“Sono almeno trent’anni che in Italia si discute di responsabilità civile dei magistrati.
Di solito viene invocata da chi è stato ingiustamente arrestato e reclama un risarcimento per il periodo di detenzione e per i danni subiti alla propria reputazione e alla propria attività (…) Inaccettabile che in questo paese da troppi anni, nella giustizia prevalga il codice personale invece di quello penale (…) L’indipendenza di giudici e pubblici ministeri, si è ridotta solo ad un comodo paravento per non rispondere dei propri errori (…) Ma fino a che punto si può accettare che in nome di un principio di libertà da ogni condizionamento, il magistrato non debba mai rispondere dei propri atti? (…) Se la legge è uguale per tutti, deve esserlo a maggior ragione anche per chi l’amministra” scrive Maurizio Belpietro su La Verità dell’11 agosto.Legalità e magistratura: un tema quanto mai ampio. Parlare di magistratura e di legalità significa parlare essenzialmente di Costituzione. La magistratura è l’organo deputato alla tutela dei diritti, all’applicazione delle leggi, all’esercizio della giustizia. E diritti, leggi, giustizia sono il trinomio sul quale si fonda da cinquecento anni il mondo occidentale. Bisogna affermare la cultura della legalità, che vale per tutti, per i cittadini, per i pubblici poteri ed anche per i magistrati. Va di pari passo con la cultura della giurisdizione e la cultura dello Stato di diritto, perché lo Stato di diritto è quello che ci consente di avere rapporti corretti tra cittadini e, tra i cittadini e i pubblici poteri, in una grande costruzione che dobbiamo in molta parte anche ad Aldo Moro. Il suo pensiero è entrato nella Costituzione repubblicana e questa grande costruzione va mantenuta viva e vitale, con l’apporto di tutti.
E noi stimolati da queste osservazioni abbiamo intervistato l’avvocato Nicola Russo, che sta portando alle stampe un suo libro “Storia di una certa Magistratura tarantina”.
Tra l’altro, una curiosità, l’avvocato è nato, ci dice, nell’appartamento al 3° piano di via Di Palma n. 129, dove ha vissuto Aldo Moro (citato in precedenza), quando andava al Liceo Archita.
Domanda: Avvocato Nicola Russo lei è
stato giudice di questa Repubblica giudiziaria per circa 30 anni. Cosa le ha
spinto a scrivere questo libro?
Risposta: si, io ho svolto per 12 anni le
funzioni di Giudice Conciliatore e per 17 anni le funzioni di Giudice di Pace,
con competenza per le materie civili e soprattutto, in campo penale, quale Giudice
di Pace dibattimentale, GIP ed in materia di immigrazione.
Domanda: lei ha ricevuto anche un premio
come magistrato….
Risposta: sì, nel 2013 ho ricevuto dalle
mani del Rettore dell’Università degli Studi di Bari Antonio Uricchio la
Pergamena di merito nel “Premio alla magistratura italiana 2013”, e con il
Patrocinio della Presidenza della Repubblica.
Domanda: cosa l’ha spinto a scrivere
questo libro?
Risposta: Si può dire che il mio libro è il
seguito di quello di Ermes Antonucci “La Repubblica giudiziaria - Una
storia della magistratura italiana”, Ed. Marsilio. Ho deciso di
rilevare, con prove alla mano e, quindi, con aneddoti ben precisi, che a
Taranto una certa magistratura non fa e non ha
fatto il suo dovere.
Domanda: Ci può fare un esempio riportato
nel suo libro?
Risposta: Per certe
persone, che pensano di svolgere le funzioni di magistrato, pur essendo
magistrati, vale il detto “tra cani non ci si morde la coda”. Ed in questo
aneddoto, azzannato è sempre il cittadino, anche se svolge le funzioni di
Pubblico Ufficiale. E mi riferisco ad un caso giudiziario di un medico, al
quale, certamente, per dimenticanza dovuta agli impegni professionali ovvero
per mancanza di tempo da dedicare alle proprie questioni, avevano disposto
il fermo amministrativo della sua autovettura (si badi bene, strumento vitale
per un Medico per andare a salvare anche le persone in pericolo di vita) per un’infrazione
amministrativa. Ebbene, nel richiedere l’annullamento del fermo amministrativo,
in quanto l’autovettura era necessaria al Medico-Pubblico Ufficiale per
svolgere la sua vitale funzione, il Collegio giudicante, costituito da certi
magistrati, rigettava il ricorso perché il veicolo non era riportato nei libri
contabili come bene strumentale per l’attività in questione. Fin qui il
discorso giuridico, o meglio, la motivazione giuridica potrebbe ben essere
accolta. Ma, la grave anomalia sta nel fatto che il magistrato che presiedeva
quel Collegio giudicante, sopra menzionato, era stato colpito esso stesso dalla
sanzione del fermo amministrativo della propria autovettura. Ebbene, per non
portarla alla lunga, la stessa Sezione di quel Collegio, costituita dal fior
fiore di certi magistrati, e naturalmente presieduta da altro magistrato,
annullava la sanzione in questione, e non perché l’autovettura era riportata
sui libri contabili come bene strumentale utile per l’attività, come invece era
stato motivato per il Medico, ma perché il magistrato risiedeva poco fuori dal centro
cittadino, fermo restando il mancato accertamento se tale zona fosse servita o
meno da un servizio pubblico di bus locali. Le due sentenze sono ben custodite (arriverà
il giorno dell’indicazione dei nomi, anche da parte di terze persone). E la
storia continua, con ben più gravi casi da evidenziare, e con prove alla mano.
Domanda: quale finalità ha questo
scottante libro?
Risposta: quella di chiedere al Ministro
della Giustizia e al C.S.M. una Commissione d’Inchiesta, per accertare il
rapporto tra certa magistratura tarantina e la politica locale, oltre alla
carenza di imparzialità ed indipendenza di certi magistrati.
Domanda: quando uscirà il libro?
Risposta: a breve. Sto ultimando il
recepimento di altra documentazione e decidendo chi sarà l’editore. Quello che
dico nel libro è supportato da prove. Non sono favole.
Vito Piepoli