprio vissuto, secondo il proprio sentire. Forse la Poesia non ha mai risolto, né mai risolverà i problemi dell’Umanità intera, ma dona emozioni; è – talvolta – curativa (sì, cura sia l’animo di chi la scrive, che quello di chi la legge). La Poesia è, per me – questo lo sostengo da sempre – respiro d’aria buona e pulita. E’ disintossicazione dalla realtà. Rispetto al passato, forse, qualcosa si sta muovendo in positivo, nei confronti di questa forma d’arte, proprio grazie ai social e alla diffusione capillare che, attraverso questi mezzi di comunicazione, si può fare di qualsiasi cosa. Non sono in tanti a raggiungere il successo mediatico (che è quello che potrebbe permettere di avere un’influenza diretta sull’audience), ma qualcuno ci riesce anche; sono ottimista e voglio ben sperare per un prossimo favorevole futuro riservato ai poeti.
Come definiresti il tuo stile poetico e la tua poetica? C’è qualche poeta
del passato o del presente al quale ti ispiri?
Potrei definire i miei versi, liberi. Alcune liriche sono sicuramente molto ermetiche; alcune altre lo sono meno. La veste di ogni poesia dipende essenzialmente da ciò che descrivo e dallo stato d’animo con il quale mi accingo a farlo. Una volta stesa la bozza del mio pensiero, cerco di curare le parole. Leggo e rileggo i versi, per costruire – nel limite del mio possibile – qualcosa di armonioso, basandomi anche su alcune accortezze imparate da critici e poeti contemporanei, molto appassionati, con i quali ho avuto la fortuna di confrontarmi, negli anni. Ho sempre provato una grande devozione nei confronti di Ungaretti e Montale, come di Quasimodo. Mi riconosco, a tratti, in Alda Merini. Adoro le metafore e i pensieri lasciati un po' a metà, ma solo un po'…
Raccontaci delle tue poesie. Quali sono le opere poetiche che ami ricordare
e di cui vuoi parlare ai nostri lettori?
Posso ricordare la già citata (di cui ho anche riportato il testo)
“Ripenso”, per le ragioni già enunciate; altre liriche della mia produzione
poetica hanno lasciato un segno. “Azzurrità” è piaciuta moltissimo al Direttore
della Banda del Corpo di Polizia Municipale di Torino, Massimo Sanfilippo (ne
sta componendo un pezzo musicale per l’orchestra); un paio di liriche, come “Se
Potessi” e “Ranuncoli” sono state musicate e cantate dal cantautore Piero
Rinaldi di Bari; l’attore romano Franco Picchini, ne ha interpretata qualcuna
(la già citata Azzurrità, Calar della sera, Era solo la pioggia); “Pausa del
cuore” è stata invece musicata e cantata in versione jazz dalla cantautrice
torinese Renata Bolognesi e “Eterno Imbrunire” fu riportata nel 2013
dall’artista di fama internazionale Opiemme, sui marciapiedi del quartiere
Barca-Bertolla di Torino, vicino ad autori come Saramago, Gadda, Gibran, e non
soltanto.
I versi riportati sui marciapiedi sono:
Il silenzio è un ticchettìo
è un battito d’ali eterno
che va verso l’imbrunire.
Come nasce la tua passione per la scrittura, per
la letteratura e per i libri? Chi sono stati i tuoi maestri e quali gli autori
che, da questo punto di vista, ti hanno segnato e insegnato ad amare i libri,
le storie da scrivere e raccontare, la lettura, la scrittura, la poesia e
l’arte nelle sue varie forme espressive?
