“Perché pubblicare con noi?”, Virginia Foderaro, editore e imprenditore, ci racconta della sua Casa Editrice indipendente - INTERVISTA di Andrea Giostra.
«Le difficoltà affrontate con la nostra realtà editoriale non sono mai state poche, ma se si lavora con la consapevolezza dei propri limiti e si prova a portare i libri tra la gente, mediante presentazioni, dibattiti, incontri nei luoghi della cultura e non solo, ma anche e soprattutto in quelli del tempo libero dove il pubblico si muove spontaneamente, si è in grado di sviluppare un’ottima rete di contatti e di visibilità.» (Virginia Foderaro)
Ciao Virginia, benvenuta e
grazie per la tua disponibilità. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori nella
tua veste imprenditoriale del difficile mondo dell’editoria?
Ciao e grazie per avermi invitata a questa chiacchierata. Ti racconto qualcosa della mia attività professionale e della mia formazione. La casa editrice che rappresento nasce nel 2011, dopo lunghi anni di letture appassionate e svariati corsi di formazione nel settore della scrittura narrativa e dell’editoria. Inoltre, ho una laurea in lingue e letterature straniere, pertanto, la letteratura, nella mia vita, è un grande e incontrastato amore. Anche per questo, non ho saputo resistere a lungo alla tentazione di realizzare dei libri in prima persona. Essere editore in un panorama piuttosto indebolito e ripetitivo come quello attuale non è sempre conveniente, soprattutto se si nutre l’ambizione di investire su scrittori dotati di un punto di vista originale, distante dalle richieste del mercato. Riuscirvi per me significa tenersi a debita distanza dall’omologazione. Il mio obiettivo principale è da sempre quello di scovare il “libro che non c’è”, unico e irripetibile e così ho tentato di operare per diversi anni. Poi, l’attività di Opposto si è interrotta per qualche anno (dal 2018 ad oggi), in quanto vi era nell’aria l’esigenza di rinnovati stimoli in nome di questa unicità. Oggi siamo tornati, per ricominciare con la stessa convinzione di sempre.
Chi è invece Virginia nella sua
quotidianità, al di fuori dal lavoro? Cosa puoi raccontarci della tua vita al
di là del lavoro e della tua casa editrice?
Sono una persona che ciclicamente tende a ridefinire tutti i confini. In linee generali, posso descrivermi come curiosa e aperta al cambiamento. Mi piace scoprire ciò che non conosco e cogliere tutte, o quasi, le opportunità che mi si presentano. Non mi definirei una vittima della monotonia.
Nel 2011 a Roma hai fondato la
casa editrice “Opposto Edizioni”. Ci racconti un po’
di questa tua avventura editoriale e al contempo imprenditoriale? Come nasce,
quale l’idea che l’ha generata, quali le difficoltà che hai dovuto affrontare,
che in Italia sono sempre tante, per dar vita alla tua casa editrice?
L’idea che ha determinato la Casa Editrice che rappresento è contenuta in gran parte nel suo nome: Opposto, elemento che dovrebbe comunicarne immediatamente l’intento. Mi diverte osservare l’opposto di ogni cosa per giungere a un’interpretazione alternativa e originale, così come affrontare nuove strade per ottenere risultati inaspettati. In quel luogo non distante, ma discosto dallo sguardo, è concesso indagare, scoprire, trasferirsi. Le difficoltà affrontate con la nostra realtà editoriale non sono mai state poche, ma se si lavora con la consapevolezza dei propri limiti e si prova a portare i libri tra la gente, mediante presentazioni, dibattiti, incontri nei luoghi della cultura e non solo, ma anche e soprattutto in quelli del tempo libero dove il pubblico si muove spontaneamente, si è in grado di sviluppare un’ottima rete di contatti e di visibilità. Occorrono inventiva, originalità, e tante proposte creative che a noi piace incrementare.
Lavori nel mondo dell’editoria da diversi anni, da prima di creare la tua casa editrice. Qual è il tuo bilancio da editore in proposito? Raccontaci i tuoi successi, ma anche quelli che ritieni i tuoi fallimenti editoriali, considerato che chi vuole fare impresa nel mondo della cultura in Italia non trova certo terreno fertile?
