Viaggio a Melara di Rovigo alla scoperta degli alchimisti che preparano i fuochi d’artificio per la festa del Redentore

Fattitaliani



È in quello che viene definito “il triangolo del divertimento” che nasce la magia dello spettacolo del Redentore. Il sibilo, il botto, il fuoco che si apre a sfera, a fiore, a fontana pennellando il cielo di Venezia e incollando lo sguardo all’insù per 40 minuti ad ammirare lo skyline di barche, di acqua, di colori che si fonde nel tutt’uno di ciò che è e rappresenta ancora la Serenissima. A Melara di Rovigo la cinquantina di dipendenti dell’azienda Parente Fireworks è alle prese con la preparazione degli oltre 6 mila fuochi d’artificio che verranno sparati in aria durante la notte “famosissima”, sabato 16 luglio, la più sentita manifestazione cittadina promossa dal Comune di Venezia con il coordinamento operativo di Vela spa. 

Un luogo dove ogni singola lavorazione è separata dall’altra per questioni di sicurezza e dove tutto è fatto a mano, interamente a mano dagli “alchimisti” dell’arte pirotecnica. Un lavoro artigianale che porta in alto la bandiera del Made in Italy e che evoca cura, attenzione, qualità e rispetto delle norme di sicurezza perché qui si maneggia in sostanza la polvere da sparo.

“Da veneti, la festa del Redentore per noi è la più importante e ogni anno ci teniamo a partecipare alla gara d’appalto pubblica – spiega Antonio Parente, che porta avanti l’azienda insieme ai fratelli Davide e Claudio – non possiamo dare anticipazioni sullo spettacolo, ma possiamo dire che ci saranno dei momenti legati alla realtà e che ovviamente non potranno mancare i colori che più di tutti rappresentano Venezia e che sono il rosso e l’oro, per finire con l’argento brillante”.

Lo spettacolo pirotecnico è il momento clou del Redentore, una delle feste più amate dai veneziani che da centinaia di anni mescola il sacro al popolare senza perdere la sua identità. La sua particolarità è proprio la lunghezza dello spettacolo, che inizia alle 23.30 e per tradizione deve andare oltre la mezzanotte, portando quindi a 40 minuti i botti in Bacino San Marco che si riflettono nelle acque della laguna.

“Uno spettacolo di soli fuochi d’artificio così lungo è difficile trovarlo da altre parti e quindi la difficoltà è anche quella di cercare di non annoiare lo spettatore – continua Parente – per questo ogni anno cerchiamo di migliorare qualcosa, di modificare qualcosa, di trovare un effetto nuovo”. 

Fino alla metà del Novecento, i “foghi” si svolgevano con il fronte rivolto verso il Canale della Giudecca, mentre tra gli anni ’50 e ’60 la postazione degli artificieri fu sdoppiata e da due diverse zattere due ditte si sfidavano sparando alternativamente i fuochi. Gli artifici venivano quindi lanciati sia dal Bacino che dall’area compresa tra il Molino Stucky e Sacca Fisola. È solo alla fine degli anni ’70 che i fuochi sono tornati in Bacino e dal 2008 il fronte è stato ampliato fino a raggiungere i 400 metri, aumentando così il fascino dello spettacolo.  

“Dal 1988 abbiamo partecipato a tantissime edizioni del Redentore e lo facciamo per il legame che abbiamo con la città, perché la festa del Redentore è una delle tradizioni italiane più belle – spiega Parente - all’estero facciamo eventi di gran lunga più grandi rispetto a questo, ma il fascino di questa città non ce l’ha nessun’altra”.

Le origini della “Parente Fireworks” risalgono alla fine del diciannovesimo secolo quando il fondatore della famiglia di pirotecnici Romualdo Parente, originario della provincia di Foggia, decise di intraprendere questa attività allestendo spettacoli per eventi religiosi. La prima vera fabbrica fu costruita all’inizio del 1900 e dopo una breve pausa durante la Prima Guerra Mondiale Romualdo ricominciò l’attività insieme ai sette fratelli, creando una delle più grandi fabbriche pirotecniche del Sud Italia. Nel 1951 il figlio Antonio lasciò il Sud per trasferirsi a Melara e nel 1956, con l’aiuto dei suoi due figli Augusto e Romualdo, costruì quella che è l’attuale fabbrica.

