Intervista allo scrittore romano Stefano De Sanctis

Lo psicoterapeuta che segue Giulio gli ha proposto di ricostruirsi, come in un mosaico le cui tessere sono persone significative della sua vita, la figura paterna, che nella realtà latita.

Intanto, la telefonata mensile del padre non arriva e quando, nel cercarlo, ne trova la casa devastata, la preoccupazione prevale e Giulio si mette in movimento.

Prende contatto con chi lo conosce o lo ha conosciuto e piano piano viene a sapere di pezzi della vita del padre che gli modificano profondamente l’idea che se n’era fatto. Non riesce a capire se si tratta di un personaggio affascinante e avventuroso o di un millantatore e truffatore, se di un bravo scrittore o di un pretenzioso intellettuale di mezza tacca.

La ricerca lo porta in Israele, dove incontra un paio di personaggi che hanno coinvolto il padre in qualcosa – fra informatica e trading - che si è rivelata molto più grande di lui.

Quando viene a sapere che si sta nascondendo in Usa, il protagonista decide di andare a cercarlo lì…

 

Gli abbiamo rivolto qualche domanda sul suo nuovo romanzo intitolato “Mosaico”, pubblicato da CTL Editore.

 

Stefano, parlaci del tuo amore per la scrittura: come e quando hai deciso di diventare scrittore?

Mio padre è morto quando avevo undici anni, e io finii in collegio. La scrittura / diario fu allora, ho scoperto in seguito, il mio modo di curarmi da un lutto.

Da un certo punto in poi la scrittura è diventata, e tuttora è, un grande piacere.

È stata, certo, preceduta dalla lettura.

D’altra parte, raccontare storie pare sia la principale caratteristica che distingue noi umani da altre specie.

Quali scrittori hanno ispirato il tuo percorso?

Posso dire quali scrittori amo.

Nell’adolescenza il battesimo della lettura è stato con tanti gialli Mondadori e tanta fantascienza Urania. Poi ho letto ogni genere. Di alcuni scrittori ho letto tutto: Kundera, Tabucchi, McEwan, Le Carrè, Gordimer.

Da quando ho scoperto “I versetti satanici” di Salman Rushdie mi sono convinto che il meglio della letteratura possa ancora venire dalle culture che si incrociano.

Solo per esemplificare che cosa intendo: l’autore di “Trust”, l’ultimo romanzo che ho letto – un ottimo romanzo di stile classico con una costruzione moderna - è Hernan Diaz, nato in Argentina, vissuto in Svezia e attualmente professore di letteratura in USA.

“Mosaico” è il tuo nuovo romanzo. Qual è stato l’input che ti ha spinto a scriverlo?

Avevo in mente la scena finale che, ovvio, qui non posso raccontare.

Da lì mi sono chiesto quali strade avessero percorso i diversi protagonisti per incontrarsi lì, in quel modo, con quella conclusione.

Vi ho incuriosito?

Da quale idea nasce la scelta del titolo? Perché “Mosaico”?

È un’idea che viene allo psicoterapeuta che segue Giulio, il protagonista. Il tema è la figura sfuggente del padre, e lo psicoterapeuta propone a Giulio di costruirsi un puzzle con le qualità che gli sarebbe piaciuto trovare nel padre e che ha incontrato in altre persone importanti della sua vita, in modo da ricostruirsi comunque una figura paterna.

Quanto tempo hai impiegato a scrivere la storia?

Circa sei anni, certo non a tempo pieno. È stato un lavoro impegnativo, passato per tre riscritture complete, con cambio del protagonista e modifica dell’ordine degli avvenimenti, L’ho scritto in prima seconda e infine terza persona. Sono soddisfatto del risultato.

Qualche anticipazione per i tuoi prossimi lavori e impegni?

Ho in mente qualcosa ma non sto ancora scrivendo. Stavolta ho chiara la struttura ma non ancora una storia, se non per piccoli episodi al momento scollegati. Il divertimento starà nella costruzione passo passo e nel rendere coerente l’insieme.

Nel frattempo mi piacerebbe avere tante occasioni di presentare Mosaico, sono momenti per me di grande soddisfazione. Purtroppo, non è facile trovare i contesti giusti. Continuerò a provarci.

Infine: nella vita sono counselor, sono perciò a contatto con i dubbi delle persone, con i desideri, con le motivazioni, con le realtà illusorie e tutta la gamma delle emozioni e dei sentimenti.

Ho quindi una buona competenza nell’aiutare a individuare i propri bisogni, anche quelli che non dichiariamo a noi stessi. Mi piacerebbe utilizzare questa competenza nell’aiutare chi scrive a darsi risposta a una domanda: perché scrivo “questa” storia, adesso? Con quale obiettivo? Con quale intenzione?

Sono convinto che se ognuno riuscisse a estrarre risposte sincere uscirebbero romanzi migliori.

 

Fattitaliani

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