Per quanto riguarda la mia esperienza, non vorrei saltare subito alle conclusioni con un bilancio tra successi e fallimenti. I successi sono stati sempre molti, forse tutti, tranne rarissimi casi. Il fatto stesso di godere di una realtà indipendente e di un’assoluta libertà di scelta delle proprie opere, anche a dispetto della richiesta del mercato, per me è già un successo. Poter scoprire delle opere visionarie, non massificate, che portano interpretazioni preziose, testimonianze inattese, grande energia, è un grande privilegio in quanto editore. D’altro canto, per me i fallimenti non esistono. Li reputo esperienze per crescere. Ogni qualvolta si sia presentata quella che sembrava un tragedia, a posteriori, si è rivelata un’esperienza preziosa per fissare nuovi traguardi.
Raccontaci una cosa bella e una
cosa che ti è dispiaciuta nella tua esperienza professionale e da editore.
Mi piacciono molti aspetti di questa attività. Primo fra tutti, il momento della decisione di un’opera da pubblicare. È una fase magica, memorabile. È un innamoramento, a cui segue una festa. Negli anni, con gli autori si sono creati rapporti umani importanti. Ci sono anche gli aspetti meno felici, ovviamente. Per carattere vorrei riuscire a ricordarli tutti, ma con l’esperienza ho imparato a rimuoverli. Porto a casa la lezione ricevuta, e lascio indietro ciò che non m’interessa più.
Come è nata la tua passione per
il mondo dell’editoria e dello scrivere, e qual è e qual è stato il tuo
proposito, il tuo scopo principale in questa attività imprenditoriale?
La passione per il settore della narrativa e dell’editoria è nata molto precocemente nella mia vita. Credo di essere stata fin da adolescente un piccolo editore in divenire. Ho avuto da sempre un’idea chiara su cosa avrei voluto fare nella vita e questo era a contatto con i libri, dunque per forza doveva esserci per me un futuro nell’editoria. Una volta realizzato questo proposito, in età più matura, lo scopo principale è stato quello di dare alla luce quei libri che altrimenti non ci sarebbero. I nostri sono libri di scrittori di talento, i quali non hanno accesso alle grandi Case Editrici. Il fatto di puntare su autori nuovi senza chiedere loro alcun impegno economico è una scommessa economica rischiosa, ma che vale la pena di essere portata avanti in nome di un’impresa culturale pura, in cui crediamo fermamente.
Perché, secondo te, oggi è
importante scrivere, raccontare con la scrittura?
Io credo che sia sempre stato importante scrivere. L’uomo ha bisogno di raccontare le sue storie e anche di ascoltare quelle degli altri. È un rapporto che non si può interrompere. Chi scrive ha dei mondi nascosti da svelare, ha l’urgenza di definire chi è e da dove viene, dove sta andando, quale sia la sua visione, la misura del suo coraggio, quella della sua verità, la sua abilità nel distinguere prima degli altri qualcosa che ai suoi occhi brilla anche al buio, nel sogno, nei segni. Chi legge ha bisogno che si parli un po’ di lui, che gli si spieghi perché soffre, perché è felice, perché ama. Per questo, credo, si scrive. Per questo, penso, si legge.
Quali sono, secondo te, le
caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per
essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?
Il talento di uno scrittore è quella dimensione in grado di prendere a schiaffi in pieno viso il lettore e che, mentre lo sta colpendo con reiterazione, lo rende finalmente fiero del suo ruolo. Uno scrittore ha talento quando ci convince con ogni mezzo che la storia che ci sta raccontando è vera, è nostra, e ne siamo parte anche noi di diritto. I suoi personaggi sono anche nostri, li amiamo, li odiamo, li possediamo. Ci fanno pensare, ci intrattengono, ci appassionano, ci commuovono. La vitalità dei personaggi, dei luoghi, delle vicende, l’agilità della tecnica, il controllo dei mondi interiori fanno il resto. Ma, attenzione, il talento non è un arbusto selvatico che si nutre di se stesso. Va incoraggiato, allenato, affinato, incitato. È benzina. Poi, la consapevolezza, lo studio costante e l’impegno non sono altro che l’automobile alimentata da questa benzina. Entrambe le parti rappresentano la condizione imprescindibile affinché si venga tutti coinvolti - scrittori e lettori - nello stesso, unico e entusiasmante viaggio.
Come si fa a
riconoscere il vero talento in uno scrittore dei nostri giorni? Quali sono gli
elementi che ci fanno capire che stiamo leggendo uno scrittore di talento e non
un semplice artigiano della scrittura che riesce a scrivere semplicemente “cronaca
letteraria” e non “vera letteratura”?
