di Pierfranco Bruni
Quale potrebbe essere la comparazione, o il rapporto, tra Alessandro Manzoni e Gabriele D'Annunzio? Tra i due, comunque le diversità che possano verificarsi, c'è di mezzo Vico. Che significa il concetto di storia vissuto come tempo, o meglio come ciclicità di fatti, eventi, circostanze.
Per scendere in una peculiarità antropologica o simbolica direi che l'idea - significante di identità nazionale è già una condivisione in cui i valori di appartenenza sono un tessuto fondamentale che lega il Risorgimento non compiuto che Manzoni cerca di realizzare con l'unità della lingua, di una lingua nazionale. D'Annunzio cerca di avvalorarla con le imprese di Fiume.
In fondo il Vate perché compie quell'impresa che ha una sostanza emblematicamente simbolica? Perché comprende che è necessario dare un senso ad una Italia geograficamente e culturalmente unitaria. La lingua è la rappresentazione dei personaggi in Manzoni. Ma prima del suo romanzo ci sono le tragedie che sostengono l'idea di una valenza in cui il patrimonio identitario è una eredità che si tramanda.
Tramandare e trasmettere tradizione. Il seicento raccontato da Manzoni è l'espressione di una separazione - divisione conflittuale che si ritrova nelle guerre di Indipendenza di un Ottocento che ha visto insieme l'epoca del Risorgimento in un'età romantica. Qui l'allontanamento dalla Rivoluzione Francese è puntuale.
Manzoni pur restando dentro una formazione illuminista si separa da essa proprio con il sentimento religioso che culmina con l'ultima stesura dei Promessi Sposi. Ci mostra addirittura un Napoleone convertito nella sua Ode.
D'Annunzio partecipa alla Grande Guerra con la sua anima dea di nazionalismo. Quando ciò viene ad essere lacerata si impiega per ottenere quella identità nazionale sfidando l'Austria per ottenere i territori che hanno una profonda italianità. Mi sembra confutabile questa visione. Sul piano letterario D'Annunzio continua la scelta di identificare i personaggi come destino creati proprio da Manzoni, il quale gioca meravigliosamente tra provvidenza e destino.
D'Annunzio fa di quella provvidenza una provvidenziale letteratura in cui il tragico è nel ruolo dei personaggi rimescolando l'idea di morte proprio con l'idea di gestione. La morte come trionfo o la morte nelle città. Un percorso omerico dell'Omero della Iliade.
È la ribellione un dato centrale. Renzo comunque è un ribelle.
Il tema appunto della ribellione in Manzoni è evidenziabile. Si sente in molte parti del suo romanzo. Senza la ribellione non sarebbero convolati a nozze Lucia e Renzo. Anche la stessa Gertrude è una ribelle.
Le tragedie di D'Annunzio sono la rappresentazione del tragico certamente, ma anche della ribellione. Dalla Gioconda a Iorio. Personaggi inquieti e inquietanti.
Ma cosa furono Manzoni e D'Annunzio? Due scrittori nella crisi della pazienza e nella rivolta di un contesto epocale. La fine di un secolo e l'inizio di un altro. Una continuità? Direi forse. Ciò che indubbiamente resta è il fatto che sono uno specchio di un'Italia in transizione sia in termini politici che culturali. Hanno un'unica matrice che è quella della nostalgia. Sia come uomini che come scrittori.
La conclusione del romanzo manzoniano è un ritornare. La conclusione delle pagine notturniane di Gabriele sono un ritorno a casa.
Vico in D'Annunzio rappresenta la chiave per leggere i popoli attraverso il mito. I popoli e le civiltà. Lanzichenecchi, spagnoli e francesci per Manzoni sono la caduta dell'identità nazionale. Gli austriaci sono per D'Annunzio la perdita del Risorgimento. Una valenza politica? Forse.
Lo spirituale identitario accomuna due scrittori per due temperie diverse ed eterogenee sul versante anche antropologico. C'è di mezzo dunque il Vico dei corsi e ricorsi. Il vico della Mediterraneità napoletana.