“Gigantografia di piccoli sospiri” è un album dalle sonorità trasversali: il viaggio dell'ascoltatore si apre su paesaggi ampi e fitti, su altri rarefatti e spogli. L'elettronica avvolge un rock graffiante, caratteri dance seguono ballate intime. L'album contiene 10 tracce, nate a partire dalla brace di improvvisazioni, dialoghi sonori tra Osvaldo Loi, Federico Fantuz e Stefano Bolchi. Le musiche incontrano i testi di Daniela Bianchi e Stefano Bolchi, che in alcuni brani hanno intrecciato le loro parole. La produzione artistica si avvale della collaborazione con il produttore Giulio Gaietto che ha curato missaggio e mastering dell'album ed impresso la sua presenza al sound generale.
Abbiamo avuto il
piacere di intervistare Colbhi per scoprire “Gigantografia di piccoli sospiri”.
Ciao e
benvenuti su Fattitaliani! Parliamo un po’ del vostro disco, nello specifico.
Da cosa deriva il titolo “Gigantografia di piccoli sospiri”?
I sospiri sono dei respiri caricati di affetti, una punteggiatura nascosta nella nostra quotidianità. Senza farci caso vengono lasciati evaporare. La nostra è una sorta di operazione inversa: li abbiamo raccolti, condivisi ed amplificati con il suono e le parole
Quali generi
musicali sono presenti e qual è il filo conduttore che lega le canzoni tra
loro?
La musica
dell’album fa riferimento a diversi generi musicali facilmente riconducibili ad
un rock di matrice anglosassone, contaminato dalla new wave, anche dalla
canzone d'autore per certi versi. Non siamo fondamentalisti di un genere
musicale quindi ci sono delle zone che abbiamo messo in comune. I diversi gusti
convergono in un solo progetto nella misura in cui ognuno lascia uno spazio
vuoto, si fa da parte.
Il filo che lega le canzoni tra loro è che ognuna tocca qualcosa nella sfera dell'intimità, qualcosa che non è in rilievo, ma rimane nascosto tra le relazioni, tra gli amori, negli anfratti delle emozioni.
Era un disco
a cui pensavate da molto o è nato per caso?
È diventato un progetto cammin facendo. Tutto è partito dalle sessioni di improvvisazione che ci sono state tra me, Osvaldo Loi e Federico Fantuz. Da queste ore di dialoghi sonori estemporanei sono state raccolte parti che ci apparivano come delle bozze di brani. In seguito, sono comparsi i primi testi, alcuni scritti da Daniela Bianchi, altri da me (Stefano Bolchi), altri ancora scritti da entrambi, a quattro mani. Quando ci siamo resi conto di avere un po' di canzoni è nata l'idea di farne un disco.
E invece la
copertina dell’album cosa rappresenta?
È il dettaglio di un disegno di mia figlia. In qualche modo abbiamo visto un collegamento tra il l'immagine ed il senso del titolo dell'album
C’è un brano
a cui siete particolarmente legati o che ha avuto una gestazione emotiva più
complessa?
Personalmente, ad oggi, sento di avere un legame particolare con ogni brano. Ogni canzone rievoca una diversa intensità legata ad eventi o emozioni. Però se ce n'è una che per me testimonia meglio il senso del progetto collettivo Colbhi è Anidride carbonica: lì si sono incontrate le nostre diversità. Ognuno ha lasciato uno spazio vuoto che ha fatto posto all'altro. Personalmente ho provato quello che si sente di fronte alla diversità: un senso di disorientamento e poi meraviglia e stupore. Tutto è partito da un'improvvisazione libera innescata da un giro di chitarra di Fantuz, l’impronta dell’arrangiamento in particolare di Osvaldo, ed il testo scritto da Daniela al quale si è unita la musica.
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