Si riconosce senza fatica. Già dal primo capitolo di un manoscritto, in genere, siamo in grado di nutrire il fondato sospetto che sotto i nostri occhi stia volteggiando la penna di un talento. Però il punto è un altro. Spesso, la costruzione di un successo editoriale non corrisponde necessariamente al talento dello scrittore. Infatti, un buon risultato di vendite non ne è la garanzia. Molti successi si costruiscono a tavolino con degli ingredienti precisi. Alle volte può prodursi anche il contrario. Ossia, sotto un flop assoluto di vendite si può nascondere un autentico talento. Ciò può accadere perché la casa editrice è talmente piccola da non riuscire a far circolare in modo adeguato quel libro. Come capire che stiamo leggendo vera letteratura? A mio parere, la vera letteratura è quella che ti impone di annullare tutti gli impegni per restare incollati a quel libro. Se, al contrario, la lettura si può rimandare a data da stabilire, ci sono buone probabilità che ciò che abbiamo tra le mani non sia vera letteratura, ma solo una copia.
In Italia ogni anno si
pubblicano tra i 80 e i 85 mila nuovi titoli, con le oltre 2000 case editrici
attive nel nostro Paese. La media ponderata di vendita di ogni nuovo titolo è
di circa 50 copie, mentre chi legge effettivamente tutta l’opera letteraria
acquistata non supera il 10%, il che vuol dire che delle 50 copie vendute solo
5 copie vengono effettivamente lette per intero da chi acquista in libreria o
nei distributori online. Poi c’è il dato eclatante e incredibile che
oltre il 35% dei nuovi titoli non vende neanche una copia! Partendo da questi
numeri che per certi versi fanno impressione e ci dicono chiaramente che in
Italia non si legge o si legge pochissimo, secondo te cosa si dovrebbe fare per
migliorare questa situazione? Cosa dovrebbero fare gli editori per far
aumentare il numero dei lettori e degli appassionati ai racconti e alle storie
da leggere? Tu cosa fai per accrescere i lettori dei libri che pubblichi?
Questi dati sono raccapriccianti. Purtroppo, molti di questi libri sono il risultato di una corsa all’auto pubblicazione. Sovente assistiamo a storie scritte male, che non sorvegliano la trama, l’intreccio, non ragionano sulla voce narrante, sulla sua motivazione, oppure quella del suo protagonista, non sono consapevoli delle azioni generali, della profondità e del valore dei dialoghi, del ritmo o del non ritmo delle parole, di quelle corrette, di quelle stonate. E purtroppo questo crea una situazione di confusione generale anche nel lettore. Gli editori, in linea generale, a mio parere, dovrebbero cercare di garantire una maggiore qualità dei loro libri, ponendo al centro del loro interesse i lettori. Da parte mia, io cerco di osservare questa formula. Cerco di conoscere il mio lettore e di pensare se le scelte che opero saranno di suo gradimento.
Una domanda che certamente
interesserà molto i nostri lettori: perché gli scrittori, i poeti, gli autori
dovrebbero rivolgersi alla tua casa editrice, e non ad altre, per pubblicare le
loro opere, i loro libri?
Credo che provare a proporci un’opera possa essere un buon tentativo di sollecitare una pubblicazione a una casa editrice che svolge il proprio lavoro con determinazione, dedizione e trasparenza. La proposta è sempre ben accetta, ci auguriamo che sia tratti di opere mature e consapevoli, perché ciò che per noi sul serio conta è la qualità delle scelte che operiamo.
Quali sono i servizi che offre
la tua casa editrice agli autori che scelgono voi, o vengono scelti dalla tua
casa editrice? Quali costi anno questi servizi, se hanno dei costi che possiamo
rendere pubblici?