Premetto che mia madre è una pittrice; pertanto, respiro arte da sempre. Ho
sempre amato disegnare, dipingere, ma non su tela. Amo anche, in modo
incondizionato, la fotografia che, è, per me, come dipingere un quadro. Per il
resto, ho iniziato a scrivere già da bambina. La passione per il canto e per la
scrittura procedevano di pari passo. Dai tempi della scuola elementare, e fino
agli anni Novanta, ho studiato canto e fatto parte di diverse corali
polifoniche, anche importanti. Ai tempi della scuola media, invece, scrissi un
lungo racconto che lesse l’insegnante di religione (una donna brillante e
sempre allegra). Ricordo che mi spronò a continuare a scrivere, perché, a suo
avviso, avevo talento, ma io, poco più di una bambina, non capivo bene che cosa
volesse dirmi. Dai 15 anni e fino ai 20 circa, ho cominciato a esprimere i miei
sentimenti e le mie emozioni, in versi. Poi, purtroppo, per un periodo durato
troppo a lungo, ho negato a me stessa la possibilità di esprimermi, per
compiacere chi avevo al mio fianco. Mi ero convinta di essere sbagliata e che,
davvero, gli artisti, in genere, sono solo dei folli. Ho impiegato anni, per
liberarmi da una manipolazione molto ben riuscita. Dal 2008, ho ricominciato,
timidamente, a poetare, ma soltanto nel 2010, spronata da una serie di nuove
conoscenze nel mondo letterario (e qui sono grata ai social), è iniziata la mia
nuova produzione narrativa, ma soprattutto in versi. Devo ringraziare l’autore
piemontese Bruno Giovetti, che mi spronò a partecipare ad un concorso letterario
con un breve racconto che narrava di violenza domestica. Mi venne riconosciuta
una segnalazione di merito. Era il 10.10.2010 (ora della premiazione, le 10).
Chissà, forse tutti questi “10” avranno avuto un significato... Non posso non
citare anche, a questo proposito, il poeta e aforista palermitano Emanuele
Marcuccio che, per primo, ha creduto nelle mie liriche quando, proprio nel
2010, gli proposi ciò che ritenevo soltanto dei pensieri. Fu lui a dirmi che
quanto scrivevo era poesia. Mi diede delle dritte e mi impaginò la prima
raccolta, già citata. Ne curò la prefazione e la pubblicazione, senza chiedermi
mai nulla in cambio. Tra coloro che mi spronarono a proseguire il mio cammino e
a migliorarmi, anche il critico e poeta Luciano Domenighini che ho sempre
definito, con stima e affetto: “il mio critico feroce”, perché fu proprio
grazie alla sua intransigenza, che capii come avrei potuto articolare meglio i
miei pensieri, talvolta, disordinati. Altri due grandi figure dei giorni nostri
che mi hanno aiutata a capire, anche indirettamente, come poter migliorare le
mie composizioni in versi, sono state la poetessa e critica Ninnj Di Stefano e
il poeta (già candidato al Premio Nobel per la Letteratura) Nazario Pardini
che, anni fa, mi ospitarono nei loro blog letterari molto prestigiosi.
http://volapoesia.over-blog.it/article-giorgia-catalano-ospite-d-onore-nella-rubrica-di-poesia-
https://nazariopardini.blogspot.com/2015/02/giorgia-catalano-poesie.html
Ci parli dei tuoi romanzi e dei tuoi libri? Quali
sono, come nascono, qual è l’ispirazione che li ha generati, quale il messaggio
che vuoi arrivi al lettore, quali le storie che ci racconti senza ovviamente
fare spoiler?
