Debutta in prima assoluta stasera all’Altrove Teatro Studio, NON ANDARTENE DOCILE, il nuovo spettacolo scritto da Andrea Giovalè e diretto dallo stesso Giovalè con Michele Eburnea, Sara Mafodda, Mersila Sokoli. Resterà in scena fino al 12 marzo. L'intervista di Fattitaliani all'autore e regista per la rubrica Proscenio.
In che cosa "Non andartene docile" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi? È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di collaborare a progetti nati e cresciuti insieme ad attori bravissimi, quindi i personaggi avevano l'onore di condividere i loro volti. Per un autore è una fortuna: come quando un sarto fa un vestito su misura.
Ciò non vuol dire chiudere le porte all'ispirazione che, tutti i giorni, arriva da incontri ed eventi casuali.
D'accordo con la seguente affermazione di Glenda May Jackson ““L'intera essenza dell'imparare le battute sta nel dimenticarle in modo da far sembrare che tu le abbia pensate in quel momento.”?
La condivido. Da scrittore e non attore, ricerco io stesso un linguaggio naturale, con i suoi inciampi, le sue esitazioni. E durante le prove, oltretutto, nascono nuove incomprensioni o imprevisti che diventano parte della storia, assumono significati propri. Trovo affascinante come certi "inside joke", una volta che vivono di vita propria, vengono compresi anche dal pubblico, magicamente, senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
Come tutte le ragazze libere, per la regia di Paola Rota: uno spettacolo corale che ho visto più volte e mi ha sorpreso ogni volta, ogni volta in modo diverso.
La migliore critica che vorrebbe ricevere? La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Ovviamente, mi piacerebbe ricevere critiche positive, che approfondiscano i temi sollevati dallo spettacolo, sviluppando il dibattito su relazioni, società e cultura. Ogni critica, comunque, anche se negativa, è preziosa e può servire allo stesso scopo.
LO SPETTACOLO
E se la perdita non fosse una strada a senso unico? Cosa rimane di una relazione, due settimane dopo la sua fine? E due anni dopo?
Ale, Bene e Fede cercano a tentoni le risposte nello spazio caotico e scomodo di una casa frammentata, mentre le loro storie, passate, future o immaginarie, tornano a bussare alla porta. Non hanno strumenti per affrontarle, solo un mucchio di scatole con dentro i loro compromessi, le contraddizioni e le fragilità che conoscono, o non conoscono ancora, gli uni degli altri.
Ripercorrendo frammenti di passato, setacciando ipotesi di futuro, non rinunciano al progetto di ricomporre qualcosa che si è rotto, o di cancellare del tutto i segni della rottura. Chissà se ne usciranno tutti interi.
Non andartene docile è un percorso di ricerca ed esplorazione attorno, ma soprattutto oltre, il tema del distacco e del limite.
Dopo il dolore della crescita in una società noncurante, questo spettacolo affronta un momento più specifico della vita: il contatto con la perdita e con l’assenza.
Che si rivolgano al passato o al futuro, i protagonisti lo fanno con uno sguardo fratturato, parziale, soggettivo, ferito. La scena, quindi, restituisce loro una visione non lineare, incompleta, ma non per questo meno vera.
Cosa accade a una persona quando ce ne separiamo? E andare avanti, qualunque cosa significhi, è davvero l’unica risposta?
Domande che fanno da fondamenta dinamiche a uno spettacolo che, di riflesso, sperimenta con i linguaggi – drammatico, grottesco, onirico, commovente – per plasmarli fino a trovare qualcosa di nuovo. Allo stesso modo, i personaggi dovranno piegare la realtà che conoscono, le regole che la società ha insegnato loro, per giungere alle risposte che, forse, li attendono alla fine del viaggio, anzi, un poco oltre.