La nostra realtà editoriale offre diversi servizi, tra i quali editing
letterario, schede di valutazione, corsi di scrittura di vari livelli: base,
intermedio, avanzato. Chi fosse interessato, può contattarci per conoscere i
dettagli in base alle proprie esigenze. Con il nuovo anno 2024, a Roma, abbiamo
in programma diverse tipologie di corsi di scrittura. Ad esempio, segnalo i 3 workshop
dal titolo “Inconscio e creatività” che analizza il rapporto tra scrittura e
psiche, e nel quale faremo molti esercizi pratici per sondare in profondità gli
universi interiori di cui lo scrittore dovrebbe prendere coscienza e imparare a
gestire. I tre incontri full immersion si terranno di sabato e domenica nelle
seguenti date: 13 e 14 gennaio; 27 e 28 gennaio; 10 e 11 febbraio 2024, presso
la Bottega dell’Attore, nel quartiere San Lorenzo. La frequenza di ogni gruppo
di date è intesa singolarmente, il costo è di 130 €, per chi volesse affrontare
l’intero percorso sarà proposta una tariffa agevolata di 300 €, invece che 390
€.
A febbraio, presso la stessa scuola, si terrà un corso di scrittura del romanzo che durerà fino a giugno 2024, con un incontro settimanale di 2 ore. Per il programma potrete consultare la pagina web (www.labottegadellattore.it) della Bottega dell’attore, alla sezione corsi.
Come dovrebbe essere progettata,
secondo te e secondo la tua lunga esperienza, una buona campagna di marketing e
comunicazione per far conoscere uno scrittore, un poeta esordiente e fare in
modo che venda un numero significativo di copie?
La partita del piccolo editore sull’autore sconosciuto si gioca al tavolo della presenza sul territorio tramite presentazioni nelle librerie, partecipazione ad eventi letterari, incontri, manifestazioni, fiere del libro, centri di cultura, biblioteche, associazioni culturali. Inoltre, recensioni cartacee, online, radiofoniche, TV e web.
Secondo la tua esperienze,
perché un autore, scrittore o poeta, abbia successo di vendite, quante copie
dovrebbe vendere? Dacci qualche numero perché i nostri lettori si possano fare
una idea in proposito.
Qui siamo in un territorio complesso, e si rischia di dare i numeri al Lotto. Tutto dipende dalla realtà editoriale che pubblica una determinata opera. Nelle botti piccole si dice vi sia il vino buono. Poi, chissà. Comunque, per un piccolo editore e uno scrittore emergente, già 1000 copie rappresentano un obiettivo realisticamente raggiungibile. Ciò non vale per la Poesia, genere per il quale 200 copie di un autore emergente sono in linee generali da considerare un traguardo.
«Quando leggo narrativa,
al primo segno di trucco o di trovata, non importa se da quattro soldi o
elaborata, mi viene istintivo trovare riparo. In definitiva i trucchi sono
noiosi e io tendo ad annoiarmi facilmente, il che potrebbe avere qualcosa a che
fare con il periodo limitato di attenzione di cui sono capace. Ma la scrittura
estremamente elaborata e chic o quella chiaramente stupida mi fanno veramente
venire sonno.» (Raymond Carver, “Il mestiere di scrivere”,
titolo originale “On Writing”, 1981-1983, New York Time Review, in “A
Storyteller’s Notebook”). Sembra che qui Carver
stia parlando dei tantissimi scrittori italiani contemporanei di “successo
di vendite”, alcuni dei quali pubblicano per case editrici di cosiddetta
fascia A, ma che vengono facilmente dimenticati e non riescono a lasciare un
segno significativo nella letteratura italiana del Ventunesimo secolo. Tu cosa
ne pensi in proposito? Cosa ti annoia quando leggi racconti e romanzi
contemporanei, e quali sono, secondo te, i trucchetti che utilizzano questi
pseudo scrittori di successo di vendite dei nostri giorni che magari riescono a
vendere decine di migliaia di copie dei loro libri, ma non riescono a scrivere
letteratura? Qual è la differenza che trovi tra questo modo omologato dagli
editor di scrivere e i grandi classici che hanno fatto la storia della
letteratura italiana e Occidentale?