Dopo la prima raccolta di poesie, edita nel 2012 – anno in cui la mia vita vide importanti cambiamenti – mi sono dedicata alla stesura di diversi libri, che ho ancora nel cassetto e che attendono di essere pubblicati. Scrivere con sentimento, senza avvalersi dei moderni mezzi, richiede un tempo che, in questo momento, impegnata su più fronti, purtroppo, non ho. Ho un romanzo a tratti autobiografico, due raccolte di racconti (di cui una commissionata da una Casa Editrice torinese) e tantissimi altri progetti letterari, in testa, che vorrei concretizzare. Sono sicura che, prima o poi, ce la farò. I miei scritti – come credo valga per ogni autore – partono da esperienze di vita vera, poi rielaborate. Persino ciò che succede – nel bene, o nel male – sui mezzi pubblici è oggetto di osservazione, e quante storie si potrebbero raccontare… Ho pubblicato, nel 2015, un’altra raccolta di poesie e narrazioni varie “Aquiloni Distratti”, per la Casa Editrice Sillabe di Sale, con il Cav. Giorgio Milanese, anch’egli poeta. Due sillogi, due storie, due vite. Molte mie liriche sono state inserite in antologie poetiche e narrative, pubblicazioni per beneficenza, volumi a tema, in libri che raccontano la storia di alcuni quartieri di Torino, con poesie e racconti dedicati, in agende e calendari; ho scritto poesia per alcune testate giornalistiche locali, ma anche per pubblicazioni internazionali. Talvolta, condivido qualche mia poesia sui social, senza esagerare. Purtroppo, i furbetti “ruba-versi” ci sono e non si possono ignorare. Ho tanto da raccontare, ho tanto da scrivere. Devo solo decidere quando pubblicare tutto ciò che ho nel cassetto. Un messaggio che vorrei giungesse ai miei lettori? Ottimismo, sempre e solo ottimismo! Mai farsi abbattere dalle difficoltà della vita. Bisogna sempre impegnarsi, affinché le cose migliorino e, soprattutto, non permettete mai a nessuno di plagiarvi e di dirvi che non valete niente. Ognuno di noi è come un prezioso diamante non riproducibile. Tutto questo trovereste nei miei libri.
«La lettura di buoni
libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono
stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci
rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il
discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice
invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per
ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a
godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e
che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su
noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali.» (Marcel
Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”,
15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”,
Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu da scrittrice cosa ne pensi in
proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo
ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella
solitudine” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…
L’esperienza della lettura vede la fusione di due mondi interiori, di due diverse esperienze di vita, di due diverse immaginazioni. Non esiste un lettore passivo. Per certi versi, apprezzo quanto sosteneva Cartesio.
«Appartengo a
quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a
termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema,
ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa,
Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale
categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni
Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di
raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato
e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là
dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello
che facciamo?
Ho conosciuto persone che, malgrado si impegnassero molto per ottenere dei risultati, facevano fatica a conquistare la vetta. Altre, contrariamente, prive di ogni qualsivoglia forma di talento e passione, sono giunte a destinazione senza grossi sforzi. Tutto ciò mi fa pensare che si debba cercare un proprio equilibrio che ci consenta di investire il giusto, in termini di energia, per raggiungere il traguardo che ci siamo prefissati e poi, si sa, un po' di fortuna, o un destino favorevole, non guastano mai.
«…anche l’amore era
fra le esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia
della ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso
senza fondo.» (Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, Volume primo, p. 28,
Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi di questa frase di Robert Musil? Cos’è
l’amore per te e come, secondo te, è vissuto oggi l’amore nella nostra società
contemporanea, tecnologica e social?
È una domanda intrigante che prevede più risposte, ma, senza entrare troppo nei dettagli, mi sento di dire che il primo grande e autentico amore è quello che dobbiamo provare per noi stessi e, se ne abbiamo, per i nostri figli. Amare qualcuno che è altro da noi, con trasporto, pienezza, autenticità, non è facile, soprattutto dopo aver vissuto una serie di delusioni, ma non è impossibile. Ognuno di noi ha un proprio concetto di Amore. Oggi, i social possono diventare una grande risorsa anche in questo senso, se adoperati con cognizione di causa. Non mi va di generalizzare, e di parlare per luoghi comuni. Giovani e meno giovani hanno un cuore che pulsa. Anche l’Amore (e non soltanto il sesso) è una necessità. Completa l’essere umano. Bisogna essere capaci di estendere il significato di Amore, e viverlo come uno stile di vita, perché l’Amore è anche un modo di vivere e di approcciarsi alla Natura, all’Umanità tutta. Senza Amore, non c’è vita (e non c’è pace).
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul
concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in
proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se
nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo
so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed.,
2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? La bellezza nell’arte, nella cultura,
nella conoscenza, nelle cose della nostra vita quotidiana… Prova a definire la
bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo
te?