“L’artificio cilindrico è tipico della scuola italiana, mentre quello sferico nasce dalla scuola cino-giapponese asiatica ed è quello più usato – spiega – il maggior fabbricante di artifici oggi è la Cina, poi ci sono Italia e Spagna che realizzano artifici di pregio, un po’ più di elite diciamo, che hanno anche un costo diverso perché la loro qualità è diversa e lo si vede nei colori, nella luminosità e nelle tonalità”. Le lavorazioni sono tutte manuali, tutto viene pesato al grammo seguendo in parte i ricettari tramandati dal bisnonno e in parte seguendo le evoluzioni dei prodotti. Ogni colore, poi, è frutto di formule diverse e di componenti che vengono mescolati dai fuochisti, che con pazienza e attenzione danno vita e forma a sfere e cilindri che si trasformeranno in luce, rumore, fumo e piccoli coriandoli di carta in caduta.

A Melara tutto è organizzato secondo un ordine preciso: da una parte ci sono i laboratori dove viene prodotta la polvere nera che viene utilizzata come base per la carica di lancio e per la salita dell’artificio, che l’azienda commercializza anche nel resto del mondo perché è l’unica in Europa a realizzarla in loco.  

La polvere nera si compone di tre elementi: carbone, nitrato di potassio e zolfo. Il carbone scelto è quello in tralci di vite, che è un po’ più leggero, che viene macinato in botti tritatorie e polverizzato per un numero preciso di minuti. A questo viene aggiunto poi il nitrato di potassio e, successivamente, lo zolfo, oltre ad un collante. Questo processo termina poi con l’essicazione controllata all’interno di un altro laboratorio che ha una sorta di condizionatore in grado di far perdere, dopo 24 ore, tutta l’umidità al prodotto. 

“Non lo mettiamo al sole, sarebbe un risparmio di tempo perché basterebbero poche ore, ma con certe temperature estive è molto pericoloso – spiega – così è tutto sicuro ed è una scelta vincente”. 

Poi ci sono le altre fasi delicate, ci sono le composizioni, le mescolature, le pressature, c’è la realizzazione dell’involucro esterno, il suo riempimento con le palline di polvere nera e la sua chiusura. Gesti che si ripetono da centinaia di anni e che sono sempre gli stessi. 

“Rispetto a come faceva i fuochi d’artificio il bisnonno alcune cose tecniche sono le stesse di cento anni fa, ma negli ultimi 50 anni sono cambiati i componenti - racconta – i prodotti sono più raffinati e puliti, creano meno fumo, è stata anche perfezionata la tecnica del lancio, che una volta era manuale mentre adesso viene fatta con sistemi di gestione radiocomandati elettronici”.

Ogni sera, al calar del sole, tutti i lotti di prodotti vengono testati per garantire gli standard di qualità in un’area dell’azienda e per qualche minuto il cielo di Melara si colora con una sequenza di botti.

“Quello di Venezia è un evento complicato – conclude Parente - c’è la preparazione del progetto artistico, per la quale servono circa due settimane perché in questo lavoro non esiste il copia-incolla; poi c’è la difficoltà di una città delicata e del trasporto dei materiali, che viene fatto in più fasi. A Venezia tra l’altro bisogna stare al di sotto di un certo numero di decibel di suono. Poi c’è la questione della distanza di sicurezza dalle barche, perché con il rischio che qualche barca invada l’area di spettacolo abbiamo cercato di dotarci delle tecnologie che ci aiutano a bloccare il lancio nel caso ci siano condizioni limitate di sicurezza. Sono cose che si imparano con gli anni e rispettando la città”.

E in attesa che i “foghi” siano pronti per essere sparati, a Venezia si preparano le luminarie, si cucinano i piatti della tradizione, si addobbano le barche perché, si sa, il Redentore tra canti e balli rappresenta la rinascita di un nuovo giorno, di una vita senza la peste, di cui oggi come 500 anni fa si sente ancora l’esigenza.

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