In Italia, viviamo un’epoca di scrittori meteore. A me sembra che si segua un certo schema non sempre dotato di elementi particolarmente originali. Per leggere autori che mi emozionano, per trovare quella verità della scrittura che sfida il tempo, personalmente mi rivolgo a epoche precedenti alla nostra. Ad esempio, parlo del nostro Novecento fino agli inizi degli anni ’90. Apprezzo molto anche la letteratura lusofona, i cui autori si muovono tra il Portogallo, il Brasile e l’Africa di lingua portoghese. E lì non trovo che ci sia molto da annoiarsi, anzi al contrario, assisto a grandi slanci di quella che io considero vera letteratura. Sarebbe più interessante parlare di chi mi emoziona, piuttosto dei trucchetti utilizzati per vendere copie, che sinceramente credo sia un argomento infecondo. Per scrivere le opere che oggi sono considerate a pieno titolo i grandi classici, i loro autori hanno conosciuto abnegazione, lavoro durissimo e soprattutto tanto studio. Per scrivere, oggi come sempre, occorre conoscere la tradizione che ci ha preceduti, non dimenticando di aprirsi alla conoscenza della letteratura internazionale. Spesso ci si accorge che con una certa miopia interna chi scrive ignora chi li ha preceduti. In poche parole, non mi sembra un’epoca questa particolarmente favorevole alla letteratura a lettere maiuscole. Non vuole essere un giudizio distruttivo e categorico, in ogni campo esistono le eccezioni.
«Per quanto riguarda i
corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono
gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader,
che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si
autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la
loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono:
“Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che
era un lavoro geniale”» (Intervista
a William J. Robson and Josette Bryson, Looking
for the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California
Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Da
editore che organizza anche corsi di scrittura creativa, cosa ne pensi delle
parole di Bukowski? Ha ragione a dire queste cose a proposito di coloro che
frequentano questi corsi? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere anche se il talento non
c’è? Come si diventa grandi e apprezzati scrittori secondo te?
Trovo geniale questa istantanea di Charles Bukowski sul concetto di “Club per cuori solitari” riferendosi alle scuole di scrittura. Io trovo che sia ancora così. A volte mi capita di leggere qualche intervento sui vari gruppi di Facebook, e ciò mi trasmette una sincera desolazione. Dall’altro lato, però, sento di poter affermare che un corso di scrittura è molto utile per capire tantissimi aspetti legati alla scrittura che generalmente lo scrittore che scrive per hobby non prende in considerazione. In certi casi, i corsi di scrittura servono anche per ridimensionare delle aspettative illusorie in chi lo fa più per posa che non per vera convinzione. E questo è un grande favore che i corsi possono elargire a questi scrittori. Non si è costretti a farlo se non si è proprio tagliati. La scrittura è fatica, è lavoro, è sacrificio, è una fede nelle proprie capacità di portare avanti un progetto letterario, è cercare di diventare qualcuno in grado di farlo. È perdere ogni giorno la speranza nel proprio sogno, ma è anche ritrovarla. Un corso di scrittura può aiutare a portare normalità in un’attività come quella dello scrivere, che in definitiva è un lavoro come un altro, con delle regole da non sottovalutare. Scrivere è ricominciare, sempre. È riscrivere. Un corso di scrittura è un confronto, da affrontare con l’umiltà di migliorarsi. Al talento indiscusso, sembra di essere tutti d’accordo, il corso di scrittura non serve. A patto che egli trovi autonomamente il suo sistema di imparare delle tecniche indispensabili (talento a parte). Se studia da solo, scopre passaggi preziosi per gestire le mille istanze a cui la scrittura obbliga, a lui il corso di scrittura non serve. Sa leggere tra le righe, apprendere i meccanismi che sono lì nascosti, avvertire il ritmo, ascoltare il silenzio della scrittura. Un corso di scrittura aiuta tutti gli altri, invece, tanto da farli crescere o al contrario mollare, in preda a preziosissimi momenti di nuova consapevolezza.
«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?
A me personalmente, piace lavorare intensamente per obiettivi. Credo che l’assunzione di ogni responsabilità pretenda determinazione e lavoro. E i risultati in seguito arrivano, sempre. Senza tutto ciò temo che sia solo un vano tentativo di sopravvivenza.
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul
concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in
proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se
nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo
so.”»
(Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te
cos’è la bellezza? La bellezza letteraria, della poesia e della scrittura in
particolare, la bellezza nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… Prova a
definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la
bellezza secondo te?
Questa domanda è per me di grande coinvolgimento. Grazie per averla formulata. La bellezza ha l’aria di essere un concetto abusato, come suggerisce spesso l’utilizzo a vanvera della celebre frase di Dostoevskij, ripetuta all’infinito come un mantra “La bellezza salverà il mondo?” Al contrario, rappresenta la possibilità concreta di porsi intimamente all’ascolto, anche in termini personali, oltre che letterari. È un diritto del genere umano. Se riuscissimo a far valere il potere immenso che possiede, allontanandola di conseguenza dal pericolo di rappresentare un fatuo luogo comune, riusciremmo a far vivere una fase più luminosa all’intero pianeta. In Letteratura, come in tutte le Arti, la bellezza esiste, si fa materia, comunica, e ha una sua intelligenza intrinseca. Credo che la bellezza quando si mostra non la si possa ignorare, perché rende migliori.