Non credo sia necessario navigare in acque tumultuose, o camminare su sentieri tortuosi, per capire che cosa sia la bellezza. Ciò che ci fa stare bene è bello. E quindi, sembrerà un luogo comune, ma davvero “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”. Di qualsiasi cosa si tratti: un libro, una canzone, una voce, un’opera d’arte, un film, una persona e così via. Vediamo la bellezza nelle cose, proporzionalmente alla bellezza che abbiamo dentro e a quanto riusciamo ad andare oltre all’apparenza, perché la bellezza, spesso, si veste di abiti non appariscenti.
Senza immaginare che mi avresti posto questa domanda, credo – seppure indirettamente – di avere già risposto nel corso dell’intervista. Posso soltanto aggiungere che mi sento di ringraziare anche quelle persone che, cammin facendo, mi hanno ostacolata, o non hanno creduto in me. In fondo, non hanno fatto altro che spronarmi a superare gli ostacoli, e a proseguire il mio cammino.
Se dovessi consigliare ai nostri
lettori tre film da vedere quali consiglieresti e perché?
In primis, suggerirei “Lei mi parla ancora”; è
un film del 2021 di Pupi Avati che vede, tra i protagonisti principali, un
serissimo Renato Pozzetto, Stefania Sandrelli e Fabrizio Gifuni.
È tratto dal romanzo “Lei mi parla ancora.
Memorie edite e inedite di un farmacista”, scritto nel 2016, all’età di
95 anni, da Giuseppe Sgarbi, poi ripubblicato nel 2021.Si narra la
storia dei genitori di Vittorio Sgarbi, entrambi farmacisti e profondamente
amanti dell’arte, attraverso i ricordi del suo papà, che, rimasto vedovo dopo
sessantacinque anni di matrimonio, narra ad un ghost-writer commissionato da
sua figlia, un’intera vita trascorsa al fianco di quella donna che anche
dall’aldilà, gli parla ancora. Non voglio svelare di più. Posso soltanto dire
che ho pianto molto, dopo aver guardato questo film. Pozzetto ha superato sé
stesso, in un ruolo che, per i più avrebbe potuto non essergli confacente,
essendo sempre stato lui, un comico. Invece, ha dato davvero il massimo.
Struggente, vero, efficace. Sicuramente anche la sua esperienza personale,
della perdita della moglie a cui era molto legato, gli ha dato modo di calarsi
ancora meglio nella parte assegnata. Si parla di una forma d’amore che oggi non
esiste più, ma che mi carezza il cuore. Penso anche a “Perfetti sconosciuti”,
del 2016, di Paolo Genovese. Nel cast: Marco Giallini, Valerio Mastandrea,
Katya Smutniak, Edoardo Leo e molti altri. Una coppia invita a cena, a casa
propria, un gruppo di amici. Durante la serata, la padrona di casa, psicologa,
propone un gioco: tutti devono mettere sul tavolo il proprio cellulare.
L’imbarazzo è tanto da parte di tutti. Diventa un gioco “pericoloso”. Vengono
fuori sotterfugi, segreti, falsità da parte di tutti. Morale? Abbiamo tre vite:
una pubblica, una privata e una segreta (spesso, anche per chi ci vive
accanto).
Non può mancare “Quasi amici”, ultimamente reso magistralmente in versione teatrale da Paolo Ruffini e Massimo Ghini. Il film, uscito in Italia nel 2012, diretto da due registi: Olivier Nakache e Eric Toledano, racconta una grande “quasi” amicizia che si consolida a seguito dell'incontro tra due mondi distanti tra loro. Philippe (François Cluzet), un aristocratico, a seguito di un incidente con il parapendio, diventa paraplegico. Assume Driss (Omar Sy), un ragazzo di periferia, appena uscito dalla prigione, come badante. Il giovane, malgrado la grave infermità del suo datore di lavoro, riesce con la sua voglia di vivere e la sua preziosa immediatezza e sfacciataggine, a ridonargli vita e fiducia nel futuro. Un film che parla di amicizia, lealtà, sensibilità, introspezione, voglia di vivere a tutti i costi.
… e tre libri da leggere
assolutamente nei prossimi mesi? Quali e perché proprio quelli?