«La lettura di buoni libri è una conversazione
con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi
come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri
migliori»
(René Descartes in “Il discorso del
metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della
conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella
solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo
quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a
poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle
nostre facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso.
L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli
offre al lettore per permettergli di discernere quello che, sClaudio libro, non
avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La
Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed.,
Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere
un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice
Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero
nella solitudine”, ovvero, “leggere
sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…
Reputo valide entrambe le interpretazioni. Nel leggere un autore, o un’autrice, ci affidiamo alle sue parole, porgiamo il nostro tempo nell’aspettativa di ricevere da quell’esperienza la versione dei fatti più veritiera in un dialogo ideale. Al contempo, l’esperienza di chi scrive diventa anche la nostra, immersi, come siamo, nella lettura così in profondità che ci sembra che l’autore, o l’autrice, stia parlando di noi e ci stia svelando qualcosa che solo un attimo prima ci sfuggiva.
«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li
scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono
preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una
scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.»
(Ben Pleasants, The Free Press Symposium:
Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October
31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia
successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il
linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante
per chi legge), volendo rimanere nel concetto di
Bukowski?
Bukowski ci avverte qui che lui è sempre se stesso, qualunque cosa questo comporti “una poesia, un romanzo, una scarpa, un guanto”. A mio parere, è questo il segreto del successo, evidentemente. Quando la personalità dell’autore è libera di esprimersi di certo avrà luogo un’opera originale e unica.
«Lasciate che vi dia un
suggerimento pratico: la letteratura, la vera letteratura, non dev’essere
ingurgitata come una sorta di pozione che può far bene al cuore o al cervello –
il cervello, lo stomaco dell’anima. La letteratura dev’essere presa e fatta a
pezzetti, sminuzzata, schiacciata – allora il suo squisito aroma lo si potrà
fiutare nell’incavo del palmo della mano, la potrete sgranocchiare e rollare
sulla lingua con gusto; allora, e solo allora, il suo sapore raro sarà
apprezzato per il suo autentico calore e le parti spezzate e schiacciate si
ricomporranno nella vostra mente e schiuderanno la bellezza di un’unità alla
quale voi avrete dato qualcosa del vostro stesso sangue» (Vladimir Nabokov, “Lezioni di
letteratura russa”, Adelphi ed., Milano, 2021). Cosa ne pensi delle parole
di Nabokov a proposito della lettura? Come dev’essere letto un libro, secondo
te, cercando di identificarsi liberamente con i protagonisti della storia,
oppure, lasciarsi trascinare dalla scrittura, sminuzzarla nelle sue componenti,
per poi riceverne una nuova e intima esperienza che poco ha a che fare con
quella di chi l’ha scritta? Qual è la tua posizione in merito?
Ogni opera letteraria è un viaggio a sé. Non si sa esattamente come debba essere, in quanto le regole le detta chi legge. Spesso il lettore si identifica, e per tale ragione a me pare strano che egli possa amare quell’opera se non vi si riconosca in qualche modo. La vera scommessa vinta dalla scrittura è quando riesce a trascinare il lettore, e allora lui la divora, la ingurgita con i sensi e finisce per cibarsene e metabolizzarla, Ciò che ne emerge è un’esperienza radicalmente nuova, sempre diversa a seconda di chi legge. Emozioni, sogni, ricordi, suggestioni vengono così condivisi come un sogno personale di ogni lettore, con una nuova versione dei fatti.
Se
per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti
hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana,
soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che
sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a
prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i
tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di
ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
Ho molte persone alle quali devo dire grazie e forse negli ultimi tempi non lo sto facendo spesso. Sono quelle persone che mi hanno ascoltata, dato fiducia, creduto in me. Mi hanno incoraggiata e hanno fatto la differenza. Tra tutte di certo, la prima è Anna Maria Artini, con la quale ho fondato la casa editrice. Noi due, non sempre la pensiamo allo stesso modo e questo dà luogo a discussioni, talvolta, ma ciò che ho sempre percepito provenirmi da lei è una fiducia incrollabile nella mia sensibilità e determinazione. Grazie mamma!