Un libro che avrò sempre
nel cuore è “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello. Lo trovo di una
attualità disarmante. Forse, potremmo addirittura riscriverlo, in chiave
social. Quante volte vorremmo fuggire da noi stessi? Diventare qualcun altro,
per abbandonare la vita piena di preoccupazioni e problemi? Ma poi ci rendiamo
conto che senza la nostra quotidianità, saremmo persi, perché, per quanto
pesante sia, è la nostra. La nostra vita. Credo che rileggerlo, con occhi
nuovi, potrebbe aiutarci a dare maggior valore ai giorni che ci appartengono. Mi
capita, spesso, di recensire libri di autori più o meno noti. Alcuni mi sono
rimasti particolarmente impressi, ma ne cito uno, tra tutti: “Non aver paura”
di Carmelo Cossa, per la Casa Editrice 45Parallelo. Riporto, di seguito, un
estratto della mia recensione, per rendere meglio l’idea di ciò che ha
suscitato, in me, la lettura di questa opera. “Cosa si può fare per combattere la
paura? Continuare a sperare che la nostra vita migliori e non abbandonare mai i
propri sogni. Il nostro autore, Carmelo Cossa, fa di questo romanzo, per lo più
autobiografico, una guida che riesce ad accompagnare il lettore verso la
comprensione della paura e la sua elaborazione, fino ad invitarlo, con la
stessa cura e benevolenza che ci rivolgerebbe una persona cara, a non mollare
mai, perché tutto, in un modo o nell’altro, si risolve. La paura, se non viene
accettata e rielaborata attraverso le nostre stesse esperienze di vita, può
diventare un ostacolo, un limite che ci impedisce di vivere appieno i nostri
giorni, tingendo di negativo tutto il nostro mondo.”
Qui il link della
recensione integrale:
Un’ulteriore proposta,
che so vi farà sorridere, è quella di rileggere i temi raccolti negli anni ’90,
da Marcello D’Orta, nei suoi vari volumi: da “Io speriamo che me la cavo”, a
“Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso” e così via… Mi è tornata la voglia
di scoprire l’ingenuità, la semplicità e la schiettezza di questi bambini,
durante il Torino Film Festival, Edizione 2022, dopo aver assistito alla prima
torinese del “sequel” di “Io speriamo che me la cavo”, “Noi ce la siamo cavata”.
Adriano Pantaleo (uno dei bambini del film di Lina Wertmuller, del 1992) e
Giuseppe Marco Albano (il regista della nuova pellicola) hanno saputo
commuovermi. Pantaleo si è impegnato a cercare i suoi compagni di pellicola,
per vedere cosa è successo dopo il film, a distanza di trent’anni. Ognuno ha
raccontato la propria storia, rivelando fragilità, successi e insuccessi di chi
ha creduto in un sogno e, magari, non ce l’ha fatta. I riferimenti a Paolo
Villaggio, e alla già citata Wertmuller, attraverso dei fuori scena dello storico
film, sono stati davvero commoventi. Alla luce di quanto è emerso recentemente,
una rilettura degli scritti dell’epoca potrà sicuramente avere un sapore
diverso.
I tuoi prossimi progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale e
artistico che puoi raccontarci?
È sempre difficile rispondere a questa domanda. Stanno bollendo molte cose in pentola, come si suol dire. Spero di riuscire a concretizzare tutti i miei progetti che, per ora, preferisco rimangano top secret.
Dove potranno seguirti i nostri lettori?
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alle mie trasmissioni. E… ovviamente, possono seguirmi in radio. Su WRN Radio (www.wrnradio.eu)
ogni mattina, dalle 7 alle 8, per cominciare, insieme, la giornata.
E ogni lunedì, alle 21, per condividere emozioni e non soltanto con L’Isola che non c’è (in replica ogni giovedì alle 4 di notte e di domenica alle 22). Il format è anche in onda di martedì alle 12.30 e di giovedì alle 21 su www.musicaeparole.org
Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa
vuoi dire a chi leggerà questa intervista?
Credete in voi. Non fermatevi di fronte agli
invidiosi e ai superficiali. Andate avanti per la vostra strada. Sempre. E…
come concludo sempre i miei programmi: “Ecco un bacino dalla vostra Giorgina”.
GiorgiaCatalano
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