Gli
autori e i libri che, secondo te, andrebbero letti assolutamente quali sono?
Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi
dicendoci il motivo della tua scelta.
Di libri che
andrebbero letti assolutamente ce ne sono tantissimi, i tre che mi chiedi e che
voglio suggerire, cercando di entrare appena nella descrizione, hanno per me un
valore legato alle mie prime scoperte in ambito letterario che mi hanno
trasmesso un orientamento nei miei gusti di lettrice. Si tratta di Don
Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, Lo Straniero
di Albert Camus e Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia
Marquez.
Lo Straniero di Camus, letto e amato a quindici anni, responsabile assoluto del
mio amore per la Letteratura. Una scrittura lineare e allo stesso tempo
altamente poetica, delle immagini cariche di simboli che hanno tracciato in me
fin dall’adolescenza l’amore per le grandi letture e i personaggi immortali.
Don Chisciotte
della Mancia: il romanzo dei romanzi. Non si può pretendere di
comprendere la creazione letteraria senza affondare le mani in questa opera
geniale. E nulla importa che siano trascorsi più di quattrocento anni dalla sua
stesura. Il Chisciotte è un personaggio vivissimo e visionario, la sua vicenda
un contenitore contagioso di creatività, di trovate geniali, di immagini
poetiche e di emozione.
Il terzo romanzo che desidero citare è, “Cent’anni di solitudine”, di Gabriel García Marquez, libro che almeno una volta nella vita bisognerebbe leggere. Questo romanzo è sorprendente per le trovate narrative, originalità, stile personale, immagini allegoriche, simbolismi, realismo magico. Una saga familiare indimenticabile che ha dettato grandissime lezioni di scrittura a intere generazioni di scrittori e continuerà a farlo ancora a lungo.
…
e tre film da vedere? E perché, secondo te, proprio questi?
Per quanto
riguarda i tre film:
Hiroshima, mon
amour, per la regia del grande regista francese Alain
Resnais. Un film del 1959 che ancora oggi emoziona per la forza poetica dei
dialoghi, delle immagini, dei volti dei protagonisti. Un incontro amoroso tra
una donna francese, un’attrice, e un architetto giapponese. Tra i due vi è una
breve relazione di poche ore, e un dialogo illuminante sullo sfondo tragico
della bomba atomica di Hiroshima. La sceneggiatura, ricca di pathos ed
emozione, è della grande scrittrice francese Marguerite Duras.
Il Padrino di Francis Ford Coppola. New York, la Famiglia Corleone, Marlon
Brando, Al Pacino sono gli ingredienti potenti di un racconto leggendario e
delle interpretazioni indimenticabili.
Il laureato, Dustin Hoffman e Anne Bancroft, la leggendaria Mrs Robinson, resteranno per sempre nel nostro immaginario nel ripensare a un giovane uomo appena laureato che per spirito di contestazione verso i propri genitori inizia una relazione clandestina con una quarantenne che potrebbe essere sua madre e che in effetti è la madre della sua futura fidanzata.
Ci
parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni editoriali e professionali, dei
tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento?
In cosa sei impegnata che puoi raccontarci?
Attualmente sono al lavoro con nuove opere da selezionare per la
pubblicazione, la cui caratteristica principale debba essere l’originalità
della storia e il talento dei loro autori. Al momento, non posso ancora indicare
nessun titolo ufficiale. Inoltre, stiamo lavorando a numerosi nuovi progetti
editoriali, primi fra tutti dei manuali di tecniche narrative che saranno
disponibili a metà del 2024, frutto dei numerosi incontri tenuti in questi
ultimi due anni dalla nostra casa editrice presso le Biblioteche di Roma e la
Casa internazionale delle Donne.
Dove potranno seguirti i nostri lettori?
Per tutte le novità il sito della casa editrice viene costantemente aggiornato, ma anche le pagine social di Facebook e di Instagram.
Come
vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa
intervista?
Concludo
ringraziandoti per avermi dato l’opportunità di rispondere alle tue domande che
mi sono piaciute molto. A chi leggerà questa intervista desidero dire non
adeguarsi alle idee preconfezionate e scontante. Solo un punto di vista controcorrente
aiuta il confronto e l’evoluzione.
Siate Opposti!
Virginia Foderaro
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“Opposto Edizioni”
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Andrea Giostra
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